SCIENZA E RICERCA
Negli strafalcioni dei bambini le stesse dinamiche evolutive delle lingue nei secoli
Foto: Fernando Venzano / unsplash
L’evoluzione linguistica è un processo culturale fondamentale che accomuna ogni gruppo umano e lo accompagna nel corso della storia. Attraverso gli anni, i secoli e i millenni vecchie parole assumono nuovi significati, concetti diversi vengono accomunati sotto lo stesso termine, nuove scoperte, entità, ideologie e fenomeni hanno bisogno di nuove parole per essere definite.
Secondo i risultati di uno studio internazionale pubblicato su Science, l’apprendimento del linguaggio durante l’infanzia e l’evoluzione di una lingua nel tempo si fondano entrambi su una basilare forma di creatività umana, ovvero la capacità di manipolare il lessico e la semantica per attribuire a vocaboli già conosciuti significati nuovi che, con il passare degli anni, si radicano nel linguaggio tramite meccanismi di trasmissione culturale.
In particolare, il processo creativo tramite cui vengono utilizzati vocaboli già esistenti per indicare oggetti nuovi si chiama estensione del significato delle parole, e non si manifesta solo nell’evoluzione linguistica sul lungo periodo, ma anche a livello individuale, per quelle persone che stanno apprendendo una nuova lingua, proprio come i bambini nei primi mesi e anni della loro vita.
Studi scientifici hanno già indagato il vantaggio di questa creatività lessicale a livello cognitivo, dimostrando come essa sia funzionale per l’apprendimento, il recupero e l’interpretazione delle parole Mentre tra i bambini che stanno imparando a parlare la forma di creatività lessicale più comune è la sovraestensione, ovvero l’uso improprio di una stessa parola per esprimere più oggetti o concetti (come, ad esempio, la parola “cane” per riferirsi a qualunque animale o “mela” per indicare qualsiasi oggetto rotondo), a livello di popolazione l’evoluzione del lessico avviene attraverso altre modalità. La principale di queste è chiamata colessificazione; si tratta del fenomeno per cui una stessa parola, nel corso della storia, finisce per esprimere due concetti o entità correlati, come è avvenuto, ad esempio, nella lingua catalana con il termine “dit”, che oggi viene usato per indicare sia “dito” che “alluce”. Un’altra modalità tipica attraverso la quale avvengono processi di creatività lessicale sul lungo periodo è il cambiamento semantico, il fenomeno tramite il quale una parola già inclusa nel vocabolario di una certa popolazione viene utilizzata, ad un certo punto, per definire qualcosa di nuovo. Questo è ciò che è accaduto per la parola “mouse” che mentre una volta descriveva solo il “topo” nella lingua inglese, ora indica anche il dispositivo informatico che magari abbiamo sottomano proprio in questo momento.
Anche le forme di creatività lessicale appena descritte sono state indagate dalla ricerca sull’argomento, che però ha finora esplorato separatamente i fenomeni in questione: da una parte la psicologia dello sviluppo ha approfondito le modalità tramite cui i bambini sovraestendono i significati di alcune parole per riferirsi ad altro, e dall’altra la linguistica e la psicologia cognitiva si sono occupate di studiare la colessificazione e i cambiamenti semantici storici a livello di popolazione.
Ispirati dai risultati di questi filoni di ricerca, gli autori dello studio citato all’inizio, che riporta come prima firma quella di Thomas Brochhagen assistente professore al Dipartimento di traduzione e scienze linguistiche dell’università catalana Pompeu Fabra, hanno deciso di provare a combinare i due approcci in questione, con l’ambizioso obiettivo di aprire la strada a una teoria unificata della mente e dell’evoluzione del lessico.
Individual and population-level word meaning extension share a cognitive foundation, a new Science study finds. The results "have major implications for the study of language change over evolutionary history."https://t.co/nxpVwj0CAR#SciencePerspective: https://t.co/6hKeYwotqQ pic.twitter.com/mIRChr8B3u
— Science Magazine (@ScienceMagazine) August 1, 2023
Brochhagen e coautori si sono chiesti, in particolare, se le tre forme di creatività lessicale citate (sovraestensione, colessificazione e cambiamento semantico) si basassero su meccanismi cognitivi comuni. Servendosi di un dataset che comprendeva 254 casi accertati di sovraestensione nei bambini, 22.379 casi accertati di colessificazione e 1792 di cambiamento semantico storici, i ricercatori hanno innanzitutto ricostruito i meccanismi alla base di ognuna delle tre forme di creatività in questione per scoprire, in altre parole, su quali tipi di somiglianze percepite tra parole e concetti si basasse ognuna di esse.
Hanno poi costruito due modelli computazionali: il primo era costruito esclusivamente con i dati tratti dai casi di sovraestensione dei bambini e replicava quindi il processo attraverso cui questi ultimi usano la creatività lessicale per attribuire nomi che già conoscono a oggetti nuovi; il secondo, invece, programmato a partire dai dati accertati di trasformazione linguistica storica riproduceva le dinamiche di colessificazione e cambiamento semantico attraverso le quali una lingua evolve nel tempo.
Dopodiché, è stato svolto un lavoro chiamato “analisi predittiva incrociata” che serviva a valutare quanto accuratamente ognuno dei due modelli fosse in grado di riprodurre i dati di partenza dell’altro. I risultati di quest’operazione hanno prodotto i risultati sperati: i modelli costruiti a partire dai dati dei bambini predicevano in modo soddisfacente anche i meccanismi di evoluzione linguistica a livello di popolazione, e viceversa.
Sulla base di questi risultati, gli autori ipotizzano l’esistenza di una universale creatività lessicale che accomuna gli esseri umani e i cui effetti sono osservabili sia nell’esperienza individuale – durante l’apprendimento di una nuova lingua – sia a livello di popolazione – con l’evoluzione linguistica nel tempo. I ricercatori ipotizzano che tale forma di creatività si basi essenzialmente su due componenti: da una parte l’esperienza che acquisiamo su oggetti, elementi, proprietà e relazioni, dall’altra l’uso di tale conoscenza per collegare una parola nota con un significato nuovo, sulla base di diverse tipologie di somiglianze (visive, di contesto, tassonomiche o affettive) che individuiamo tra i due.
Le conclusioni di Brochhagen e coautori non bastano però a spiegare quale sia esattamente la natura di questa basilare capacità cognitiva. Per questo motivo essi si auspicano che la ricerca futura si dedichi a una più approfondita indagine dei meccanismi neurologici su cui essa si fonda. Infine, il filone di ricerca in questione potrebbe avere applicazioni significative anche nello studio dei processi di apprendimento delle seconde lingue negli adulti. Lavori futuri potrebbero infatti cercare di rilevare eventuali analogie tra gli errori commessi dagli studenti che imparano una nuova lingua e i fenomeni di sovraestensione osservati nei bambini in fase di apprendimento.