SOCIETÀ
L'arte dell'equilibrismo

E' tornato in voga da qualche tempo l'equilibrismo, non solo come necessità fatta virtù (dal multitasking femminile all'acrobazia politica con caduta in piedi) ma anche come disciplina sportiva con sconfinamenti nella meditazione; c'è lo stonebalancing, l'arte di mettere pietre in equilibrio con estimatori e praticanti dal Quebec alle Marche, che richiede concentrazione, destrezza, leggerezza e a lavoro finito - inclinazione alla contemplazione. Fioriscono castelli di sassi sull'Adriatico e sul Pacifico, ma anche lungo sentieri di montagna non è raro imbattersi in totem di pietra che ricordano le isole con cui giocava Munari.
Nei boschi, e nelle pinete in riva al mare, hanno fatto la loro apparizione da un paio di estati (oltre a mirabolanti parchi avventura per veri baroni rampanti e manager che devono trovare la motivazione) le slackline, fettucce piatte di nylon o poliestere tese da un tronco d'albero all'altro ad altezze non vertiginose (oppure si, ma allora si chiamano highline); ci si cammina sopra per lunghi percorsi (longline), ci si contorce su con evoluzioni freestyle (alla maniera di quelle che si compiono con lo skateboard o lo snowboard). Possono diventare il passaggio precario sopra specchi d'acqua e giocoforza, sfociare nel tuffo e nel nuoto. La fettuccia in questione è mutuata dall'attrezzatura dell'arrampicata e di questa disciplina sportiva richiama l'universo di valori sotteso, è il caso di dirlo: sfida solitaria, confronto uomo natura, ricerca di emozione estrema, uniti alla rappresentazione, a beneficio proprio e altrui, del più profondo se' creativo.
E' quello che accade nel funambolismo che pure si distingue dalla camminata su slackline per molti aspetti, a partire dal fatto che la corda non è piatta; muscoli guizzanti e sensi all'erta servono comunque, e se la fettuccia di nylon, come lo skateboard, ha un connotato sportivo seppur ribaldo e clandestino, nel Funambolismo, a detto del suo più famoso rappresentante vivente, il francese Philipe Petit, il livello si innalza dall'esercizio fisico alle vette dell'arte e dell'ascensione spirituale che fa di chi la pratica divinità mortale. Petit spiega nel suo "Trattato di Funambolismo" che chi cammina danza o volteggia su una corda a qualche metro da terra non è un funambolo, ma un ballerino sulla corda; chi impiega nello stesso modo un filo sottile di ottone o d'acciaio diventa filferrista, ma che è funambolo chi fa uno spettacolo che è simile a un gioco d'azzardo, chi fiero della propria paura si lancia all'assalto dei campanili, allontana e unisce le montagne. "E' il ladro del Medio Evo, l'ascensionista del secolo di Blondin". Lo sa bene Petit che se predica in toni alti è capace poi di razzolare a vertici inarrivabili: per intenderci è lui che, tra le altre mirabolanti cose, ha attraversato su un filo la distanza tra le guglie di Notre-Dame e quella tra le Torri Gemelle del World Trade Center. A questa seconda inverosimile impresa narrata dal suo protagonista in "Toccare le nuvole", Robert Zemeckis ha dedicato quest'anno "The Walk" film che ha deluso qualche fan del regista della saga di Ritorno al Futuro fresca di celebrazioni del trentennale ma che comunque mozza il fiato, se non altro perché furbamente girato in live action 3 D e perché la storia è pazzesca e vera. Nel 1974 l'allora ventiquattrenne Petit violando le leggi dello stato di New York e quelle di gravità riuscì, dopo complessissima progettazione, a raggiungere la sommità delle Torri (allora ancora parzialmente in costruzione) a quasi 420 metri da terra, a lanciare un cavo di sessanta metri da una gemella all'altra e passeggiarci su avanti e indietro per otto volte con l'aiuto di un bilanciere ma senza alcun supporto di protezione, addirittura fermandosi a salutare la folla incredula. Già un ottimo documentario, nel 2009, aveva descritto la Passeggiata, "Man on a Wire" che valse al regista James Marsh l'oscar e molti altri altri riconoscimenti. Il fatto che quarantadue anni dopo le Torri di acciaio e cemento non ci siano più e il piccolo uomo ancora volteggi in aria da' la vertigine e fa di Petit un Icaro involato e inviolato che sarebbe stato molto apprezzato da Queneau e che davvero oggi, in tempi di massimo allarme e precarietà, getta un filo rosso simbolicamente fortissimo tra due mondi: di Petit si ricorda anche una passeggiata di 800 metri compiuto su una corda tesa in diagonale ed in pendenza, fino al secondo piano del nuovo emblema della resilienza umana, la Tour Eiffel.
Equilibrismi e funambolismi sono anche il leit motiv dell'ultimo libro di Luciano Vandelli, giurista atipico autore di narrativa, che nella raccolta di racconti "Oscillazioni", descrive bene tra i diversi sussulti umani anche quelli provocati da una passeggiata parigina su corda il giorno dell'inaugurazione dell'Esposizione Universale del 1889.
E forse non è un caso che sia di Primo Levi, un letterato-chimico che conobbe da dentro e narrò la precarietà e la ferocia dell'esistenza umana, il più magnifico, profetico e funambolico palindromo bilingue mai concepito: è filo teso per siti strani, che letta destra a sinistra è "in arts it is repose to life". Nell'arte (magari anche in quella espressa su una corda tesa tra una torre e un ponte) si raggiunge una tregua dalle fatiche della vita.
Silvia Veroli