SOCIETÀ
Smart Life is Coming. A cosa andiamo incontro?

Ognuno di noi ha almeno un amico o un parente che lo sa già. Il primo dei nostri conoscenti ad essere entrato in possesso di un telefono intelligente, a fare la spesa online o a usare la webcam come cane da guardia contro i ladri mentre era in vacanza. Forse è stato il primo che abbiamo conosciuto in grado di programmare il registratore VHS per non perdersi l’ultima puntata del telefilm in voga negli anni Ottanta. Lui lo sa. Lui vive già nel futuro, cosciente che tra meno di dieci anni saremo tutti un bel po’ più “smart”. Il che, attenzione, non vuol dire necessariamente più “intelligenti”, come suggerirebbe il dizionario.
Il Web si inventava 25 anni fa. Internet iniziava a fare i primi incerti passi, e oggi ne siamo totalmente dipendenti. Secondo Patrick Tucker, editor di The Futurist magazine e autore dello studio The Naked Future: What Happens In a World That Anticipates Your Every Move?, la tendenza alla connessione costante e crescente è ormai inarrestabile. Nel 2008, per la prima volta, il numero di apparecchi connessi a Internet superò il numero di abitanti del pianeta. Nel 2013 i devices hanno doppiato il numero degli esseri umani: 13 miliardi contro 7 miliardi circa. E si prevede che nel 2020 la cifra di dispositivi in grado di collegarsi al Web sarà di almeno 50 miliardi: più di sei per ogni essere umano.
Ci siamo già, nell’Era Telematica: l'epoca della storia in cui qualsiasi cosa facciamo, in ogni momento e in ogni luogo, produrrà e trasmetterà informazioni. La propensione a circondarci di oggetti che immagazzinano e diramano dati è in continuo aumento, incoraggiata dall’utilità degli stessi o dalle mode. Il termine per definire questo futuro che è già qui esiste già. È "Internet delle cose" (Internet of Things, o IoT), ossia la moltiplicazione di accessori connessi alla rete da portare in tasca, indossare o addirittura incorporare sottopelle che ci aiutano a rendere le nostre vite più efficienti, e l'effetto rete che essi producono e sempre più produrranno.
L’onnipresenza nelle nostre case e vite di chips intelligenti è già un fatto, che continuerà ad espandersi in tutte le zone del pianeta nel futuro prossimo, fino ad arrivare alla profezia di cui parlò Stefan Poslad nel 2009 in Ubiquitous Computing: Smart Devices, Environments and Interactions. Secondo un recente studio del Pew Research Center, infatti, la stragrande maggioranza degli esperti in nuove tecnologie e Internet prevede che tra dieci anni la rete sarà così importante per la vita umana da diventare necessaria più dell’elettricità. Nel 2025 ogni movimento e ogni azione di qualsiasi essere umano o di qualsiasi oggetto potrebbe essere perfettamente tracciabile e in grado di produrre e trasmettere informazioni che andrebbero a ingrossare giganteschi e massivi database, per essere poi elaborate e utilizzate per rendere gli stessi movimenti maggiormente funzionali.
Tornando al nostro amico che prima di tutti ha usato un oggetto “smart”: entro il 2025 sarà completamente circondato da devices interconnessi - alcuni dei quali saranno probabilmente impiantati nel suo stesso corpo - che potranno minimizzare ogni sforzo, ottimizzare ogni movimento e calcolare la convenienza o meno di qualsiasi attività o decisione attraverso algoritmi basati sul suo archivio storico personale. Chi ha visto Her, il film di Spike Jonze con la sensuale voce di Scarlett Johansson a dar vita a un sistema operativo che guida e immagazzina ogni movimento del protagonista, penserà che, tutto sommato, il gioco varrà la candela. L’effetto rete avrà risvolti su tutti i livelli della vita umana: personale, affettiva, casalinga, sociale… Avrà, in particolare, effetti macroscopici sulla vita sociale in generale, sulla costruzione e gestione di case, città, nazioni e infine sull’ambiente e sul pianeta intero.
