SOCIETÀ
Zanonato: la vera insicurezza sono la crisi economica e i cambiamenti climatici

Quando diventa sindaco per la prima volta nel 1993, l’Italia si trova in piena Tangentopoli, con un’intera classe politica colpita dalle inchieste delle procure su corruzione e finanziamento illecito ai partiti. La geografia politica non ha ancora disegnato i confini del lungo regno di Berlusconi e il web non è la grande rete che permette lo scambio delle informazioni su scala mondiale. Flavio Zanonato, tre elezioni vinte (con la parentesi di un mandato sfuggito per pochi voti), rappresenta vent’anni della storia politica della città. Sembra strano tanto successo per un ex dirigente del partito comunista in una “città bianca”. Strano, se non si considera il fatto che Zanonato è espressione autentica di quel partito del “fare”, bandiera di un Nordest un po’ in crisi, ma capace di convincere gli elettori anche oltre le diffidenze ideologiche.
Parliamo di “Padova come città della scienza”. Si tratta di un esempio di marketing territoriale o di una prospettiva con la quale attrarre in città nuove intelligenze, nuove capacità?
Padova è città della scienza, non è una mia invenzione. Il contesto in cui sono cresciute le iniziative lanciate sotto questo nome non è il turismo culturale e neppure l’attrazione dei “cervelli”, che è compito dell’università e della ricerca. Si tratta invece di iniziative legate alla promozione della cultura della divulgazione scientifica: nascono così il premio Galileo, i Nobel ospiti della città, il premio Padova città delle stelle e lo stesso planetario. Da un lato è un modo per rispondere alla lamentata crisi delle “vocazioni” degli studenti per le materie scientifiche, dall’altro è il frutto della considerazione che educare alla razionalità e incentivare l’approccio ai problemi seguendo un metodo scientifico riduce l’animosità tra le persone. Fa prevalere l’oggettività nella valutazione delle situazioni.
Centro congressi e auditorium che posto occupano nel quadro dell’economia culturale cittadina?
Il centro congressi si inquadra nella prospettiva del turismo d’affari, che chiede disponibilità di spazi adeguati, strutture ricettive all’altezza e una città in grado di attrarre anche dal punto di vista artistico. 1.600-600-200-200-200: è la serie che rappresenta la capienza delle sale del centro congressi. Senza dimenticare che un convegno può creare, accanto alla dimensione scientifica, anche l’occasione per scambiare informazioni e avviare contatti per lo sviluppo di un prodotto o la commercializzazione di un brevetto. L’auditorium diventerebbe invece “un’azienda” culturale, con 1.200/1.300 posti e il compito di rivolgersi a un bacino d’utenza allargato a tutto il Triveneto. Con il precedente presidente della Provincia c’era concordia di obiettivi e il finanziatore dell’opera, la Fondazione Cassa di Risparmio, era incoraggiato a investire. Adesso la situazione con la Provincia è cambiata e la discordia sembra scoraggiare i finanziatori. Ma sono pronto a ridurre la richiesta di finanziamenti da 35 a 20 milioni e andare avanti con il progetto di Kada.
Il centro San Gaetano è stato inaugurato da due anni, uno spazio che sembra però privo di un’identità precisa dal punto di vista culturale …
Il San Gaetano è stato pensato come una piazza e come tale ospita eventi non omogenei. Una piazza vive di proposte popolari, culturali come la musica o il teatro o anche commerciali. Così è per il San Gaetano, che ospita una biblioteca con 600.000 volumi, registra 250.000 accessi all’anno e ha una precisa programmazione delle attività nei prossimi due anni.
Le indagini statistiche ci danno l’immagine di un’Italia più anziana, più multiculturale. Visto così non sembra un problema di sicurezza, ma quali necessità porta con sé il fenomeno?
