SOCIETÀ
Il provinciale amato dalle fuoriserie. Grazie a un lingotto di alluminio

Si resta un po’ spiazzati parlando con Fabio De Angelis, il direttore generale di Speedline, azienda che produce cerchioni in lega: si scopre che l’Italia è un paese ancora in grado di attrarre investimenti dall’estero in un settore altamente competitivo come la metalmeccanica. Se le cronache ci segnalano quasi quotidianamente la difficoltà di questo comparto (il caso Fiat su tutti), la sorte di Speedline sembra essere diversa, tanto da interessare Ronal, gruppo multinazionale con sede in Svizzera, che nel 2007 ha deciso di acquistarla con l’obiettivo di un ulteriore investimento di 55 milioni di euro per il rinnovo dell’impianto produttivo. Le motivazioni che hanno convinto gli svizzeri ad entrare in Speedline sono legate alla qualità e all’eccellenza manifatturiera dell’azienda garantite dalla tecnologia innovativa che Speedline ha saputo sviluppare negli anni: il flow-forming. Spiega Fabio De Angelis, che il flow-forming: “è l’albero maestro della nostra produzione e permette di rendere i cerchioni particolarmente leggeri”. Una caratteristica che è sempre più richiesta dalle case automobilistiche impegnate a ridurre i consumi delle automobili e le emissioni di anidride carbonica nell’ambiente rendendo più leggere le diverse componenti. Questa tecnologia non è il frutto di un’astratta attività di ricerca e sviluppo, ma di una costante tensione verso il miglioramento continuo che ha le sue basi nella stessa attività produttiva.
I risultati testimoniano il livello raggiunto dell’azienda veneta che è diventata uno dei leader a livello internazionale nel proprio settore, tanto da diventare un fornitore qualificato per marchi di alta gamma quali Aston Martin, Ferrari, Lamborghini, Maserati e Porsche. Non sorprende quindi l’elevata propensione all’export (75 milioni sui 100 milioni di euro di fatturato) che ha permesso all’impresa di fronteggiare la crisi del settore automobilistico e soprattutto le attuali difficoltà della Fiat, che rappresentava una quota importante del mercato di Speedline.
Questo non significa che non ci siano stati momenti difficili. L’azienda ha fatto per un breve periodo di tempo ricorso alla mobilità e alla cassa integrazione, ora riassorbite, e l’investimento iniziale previsto per la costruzione di un nuovo impianto in Italia è stato rinviato a causa della crisi del settore automobilistico, limitandosi ad un recupero di efficienza negli stabilimenti esistenti (cogenerazione e fotovoltaico). Anche i rapporti con i sindacati restano problematici, benché sia stato raggiunto un accordo per la produzione sette giorni su sette. Si può considerare Speedline un caso isolato. Oppure vederlo come un esempio di quella capacità italiana di innovare che affonda le sue radici nella produzione manifatturiera. Ecco cosa ci ha detto Fabio De Angelis.
2007: cessione a una multinazionale e arrivo dei primi, forti segnali della crisi economica.
Quando Ronal è subentrata nel 2007 il progetto iniziale era quello di investire 55 milioni di euro nel terreno adiacente al nostro stabile per costruirne uno completamente nuovo. Ben presto però è sopraggiunto il primo periodo di crisi, e quindi l’incertezza in merito alla possibilità di poter ottenere gli obiettivi che tutti si erano prefissati. È stato quindi deciso dalla casa madre di temporeggiare, di non investire in questi termini ma di optare per un investimento graduale a livello di singoli impianti. Si è rimasti all’interno dell’infrastrutture preesistenti, valide ma un po’ problematiche, e con i soldi disponibili siamo andati a migliorare la produttività dell’azienda. Sul lungo periodo ci sarà bisogno di fare un salto di qualità anche a livello logistico però, perché il trasporto del nostro prodotto all’interno delle nostre strutture è molto oneroso. Un cerchio, dal momento in cui parte il lingotto di alluminio per fondere, entra in un processo lungo circa 2 km. Pertanto, non c’era la volontà di chiudere, quanto piuttosto quella di risanare e portare avanti un progetto ambizioso; ma a causa della crisi si è optato per un impegno dilazionato nel tempo.
Nella produzione industriale si sente il peso del “Made in Italy”?
