SOCIETÀ
La Serbia al bivio tra voglia d’Europa e attrazione per Mosca

Il presente articolo è risultato del Laboratorio didattico "Giornalismo politico internazionale" coordinato dal dott. Matteo Matzuzzi (Il Foglio) e organizzato dal Corso di laurea magistrale in Relazioni internazionali e diplomazia (Responsabile scientifico: Prof. Benedetto Zaccaria). Il laboratorio è finanziato dal Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell'Università di Padova per l'anno accademico 2024/25.
“Svegliati, succede qualcosa”. Dallo scorso autunno, questo ed altre decine di cori riempiono le piazze di tutta la Serbia e, nonostante gli sforzi delle autorità, non sembrano placarsi. In pochi potevano pensare, lo scorso 1° novembre, che un’onda di popolo così alta avrebbe raggiunto Belgrado. Quel giorno, quando crollò una pensilina alla stazione di Novi Sad, all’inizio si parlava solo di tragedia casuale, sebbene con diversi tra morti e feriti gravemente. Eppure è lì che tutto iniziò, con le proteste prima davanti alla sede del governo e poi al ministero delle Infrastrutture. Da quel momento in poi, nelle principali città serbe sono state organizzate manifestazioni sempre più frequenti e partecipate. Chi scende in piazza accusa il governo di corruzione, chiede maggiore trasparenza, più partecipazione ai processi decisionali, libertà di stampa e una magistratura indipendente. In altre parole, un paese più democratico. Diretto destinatario di queste proteste è il presidente Aleksandar Vučić, al potere da più di dieci anni, durante i quali le violazioni dello stato di diritto e delle libertà fondamentali dei cittadini sono aumentate notevolmente.
Nel corso della manifestazione del 15 marzo a Belgrado si sono contate centinaia di migliaia di persone; il corteo è stato per lo più pacifico, a eccezione di alcuni scontri tra studenti e un gruppo di picchiatori e veterani pro-Vučić, descritto dalle autorità come composto da studenti desiderosi di riprendere le lezioni.
Il presidente serbo afferma di aver recepito il messaggio ma non pare al momento intenzionato ad abbandonare il potere, anche se le elezioni immediate sarebbero per lui vantaggiose: Vučić può infatti ancora contare su un vasto consenso, a cominciare dal supporto dei dipendenti statali, ai quali ha recentemente disposto aumenti di stipendio. Gli oppositori temono inoltre irregolarità ed ingerenze del governo, già segnalate nelle passate elezioni da testate estere, ong indipendenti e da report dell’OSCE: per questo motivo i manifestanti chiedono la formazione di un governo ad interim che traghetti la nazione verso le prossime consultazioni, assicurandone il libero svolgimento.
La posizione problematica dell’Unione europea, tra valori e interessi economici
Le voci di chi protesta sono sempre più forti e la richiesta è sempre più chiara: una parte importante del popolo serbo vuole un cambiamento radicale del sistema politico. Nonostante questo, il sostegno alla protesta è quasi inesistente a livello internazionale, a cominciare dall’Unione Europea: una posizione stride con le azioni del governo Vučić, in netto contrasto con i valori democratici di cui Bruxelles sarebbe portatrice. Dal 2013, la Serbia ha ottenuto ufficialmente lo status di Paese candidato all’adesione e anche per questo il silenzio di fronte alle richieste dei manifestanti appare discutibile.
Perché questa apparente indifferenza? Contano anche interessi economici di alcuni Paesi europei: la Germania vuole ad esempio aprire nella regione di Jadar, nella Serbia occidentale, la più grande miniera europea di litio, essenziale per alimentare le batterie delle auto elettriche e degli smartphone. Il 19 luglio 2024 è stato siglato un accordo con il Paese balcanico per assicurarsi questo metallo essenziale e per ridurre la dipendenza europea dalla Cina. Anche la Francia non è da meno: il 29 agosto 2024 Emmanuel Macron ha firmato un contratto dal valore di 3 miliardi di euro per l’acquisto da parte di Belgrado degli aerei Rafale, che sostituiranno i vecchi MiG-29 Fulcrum. Macron ha sostenuto la propria scelta evidenziandola come positiva per l’Europa, cercando di prevenire le critiche per aver fornito tecnologie altamente funzionali a un paese non membro della NATO e storicamente alleato della Russia.
Questo silenzio è stato però interrotto da una notizia che Bruxelles non poteva ignorare: la possibilità che le forze dell’ordine serbe lo scorso 15 marzo abbiano utilizzato un dispositivo acustico illegale a lungo raggio per disperdere la folla. I video che immortalano i manifestanti che fuggono in preda al panico hanno fatto in poche ore il giro del mondo, costringendo l’UE ha chiesto un’indagine rapida e trasparente, insieme a nuove riforme e sforzi concreti per combattere la corruzione. Per fare chiarezza sull’accaduto le forze di opposizione hanno lanciato una petizione, rivolta all’ONU e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che è stata firmata da più di mezzo milione di persone.
Il doppio gioco di Vucić tra Bruxelles e Mosca
Vučić, in seguito a un incontro con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, ha annunciato l’avvio delle indagini sull’accaduto, alla quale quali parteciperanno i servizi di sicurezza americani, l’FBI, e di quelli russi, l’FSB. Nonostante l’attenzione dimostrata verso l’utilizzo del cannone sonoro, il supporto europeo per i manifestanti resta altalenante. Preservare la stabilità politica del Paese rimane oggi la priorità assoluta.
Il comportamento del presidente serbo rimane però piuttosto ambiguo, continuando a oscillare tra gli ammiccamenti a Bruxelles e la tradizionale fedeltà a Mosca. Ultimamente diverse sue scelte stanno irritando l’UE: in modo particolare la decisione di non rispettare le nuove sanzioni decise dall’Unione verso la Bielorussia, accettate invece da tutti gli altri stati dei Balcani candidati all’adesione. Un’altra decisione controversa presa da Vučić è stata quella di accettare l’invito del presidente russo Vladimir Putin a Mosca per il 9 maggio, in occasione della parata celebrativa per la vittoria russa contro la Germania nazista. Non appena si è diffusa la notizia dell’invito da parte del Cremlino, Bruxelles ha avvertito che un’eventuale presenza alla parata sarebbe stata presa molto negativamente (tra l’altro, il 9 maggio è anche la festa dell’Europa), ma ciò non è servito per dissuadere Vučić. Una scelta è stata presa un giorno dopo che l’FSB ha escluso categoricamente la possibilità che il 15 marzo a Belgrado sia stato utilizzato un cannone sonico per far disperdere i manifestanti. Un che fatto avvalora l’ipotesi secondo cui il legame tra Russia e Serbia, spesso descritto dai due stati come la genuina conseguenza di un’affinità storica, culturale, politica e religiosa, sia in realtà strumentale alle agende politiche dei due presidenti.
Oltre alla mancanza di supporto i manifestanti devono però far fronte anche ad un altro problema: l’eterogeneità del gruppo di protesta. Il movimento politico e civile che sta attraversando la Serbia è variegato e si compone di più realtà: dagli studenti ai sindacati, dai giornalisti indipendenti ai movimenti ecologisti, tra cui spicca la realtà civica di “Most ostaje”. L’attuale sfida dei manifestanti è diretta soprattutto a trovare una sintesi politica per costruire un’alternativa politica concreta per il Paese. Senza, sarà difficile per le opposizioni vincere la sfida per la democrazia.