Il termine “smart”, spesso associato a un nuovo modello di città, ha applicazioni su tutti i livelli della vita moderna. Nelle nostre case, per esempio, già esistono applicazioni con controllo remoto che, grazie a un messaggio sul cellulare o a un’e-mail, controllano l’attivazione del riscaldamento, della lavatrice o del microonde. Tra non molto arriverà il chip nel frigorifero o nel cartone del latte che ci avvisa quando il livello delle scorte in casa sta scendendo, e addirittura avvisa il supermercato in cui di solito facciamo la spesa online affinché ce la recapiti a casa con un drone. Un vantaggio indiscutibile dell’IoT nelle nostre vite sarà la possibilità di fare diagnosi mediche e ricevere prescrizioni e cure in modo molto più veloce ed efficace. Per non parlare del risparmio energetico - e monetario - che un uso controllato e “guidato” degli elettrodomestici comporterà.
Ma ci sono ovviamente anche zone d'ombra in quest’era telematica che ci è toccato e ci toccherà vivere. C’è, per esempio, chi sostiene che il risparmio di tempo ed energie sarà relativo: tenere d’occhio, programmare o interagire con tutti gli apparecchi da cui dipenderà il funzionamento delle nostre case o delle nostre vite potrebbe facilmente richiedere la nostra attenzione, e il nostro tempo, più del dovuto. Alcuni esperti mettono in guardia anche sul rischio di perdere di vista i nostri desideri o le nostre volontà, o sull’atrofizzazione del senso dell’orientamento e dell’intuizione in un mondo che vedrà la tendenziale scomparsa delle sorprese, belle o brutte che siano (basta pensare all’uso del GPS, che per arrivare in tempo a un appuntamento di lavoro è molto utile, ma per scoprire una regione o una città mentre siamo in vacanza può essere decisamente controproducente, conducendoci sui percorsi più scontati).
Oltre, naturalmente, ai problemi pratici che un mondo, una città, una casa e una vita personale continuamente connessa potrebbe avere in caso di malfunzionamenti di qualsiasi genere. Se dipenderemo interamente dai sistemi smart, le conseguenze che potrebbe provocare un crash informatico, un attacco hacker o una semplice diminuzione della potenza energetica dovuta a fattori ambientali imprevedibili potrebbero essere drammatiche.
Il primo tra tutti i dilemmi che gli esperti interrogati dal Pew si pongono, però, è quello sulla distinzione tra ciò che sarà pubblico e quel che riusciremo a mantenere a livello personale. L’interconnessione a cui saremo sempre più esposti e i feedback che questa produce ci obbligano a pensare alla potenziale continua violazione della privacy e all’uso che dei nostri dati farà chi avrà il potere e il denaro per comprarli. “Tra pochi anni la privacy non esisterà più”, sostiene Nick Wreden dell’University of Technology Malaysia di Kuala Lumpur. La parola stessa perderà completamente significato e verrà sostituita con altri concetti e valori, come la condivisione o la necessità di rimanere aggiornati. Cambierà il nostro modo di stare al mondo e di intendere una società.
Iniziamo ad abituarci a non pensare più in termini di privacy, quindi, e a rivedere ampiamente il nostro concetto di libertà, almeno per come siamo abituati a intenderla tradizionalmente. Tant’è, continua Wreder, che “gli esseri umani hanno dimostrato più volte di essere disposti a vendere la propria anima per un buono sconto da un dollaro”. Ce la siamo cercata, insomma. E ora abbiamo solo dieci anni per allenarci a vivere nell’Internet delle cose. Non sono molti, ma probabilmente non serviranno nemmeno tutti per arrivarci. Ci siamo già dentro, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il nostro amico va già in vacanza lasciando la webcam a sorvegliare la casa, ma forse saremo noi, per un po’ d’anni ancora, quelli che dovranno andare a staccare la spina dell’aggeggio nel caso una nuvola passeggera faccia continuamente scattare l’allarme o un’avaria elettronica mandi in tilt il sistema e lo bombardi di e-mail mentre lui prende “tranquillamente” il sole in un’isola dei Caraibi.
Claudia Cucchiarato