SOCIETÀ

Thanksgiving: le molte facce di un "grazie"

Norman Rockwell, l'illustratore americano della gente americana sulle copertine del Saturday Evening Post, ne ha firmata, tra le centinaia, una celeberrima apparsa il Giorno del Ringraziamento del 1952: si intitola "Saying Grace" e mostra, come spesso accade nelle opere dell'artista, un interno giorno statunitense. Vi compaiono il tavolo di un ristorante condiviso da una coppia di giovanotti con sigaretta e da un'altra formata da nonna e nipotino raccolti, accartocciati quasi, in preghiera prima del pasto. "Saying Grace" di proprietà di un privato, è stato battuto all'asta lo scorso anno da Sotheby al prezzo-record per l'autore di 46 milioni di dollari, ovvero 13.000 volte di più del prezzo corrisposto a Rockwell all’epoca dal Post. La tela non compare nella grande retrospettiva “American Chronicles” che la Fondazione Roma dedica all'arte di Norman Rockwell fino al sette febbraio prossimo (con 100 opere in mostra tra dipinti, documenti e fotografie), ma è presente comunque nell'esposizione romana come copertina originale del Post. Fa infatti parte delle 322 realizzate tra il 1916 e il 1963 che compongono la raccolta completa delle sue opere realizzate per la rivista, visibile di norma al Rockwell Museum in Massachusetts e per qualche mese, appunto, ospite di Palazzo Sciarra.

"Saying Grace", nato dal racconto di una scena reale fatto da una lettrice del Post (Rockwell traeva spesso spunto da aneddoti  e situazioni vissute  che quasi sempre immortalava in fotografia), esprime il senso della gratitudine americana del Thanksgiving celebrato negli States ogni quarto giovedì di novembre. In questo caso, però, non fa diretto riferimento alla festività come invece accade in diverse altre tele dell'artista, di solito ritratti di gruppi di famiglia casalinghi dove campeggiano trionfi di tacchini ripieni di castagne accanto a tremule gelatine di mirtilli su tavole di lindi soggiorni borghesi. Forse il successo di questo speciale "rendere grazie" è proprio quello di essere stato colto  nella sua celebrazione in un luogo pubblico, a un tavolo comune, dove una piccola famiglia siede e si stringe nel cerchio magico della propria privata devozione, incurante degli sguardi altrui,  come musulmani rivolti alla Mecca, in una preghiera di ringraziamento per il cibo che  hanno davanti e, in senso lato, per ogni altro dono ricevuto dalla vita. La tradizione americana del Giorno del Ringraziamento, come è noto, affonda le sue radici nel viaggio dei Pellegrini della MayFlower che, approdati in quello che avrebbero ribattezzarono New England, sarebbero morti di fame senza il dono di prodotti locali (tacchino e mais su tutti) da parte dei nativi, perchè le sementi importate attecchivano molto meno delle malattie made in Europe.

Vuole la leggenda che il pasto di cui ancora oggi riecheggia memoria nelle tavole stelle e strisce venne condiviso nel 1621 dai pellegrini coi buoni selvaggi, in pace ed armonia; non se la sono bevuta, questa versione della storia, né Williams Burroughs né Mercoledì Addams in "La famiglia Addams 2" e forse in fondo neanche Rockwell che, cantore dell'American way of life, ne fu anche sottile e ironico critico dall'interno, sia in tele solo apparentemente innocue come le canzonette italiane degli anni Trenta (i suoi boy scout sono quelli simmetrici e ribelli di Moonrise Kingdom di Wes Anderson, i ragazzini discoli inseguiti dai policemen sono parenti stretti dei Peanuts e del primo Mickey Mouse) sia in lavori di aperta denuncia contro, ad esempio,  discriminazioni razziali   e guerra in Vietnam.

Reale o preteso che sia, il significato dello scambio di doni alimentari alla mensa dei Padri fondatori ricorda quello espresso da Mark R. Anspach (antropologo di origine calforniana operante di Europa,  dottorato in letteratura con  René Girard)  nel suo "A buon rendere", saggio sulla reciprocità nella vendetta, nel dono e nel mercato. Nel circolo viziosissimo di tutte le  interazioni umane (che siano rapporti tra tribù , coloni e indigeni o genitori e figli)  lo scambio distruttivo della violenza può sublimarsi in quello pacifico e costruttivo del dono e trovare una garanzia di unità a livello superiore, in un terzo trascendente: gli spiriti, il Dio del quarto giovedì di novembre, la Famiglia, lo Stato, il mercato divinizzato.

Anspach si rifà al saggio di Marcel Mauss e identifica la forza del dono (la forza che fa sì che l’omaggiato ricambi)  in quello che i maori della Nuova Zelanda chiamano hau, lo spirito del dono che si incarica di trasformare chi riceve il dono in donatore a sua volta. E l'offerta dei doni “di ritorno”, citando Marshall David Sahlins, si ricollega alla necessità di assicursarsi il continuare dell'abbondanza di prodotti nei cicli di scambio rituale (stessa captatio benevolentiae che si sostanzia nella dinamica dei sacrifici propiziatori).

Sempre sul solco delle teorie di Mauss, Anspach sottolinea come nel dono ci sia, quale componente immancabile,  il regalo di una parte di sé stessi. Componente che viene meno negli scambi economici moderni dove la corresponsione del denaro serve a mettere fine alla relazione, non a garantirne la prosecuzione.

Certo, nel caso dei nativi americani il dono del cibo ha significato il dono di ben più di una parte di se stessi, diciamo pure piuttosto di una intera identità di popolo e storia centenaria, spazzolate via e  fagocitate con le patate dolci e la torta di zucca. Col Giorno del Ringraziamento rimane comunque l'opportunità, oltre di tornare a casa per le vacanze (e dare il  via così a rancorose trame familiari al centro di mille film e telefilm) di avere un momento di raccoglimento, fosse anche nel rumore collettivo di una tavola calda come quella immortalata da Rockwell.  Come ha detto Kennedy nel suo discorso del Thanksgiving del 1961, "a day of contemplation" sulle proprie  fortune, rare o abbondanti che siano. L'occasione annuale, tornando ad Anspach,  di  trattare  con una trascendenza purchessia e capire che alla fine si può fare i conti però solo con se stessi:  individui, piaccia o no, legati a una moltitudine di persone in un sistema sempre più vasto e complesso, interconnesse e portatrici sane di conflitti, sminabili con la grazia del dono.

Silvia Veroli

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