La sicurezza è un problema di carattere ampio. L’11 settembre 2001 e il crollo delle Torri gemelle a New York ha cambiato radicalmente il modo di avvertirla: tutto diventa possibile, anche minacce che nessuno riesce a immaginare. C’è un problema di percezione della sicurezza anche riguardo ai cambiamenti climatici che sconvolgono il territorio o alla crisi economica che stiamo vivendo. Chi si trova nell’incertezza cerca uno sfogo che normalmente va a colpire l’anello più debole, il bersaglio più facile. Certo si possono creare aree di degrado o disordine legate all’immigrazione, senza però dimenticare le responsabilità dei cittadini: chi acquista da uno spacciatore immigrato alimenta un mercato illegale. La repressione è uno strumento, quando c’è violazione delle leggi, ma la criminalità resta un fenomeno circoscritto e lo confermano i dati. Un fatto indiscutibile è invece la ricchezza prodotta dagli immigrati, misurabile anche concretamente con il contributo dell’11% al nostro Pil.
Vanno superate le barriere linguistiche, con corsi di italiano che permettono di aprire un reale dialogo con gli immigrati. Rimuovendo il principale ostacolo culturale, specie per quanti parlano lingue molto diverse dalla nostra, si apre la strada alla comprensione reciproca e si favorisce l’integrazione nella città. Si dovrebbe puntare di più anche sul tempo libero, perché ci sia un’altra dimensione dopo il lavoro. Penso a spazi che garantiscano la possibilità di stare assieme, di fare festa, di conservare le proprie tradizioni, di “spiegarle” anche agli italiani: di rendere effettivo il multiculturalismo.
Il centro storico si è da tempo svuotato delle attività tradizionali dell’artigianato lasciando spazio alle piccole attività commerciali e alle grandi firme. È possibile invertire la tendenza?
Il salotto buono della città, quello con i palazzi più imponenti era un tempo il Prato della Valle. Attorno ad esso ruotava la pianta di Padova. La zona del ghetto e quella delle piazze erano zone popolari, densamente abitate da artigiani che vivevano e lavoravano qui. L’arrivo della ferrovia nell’Ottocento ha spostato il baricentro della città, trasformando anche queste zone, che sono diventate sempre più commerciali.
Noi non abbiamo consentito l’apertura di grandi centri commerciali in centro storico per non favorire una concorrenza caratterizzata da una forte disparità di mezzi e abbiamo salvaguardato la vitalità dei piccoli esercizi. I “contratti di quartiere”, come quello sperimentato al Portello, sono gli strumenti che consentono di riqualificare un’area urbana, ma questo non tornerebbe a rendere il centro storico una zona popolare. La abitano in prevalenza anziani e i valori immobiliari che sono cresciuti nel tempo allontanano quella parte di popolazione che ha trasferito in zone più periferiche attività e abitazioni.
Anche il nuovo ospedale sorgerà in un’area decentrata. Perché?
La sua costruzione permetterà di mantenere in efficienza una grande azienda. Ci si trova infatti nella stessa situazione di una persona che ha una macchina vecchia, che consuma molto e che costerebbe troppo rattoppare. L’azienda ospedaliera è la prima azienda della città per dimensioni con un indotto importante per il territorio: questa nuova opera consentirà la realizzazione di un grande campus, circondato dal verde, con aree di parcheggio e servizi adeguati, sfrutterà le soluzioni tecnologiche più avanzate con garanzie di eco compatibilità. È inoltre una struttura che non è al servizio solo dei cittadini di Padova ma di tutti coloro che, venendo anche da lontano, scelgono l’ospedale di Padova per le cure.
Il presidente della Regione Zaia ha affermato che farà ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto sulla Spending review, intanto c’è chi parla di scomparsa delle province. Ma quali sono le ricadute sui comuni?
Zaia fa propaganda. Si può fare ricorso quando viene leso un diritto, ma senza un “fatto” da impugnare non si può ricorrere direttamente. Le province invece non vengono azzerate, ma ridotte e accorpate. Scomparirà l’organo democratico che le governa e si trasformeranno in un consorzio di comuni ai quali saranno trasferite alcune delle loro vecchie funzioni. Si avrà un risparmio ma non credo abbia le proporzioni di cui si parla. Per i servizi dei comuni invece le conseguenze saranno più pesanti, visto che a livello nazionale le tasse dei cittadini vanno a pagare gli interessi sul debito pubblico (che aumentano), dall’altro i servizi e gli investimenti, che diventano gli unici a poter essere tagliati. A non pagare il debito, non resta infatti che il default.
Carlo Calore