C’è un’esigenza di alta qualità. Il fatto che quest’alto livello qualitativo venga prodotto in Italia, non è però così fondamentale come in altri settori. Se la componente viene prodotta in Italia o in un altro paese, poco importa. Eccezione fatta, magari, per quei clienti storici come Ferrari, Maserati e Lamborghini, per cui il concetto del Made in Italy ha una valenza a sé. Il mercato tedesco, quello a cui è più legato il nostro marchio, non è così vincolato da questo concetto; tant’è che sta cominciando a acquistare molto anche in Turchia. Ciò che è importante, invece, è la componente logistica: essendo i nostri clienti tutti organizzati in linee di produzione a flusso, non possono permettersi di avere delle interruzioni di approvvigionamento. Quelli che, come BMW, hanno cominciato a comprare cerchi dalla Cina, hanno dovuto farne le spese a causa dei lunghi tempi di trasporto. Direi che il produttore europeo cerca di trovare una fornitura europea, ma non necessariamente italiana.
Qual è la situazione attuale del mercato?
Nonostante le cifre siano abbastanza pesanti per quanto riguarda le immatricolazioni e le riduzioni dei volumi prodotti, specialmente da Fiat che rappresenta il 22% del nostro fatturato, possiamo dire di aver superato l’annata molto bene, senza quasi aver risentito della crisi economica. Questo perché noi siamo legati al settore dell’alta gamma, che non ha subito una grossa frenata. Le previsioni per il prossimo anno attesterebbero una riduzione dei volumi; ci aspettiamo un 2013 in riduzione, con un finale d’anno in cui dovrebbe esserci però una ripresa abbastanza robusta.
Subito dopo la cessione a Ronal, le manifestazioni di protesta dei vostri dipendenti sono state numerose.
C’è stato un periodo, dopo l’acquisizione da parte del gruppo Ronal e dopo la presentazione ai partner sociali di alcuni progetti di sviluppo che poi sono stati disattesi, un periodo particolarmente critico. Disattendere quei proclami iniziali ha portato all’incognita, a pensare che questo stabilimento fosse a rischio chiusura. Da lì sono nate reazioni forti, com’è storicamente forte la presenza sindacale in questo stabilimento. Chiaramente i sindacati hanno fatto la loro parte: hanno difeso quelli che sono i posti di lavoro e i diritti acquisiti dai lavoratori. L’azienda non è riuscita a fare passi avanti nell’ottenere condizioni migliori che potessero giustificare una maggiore competitività. Da quando il gruppo Ronal ci ha acquisiti, questo aspetto è stato portato avanti grazie a acquisizioni interne, ma né gli stipendi né le condizioni di lavoro sono peggiorate. È stato trovato un accordo per poter gestire la produzione sette giorni su sette, caratteristica che ci contraddistingue, utilizzando quattro squadre che si alternano con delle turnazioni. Con i sindacati non c’è stata intesa nel trovare un accordo per migliorare l’efficienza e il costo orario di questo stabilimento. Più in generale, abbiamo fatto solo un brevissimo periodo iniziale di mobilità, divenuto in seguito di cassa integrazione, ma poi il mercato si è ripreso velocemente. A livello di dipendenti siamo passati da circa 680, quelli di 4 anni fa, ai 530 attuali attraverso partenze volontarie e incentivi all’esodo, ma senza licenziamenti.
Cosa si augura per il prossimo quinquennio?
Mi auguro che l’Italia riesca a ripristinare il proprio apparato statale nel profondo, semplificando. Il peso fiscale è altissimo e in continuo aumento; la burocrazia è estenuante. Paragonandoci agli altri paesi europei, il costo dell’energia ha dell’incredibile, nonostante alcune semiserie campagne di incentivi per l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili: noi paghiamo annualmente circa nove milioni di euro.
A questo proposito, stiamo lavorando a due progetti. Il primo riguarda la cogenerazione, utilizzando un motore diesel. Il problema è che bisognerebbe riuscire a sfruttare l’energia termica creata da questo motore e con gli impianti vecchi che abbiamo è molto complesso. Entro marzo dovremmo poi sostituire una parte di tetto in cui abbiamo ancora le fibre di amianto per mettere pannelli fotovoltaici.
Essere efficienti, in un mercato come il nostro, significa adeguarsi velocemente al cambiamento e riuscire a utilizzare anche le risorse umane in maniera più flessibile di quanto si faccia oggi. Facendo i conti con la crescita sempre più grande delle aziende concorrenti e con un ricambio generazionale che pare essere totalmente assente.
Gioia Baggio
Marco Bettiol