SOCIETÀ

Sviluppo sostenibile: non bisogna più delegare alle generazioni future

“Lo sviluppo sostenibile è un tema specifico, ma estremamente ampio. Per questo, nel coinvolgere le persone in comportamenti e attenzioni che orientino l’economia verso una direzione meno consumante e auto-consumante, penso sia importante trovare storie e racconti che aiutino da un lato a non minimizzare la questione e dall’altro a focalizzare l’attenzione sull’importanza delle responsabilità.” A parlare è Andrea Segre, regista di film e documentari come Il Pianeta in Mare, L’ordine delle cose, I sogni del lago salato, La prima Neve, Io sono lì, protagonista il 4 dicembre alle 17, in Archivio Antico a Palazzo del Bo, del primo di un ciclo di incontri su Arte e sostenibilità, organizzati da MAPS – Itinerari artistici per comprendere e UniPadova Sostenibile. 

Per Segre è importante non ridurre la sostenibilità ad una cosa risolvibile solo con i piccoli gesti dei singoli, come "faccio o non faccio la differenziata", perché non è un approccio che allarga la direzione di attenzione e in contemporanea ritiene fondamentale aiutare il cittadino a capire quali sono le scelte veramente utili, che possono determinare o meno la sostenibilità dello sviluppo. “A questo proposito - aggiunge - ho trovato molto illuminante un articolo di Bill McKibben pubblicato qualche settimana fa sulla rivista Internazionale, dal titolo Padroni del clima, tratto dal New Yorker. Il pezzo ripercorre le catene di responsabilità della finanza, del mondo delle banche e delle assicurazioni, che sostengono ancora industrie inquinanti. L’autore, con competenza ma anche con bella capacità narrativa di esporre e coinvolgere, arriva a raccontare le azioni che alcune associazioni ambientaliste hanno individuato come disturbanti di quelle responsabilità e nello stesso tempo evidenzia all’opinione pubblica i soggetti a cui bisognerebbe chiedere di cambiare il mercato e lo scenario economico".

Questa unione tra le due direzioni, evitare la minimizzazione ed individuare le responsabilità, secondo il regista serve a costruire una comunicazione che non lascia disorientato il cittadino. Perché è molto forte la produzione di racconti sui rischi e le conseguenze di un modello di sviluppo non sostenibile, “però a lungo andare questo induce un forte disorientamento, che porta a rimandare, fino ad arrivare a sperare sempre che almeno le nuove generazioni si attivino. Come dire: noi siamo rimasti frustrati a non riuscire a cambiare certe cose, speriamo che ci riescano loro".

E nella visione del regista, questo è dovuto al fatto di sentire che i piccoli gesti, sia nella loro singolarità ma anche nella loro somma, non sono sufficienti a cambiare qualcosa. Infatti, per lui non è più dai piccoli gesti che può partire la trasformazione, non è a valle del processo produttivo che devono cambiare le cose, ma a monte. Lì dove ci sono delle responsabilità chiare, delle direzioni in termini di macroeconomia, di investimenti e di interessi multinazionali, che sono comunque sempre ricollegabili anche alle nostre scelte. “Questa secondo me - sottolinea Segre - è una chiave sulla quale si può cercare di dialogare, invitando le persone a chiedersi: cosa fanno i miei soldi anche mentre non so che stanno facendo qualcosa? Tantissima gente affida i propri risparmi a compagnie che sembrano solide ed efficaci nel fare profitti, senza pretendere un controllo sull’utilizzo che viene fatto di questo denaro. Ma i risparmi di tutti noi assieme determinano veramente una direzione dell’economia. E se tutti decidiamo di non dare i nostri soldi alle banche che investono ad esempio in carbon fossile, allora quelle banche ad un certo punto dovranno orientare i propri investimenti verso chi fa energia in altro modo.”

La comunicazione capace di avvicinare e di coinvolgere su questi temi, del resto, è purtroppo ancora poco frequente. E il regista racconta di quanto questo sia diventato a lui molto chiaro, girando il suo ultimo film Il Pianeta in Mare a Marghera: “Mi sono reso conto di situazioni importanti che però da cittadino non guardavo, soprattutto perché non mi erano state raccontate. Marghera infatti sembra un posto decadente, di cui nessuno parla più. Eppure, produce l’energia per tutto il nord est, le grandi navi, la benzina per una buona fetta di distributori del nord Italia, i fluidi con cui vengono prodotte le plastiche. Ma non c’è attenzione pubblica verso questa zona. E questo è un esempio di come ci sia un interesse generico ai problemi del pianeta ma non vengano individuate, né messe in evidenza, chiare responsabilità che possano darci delle direzioni di scelta e di azione".

Dunque, la comunicazione, la produzione artistica e narrativa dovrebbero, secondo Segre, riuscire ad avere la qualità estetica del racconto, senza essere specialistici, né banali e senza un’identificazione etica predeterminata. Dovrebbero essere capaci di coinvolgere e contemporaneamente mettere nella condizione i cittadini di scegliere e di muovere le loro decisioni verso un cambiamento strutturale. 

Questo cambiamento però - conclude Andrea Segre - richiede una trasformazione complessa. Infatti, dopo decine di anni in cui è stata creata un’abitudine e si è detto alle persone: “quello di cui ti devi occupare è solo di cercare di migliorare la tua condizione materiale”. Modificare il messaggio e dire alle stesse persone che la loro azione si deve invece orientare anche a migliorare la dimensione collettiva, comporta un cambiamento notevole. Perché anche se non siamo contenti delle nostre società, viviamo comunque ancora nell’abitudine. È un passaggio che richiede maturazione. Serve unire all’indignazione anche chiare azioni che diventino reali motori di sviluppo".

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