SOCIETÀ

Il mondo ama l’Italia, approfittiamone

Ci voleva Google Inc. a mettere in rete, raccontare e valorizzare le produzioni artigianali italiane? A quanto pare sì, ci voleva il tocco della multinazionale di Mountain View e soprattutto la sua popolarità per aiutarci a vedere quello che già sappiamo e diamo per scontato: abbiamo le mani d’oro, produzioni che il mondo ci invidia, qualità, talento, radici. Siamo seduti su un giacimento di inestimabile valore – il patrimonio artistico, naturale e manifatturiero italiano – eppure non sempre riusciamo a metterlo a frutto come si deve. Ci prova, non senza qualche ovvio vantaggio,  Google con una operazione che, dice Marco Bettiol, docente di marketing e comunicazione d’impresa all’università di Padova, “andrebbe moltiplicata enne volte. Far sapere che sappiamo fare. Per riuscirci occorre che i nostri imprenditori cambino il modo di rapportarsi al mondo”.

Perché il mondo ci ama, a quanto pare. Il brand made in Italy è tra i più cercati sul motore di ricerca americano (i volumi di ricerche di parole chiave legate al made in Italy nel 2013 sono cresciuti del 12% rispetto all’anno prima) ed è tra i più noti al mondo. Si sa degli americani che amano la nostra Grande Bellezza (in omaggio forse allo stereotipo che se altrove “si prega e si ama” da noi “si mangia e ci si veste”), ma anche la Gran Bretagna ci premia, come nel case degli UK-Italy Business Awards. Nel 2013, infatti, le imprese italiane sono state le terze più attive nel Regno Unito secondo la Uk Trade&Investiment; anche se  parliamo di imprese medio-grandi, e tra le acclamate a Londra c’è anche la milanese Moleskine. Le piccole-medie imprese, insomma, cercano ancora una sponda. Che arriva oggi dai percorsi espositivi allestiti su www.google.it/madeinitaly, 100 mostre digitali che offrono una presentazione, rigorosamente bilingue e molto cool, dei mobili d’arte di Verona, della mortadella bolognese, delle ceramiche di Messina e della carta di Fabriano; prodotti “celebrati” anche attraverso documenti storici e commerciali, video, pubblicità d’antan. Tutto secondo le regole del Digital Storytelling teorizzate dal californiano Joe Lambert negli anni Novanta.

La piattaforma, presentata i giorni scorsi a Roma, fa parte di un progetto denominato “made in Italy: eccellenze in digitale” avviato nel 2013 da Google, con la collaborazione di Unioncamere e ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. La deriva folk era un rischio ma il progetto, di matrice americana, è piuttosto pratico, assicurando non solo una vetrina d’eccezione ma anche una serie di servizi on line destinati agli imprenditori. Tra questi un percorso formativo per imparare a utilizzare al meglio il web e sviluppare i propri affari. Ai “nuovi” esploratori del web vengono poi affiancati giovani esperti che per sei mesi assisteranno le piccole e medie aziende educandole al digitale. Se, in termini occupazionali, il nostro non è un Paese per vecchi e nemmeno per giovani, la soluzione sembra quella di far incontrare i depositari della tradizione manifatturiera con gli smanettoni. Si comincia con queste 20 borse di studio (il bando sarà reso noto a febbraio) ma “per uscire dalla dimensione del presepe e venire al mondo – continua Bettiol – ce ne vorrebbero mille, come i garibaldini”. A proposito, i presepi di San Gregorio armeno ci sono nella vetrina Google come pure Sant’Agata dei Goti con le sue produzioni tessili, nella sezione distretti realizzata con la Fondazione Symbola. Farà piacere al nuovo simbolo del melting pot, il sindaco di New York originario della provincia di Benevento.

Il progetto dedicato al manifatturiero si inserisce in un momento di particolare attenzione internazionale per l’artigianato; nei primi giorni del 2014 l’Economist ha infatti dedicato un dibattuto articolo a una società californiana, la Etsy, che mostra e vende  manufatti (e vintage) di tutto il globo. Idea Usa, dove hanno reinventato anche l’album dei ricordi (con lo scrapbooking, replicato in tutto il mondo) con modi e accenti diversi, certo senza l’appeal di Google, e a volte sconfinando nella filosofia da robivecchi del garage sale. Con produzioni che spesso poco hanno di utile o bello ma lasciano intravedere una nuova possibilità per le mani d’oro degli  artigiani.

Silvia Veroli

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