SOCIETÀ

Il terrorismo in Italia e quella verità che manca

"La nostra più viva preoccupazione, in quel momento, era Padova oltre che Roma. Roma per gli atti terroristici, Padova come centrale e luogo di magistero della violenza”. Così Virginio Rognoni, ministro dell’Interno tra il 1978 e il 1983, in un’intervista di qualche anno fa. Non è quindi esagerato dire che negli anni ’70 la città veneta fu uno degli epicentri italiani del terrorismo: qui fu probabilmente progettata  la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, punto d’inizio della strategia della tensione, e sempre qui, il 17 giugno 1974, le Brigate Rosse inaugurarono la loro lunga catena di omicidi, mentre a poca distanza e teneva le sue lezioni il leader di Autonomia operaia Antonio “Toni” Negri.

Nulla di strano quindi che proprio Padova sia oggi in prima linea nel tentativo di promuovere quell’ampia e condivisa riflessione sul terrorismo che forse ancora manca nel nostro Paese. In questo senso va letta la pubblicazione da parte della Padova University Press del monumentale libro Il terrorismo di destra e di sinistra in Italia e in Europa, curato da Carlo Fumian e da Angelo Ventrone e presentato oggi durante un incontro di studi: una raccolta di interventi che traccia un vero e proprio stato della conoscenza su uno dei temi più controversi della nostra storiografia.

Del resto fin dall’inizio Padova e la sua università furono in prima fila anche nel comprendere e nel raccogliere la sfida che il terrorismo lanciava alla giovane democrazia italiana, come dimostra il magistero dello storico Angelo Ventura, critico severo e fiero oppositore della violenza ideologica, pronto a pagare in prima persona il prezzo delle sue idee (solo grazie alla sua pronta reazione si salvò da un attentato il 26 settembre 1979).

Il libro esamina, grazie agli interventi esposti durante due importanti convegni svoltisi nel 2015 e nel 2016, le diverse “onde” terroristiche che hanno flagellato il nostro Paese, considerate anche in un contesto internazionale per una interpretazione del terrorismo italiano che vada oltre le nicchie del localismo o delle visioni di parte. Perché, a oltre quarant’anni di distanza, sono ancora tanti gli aspetti da chiarire. Come mai l’Italia fu martoriata sia dal terrorismo di destra che da quello di sinistra, e per un periodo eccezionalmente tanto più lungo rispetto agli altri Paesi europei? E come mai, dopo tanti anni, la violenza sembra tornare a insidiare la nostra società, risorgendo periodicamente dalle proprie presunte ceneri? Il semplice confronto con la realtà tedesca e con quella francese bastano a mettere in risalto l’eccezionale rilievo del terrorismo italiano da tutti i punti di vista (tralasciando ovviamente, per il loro contenuto più radicalmente ‘nazionale’, i casi pur coevi e contigui del terrorismo irlandese, basco e palestinese).

Le questioni sono complesse e il libro le affronta con l’approccio peculiare evidenziato dal sottotitolo: “storici e magistrati a confronto”; ciascuno con il proprio ruolo, diverso e allo stesso tempo complementare, come sono diverse e complementari la ricostruzione storica e quella processuale. Se è vero che rispetto agli storici i giudici hanno un compito molto più preciso e limitato, che è quello di ricostruire le specifiche responsabilità penali, è allo stesso tempo palese che molte inchieste e le relative sentenze, nei diversi gradi di giudizio, sono ormai strumenti imprescindibili per ricostruire la nostra storia recente.

Anche nei suoi punti più oscuri, come ad esempio la sistematica opera di copertura e di depistaggio portata avanti da esponenti, anche ai più alti livelli, degli apparati di sicurezza dello Stato, che – come recita la sentenza di corte d’assise d’appello di Milano che nel 2016 sulla strage di piazza della Loggia – hanno in alcuni casi resa “impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità”, con un risultato “devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche”.

Tanti furono gli interessi e le posizioni in gioco ed è giunto il tempo, secondo gli autori e i curatori del libro, di parlarne con la necessaria chiarezza. Così come tanti, dalle superpotenze straniere ai vari sistemi e potentati nazionali locali loro referenti (a cominciare la loggia massonica P2 di Licio Gelli) approfittarono della situazione per trattare l’Italia come un campo di battaglia per una serie di guerre sotterranee condotte sulla pelle dei cittadini.

Questo non toglie ovviamente nulla alle responsabilità penali, storiche, politiche e umane dei terroristi, così come non sminuisce l’aberrazione e la violenza insita nelle loro visioni del mondo: quegli ‘ideali’ nel nome dei quali centinaia, forse migliaia di vite furono stravolte e massacrate. L’importante, sottolinea Carlo Fumian nell’introduzione, è tentare finalmente di ricomporre la frattura tra verità giudiziaria, verità storica e coscienza collettiva tramite una “profonda e completa operazione di verità”. Perché, come scrive il magistrato Pietro Calogero nel suo intervento, il terrorismo è stato anzitutto un attacco alla sovranità popolare e alla democrazia in cui viviamo: per questo la sua conoscenza storica continua ad essere una questione nazionale imprescindibile, oltre che ancora profondamente attuale.

Daniele Mont D’Arpizio

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