SOCIETÀ

Sport e maschilismo: il problema non è Collovati

In principio erano disciplinate. Sì, beh, c'era stato l'antipatico episodio della mela e del serpente, ma poi le donne si erano date una regolata: stavano a casa (nella caverna), coltivavano le piante mentre gli uomini cacciavano bisonti, non si sottraevano ai doveri coniugali perché all'epoca la procreazione era una cosa seria e insomma, stavano al loro posto: le donne facevano ciò che era loro richiesto, più o meno bene ma lo facevano. I discendenti di Adamo avevano tirato un sospiro di sollievo, perché, con quelle premesse, pensavano peggio.

Poi però si erano distratti. Ed ecco che in quattro e quattr'otto (qualche migliaio di anni), le donne hanno cominciato a pretendere. Tutto. Soldi, auto sportive, indipendenza, addirittura di votare e di provare piacere sessuale. Roba da spiazzare qualsiasi Neanderthal che si rispetti, figuriamoci poi quando ti ritrovi in spogliatoio con il tuo compagno di squadra completamente depilato che si spalma la crema antirughe sulle zampe di gallina, lamentandosi di essere arrivato troppo tardi. È la deriva delle certezze e tu, maschio alfa, cominci quasi a rimpiangere i tempi in cui eri inseguito dalle fiere preistoriche, perché avevi la certezza che quando tornavi a casa Lei era sempre lì ad aspettarti (se non era passata una fiera anche nella tua caverna).

In questo sfacelo morale, solo una cosa è rimasta sacra: lo sport, e in particolare il calcio, almeno in Italia. Ad oggi, solo due donne su 97 siedono alla presidenza degli organismi riconosciuti dal Coni, negli altri paesi le sportive più blasonate prendono la stessa cifra che in Italia è destinata all'intera squadra di pallavolo, nessuna donna è mai stata presidente di una delle 45 federazioni sportive che formano il Comitato Olimpico, a parte una, per pochi mesi.

Certo, alcune donne le vedi in tv che parlano di calcio, ma non le ascolti davvero. Sono lì perché ogni tanto va bene intervallare le parole di un vero esperto inquadrando una silhouette più consona ai gusti maschili, anche perché così puoi approfittarne per scherzare con gli amici su cosa deve aver fatto per riuscire a calcare quei prestigiosi schermi. Ovviamente, ciò che ipotizzi abbia fatto lei lo avrebbe fatto con un uomo, che non ci avrebbe pensato due volte a sacrificare la qualità del programma tv per la silhouette di cui sopra, ma su di lui scherzi non se ne fanno mai, perché sotto sotto, è proprio il caso di dirlo, pensi che abbia fatto bene. Ma non è possibile che una donna alla tv possa parlare di sport con cognizione di causa?

Ci pensa Fulvio Collovati a chiarire la questione: le donne non possono parlare di tattica, al massimo possono raccontare com’è andata la partita. E sì, questo vale anche per Caterina, la moglie giornalista, che anzi è d’accordo con lui.

Certo, non la capiscono, la tattica. Neppure quelle che a calcio ci giocano, e questo spiega lo scarso interesse dei media per il calcio femminile. No, non l'ha detto Collovati, ma lo dicono molti padri di famiglia che vanno a giocare a calcetto il venerdì sentendosi Cristiano Ronaldo e lamentandosi dei dolori muscolari per tutto il giorno successivo con le mogli che li guardano comprensive, sperando che lui le porti a fare un giro al centro commerciale. Perché il problema non è Collovati. Fabrizio Salini, amministratore delegato della Rai, lo ha sospeso per due settimane da tutte le attività dell'emittente, e ha fatto benissimo. Peccato che è come cercare di curare la tubercolosi porgendo un Kleenex: Ammirevole, ma inutile.
Perché poi arriva Giancarlo Dotto, sul Corriere dello Sport: "Una donna, ma diciamola femmina, che parla di calcio, non mi rivolta lo stomaco, smette di esistere l’attimo stesso in cui lo fa. Ma non perché sia inadeguata e blateri sfondoni, come insinua maldestro Collovati. Smette di esistere, al contrario, quanto più è adeguata, quando ne parla in modo credibile e ti sorprendi a pensare toh, è più brava di Beppe Bergomi. Lì mi diventa insopportabile. Arrivo a detestarla, per quanto si sottrae al dovere estetico ed etico della differenza, precipitando nell’aberrazione della citazione maschile."

Se Collovati aveva la scusante del "momento chiacchiera" non si può dire lo stesso di Dotto, che ammette, grazie tante, che una donna possa essere davvero in grado di parlare di tattica, ma si chiede come mai dovrebbe farlo, quando c'è un "dovere estetico ed etico" di differenziarsi dagli uomini. Insomma, perché certe donne si ostinano a parlare di tattica? Non potrebbero andare a fare shopping come tutte le altre? E Aspettare il marito con la cena pronta in tavola?

E no, purtroppo il problema non è neppure Dotto, che assieme a Collovati è solo un sintomo del morbo, ben più generalizzato, della discriminazione sessuale. Il problema sono i ragazzini del patronato che credono che la ragazza sugli spalti li stia guardando perché è innamorata di loro, i giornalisti allo stadio che vedono il collega prendersi delle libertà con la stagista e gli fanno l'occhiolino, il dirigente che assume la conduttrice sulla base delle sue misure e non della sua competenza, l'allenatore che, contestato da una giornalista in conferenza stampa le risponde chiamandola "signorina" e proseguendo con fare paternalistico, e si potrebbe continuare all'infinito.

E poi il problema sono le donne, certo. Le donne che si adeguano al sistema, o quelle che all'ennesimo episodio discriminatorio mollano tutto e vanno a parlare di moda (perché così sì che si ristabiliscono i ruoli!), le donne che scelgono di non lottare perché hanno uno stipendio troppo basso per comprarsi anche il Maalox. E sì, il problema è anche la stagista, che al suo superiore avrebbe dovuto dare uno schiaffo. Ma tanto, poi, gli astanti avrebbero commentato che aveva reagito così perché, si sa, le donne sono suscettibili “in quei giorni”. E allora, se non siamo disposti a fare un bel po’ di rumore che non si limiti ai commenti sui social, forse dovremmo lasciare che Collovati esprima le sue opinioni neandertaliane senza far finta di indignarci, anche perché dopo qualche giorno smetterà inevitabilmente di essere un trend-topic.

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