CULTURA

Venezia1600: vie romane di terra e di acqua nell’antica Laguna di Altino

Nel corso dei secoli alcuni territori, più di altri, hanno cambiato profondamente la propria fisionomia: è questo il caso della laguna settentrionale di Venezia, su cui recentemente si è focalizzata l’attenzione a seguito della scoperta di una possibile strada romana, oggi sommersa, lungo l’antica linea di costa che correva all’altezza del Canale Treporti, indagata da un’équipe di studiosi dell’Ismar-Istituto di Scienze Marine del CNR e dello IUAV di Venezia.

Per raccontare la mutevole fisionomia di questi luoghi costieri, abitati già in epoche antiche e incessantemente trasformati dall’azione naturale e antropica, l’invisibile deve prendere forma: alcuni spazi lagunari sono infatti andati progressivamente riducendosi a seguito dell’apporto dei corsi d’acqua, altri sono stati preservati dagli interventi messi in atto dai Veneziani sin dal XV secolo, altri ancora più recentemente strappati alle acque per recuperare terra da abitare e coltivare o modificati dalle correnti e dalle esigenze della navigazione. Terre anfibie, dunque, per giunta già segnate dall’inarrestabile fenomeno della subsidenza, dal graduale innalzamento del livello del mare e da periodici eventi alluvionali.

Nonostante ciò, i segni del passato e le antiche forme dei luoghi continuano a rivelarsi, a volte mediante tracce visibili in fotografie aeree, a volte grazie a carotaggi, altre ancora attraverso ritrovamenti terrestri o subacquei di strutture e manufatti archeologici. Numerose sono oggi le evidenze, in genere lacunose e di difficile interpretazione, che indicano però un’occupazione della laguna settentrionale di Venezia già a partire dall’epoca pre-protostorica, anche se il periodo meglio rappresentato è indubbiamente quello romano. Pionieri delle indagini in questo territorio sono stati Wladimiro Dorigo (1983) e soprattutto Ernesto Canal (2013), seguiti da un’intensa attività di tutela della Soprintendenza, che hanno individuato e documentato non un’occasionale frequentazione, ma una presenza stabile, anche se non tutte le ipotesi formulate sono accettate e condivise (ad esempio, l’esistenza di una vera e propria divisione agraria su terre completamente emerse proposta dal Dorigo). Grazie all’analisi critica dei dati pregressi e a nuove ricerche, studiosi dell’Università di Padova e dell’Università Ca Foscari di Venezia (Vivere d’acqua  hanno restituito negli ultimi anni l’immagine che in epoca romana doveva caratterizzare il golfo altinate. Dalla loro lettura emerge un paesaggio d’acque e terre emerse ricco di insediamenti, tra cui ville di pregio (una delle quali in corso di scavo a Lio Piccolo da Ca’Foscari), ed economicamente vitale, attrezzato con approdi secondari e particolari infrastrutture (note come “argini-strada”) funzionali al transito e/o alla delimitazione di spazi destinati alla produzione del sale e all’itticoltura.

Ciò che soprattutto è cambiato negli studi recenti è la prospettiva: tali rinvenimenti vanno messi in relazione non con Venezia e le sue origini, ma con la proiezione litoranea della città veneta e poi romana di Altinum. Sorta presso il margine interno della laguna settentrionale, Altino da sempre frequentò e strutturò la fascia costiera per sfruttarne le risorse e garantire i commerci endolagunari e marittimi; sin dal IV sec. d.C., per contrastare i fenomeni di interramento causati già in età romana dagli apporti fluviali, realizzò approdi e magazzini in posizioni più avanzate nella laguna, come hanno documentato gli scavi di Torcello condotti da Diego Calaon, trasferendo infine nel VII sec. d.C. la sede del potere religioso (il Vescovo di Altino, come ricorda l’iscrizione murata nella Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello) in quelle isole lagunari che allora garantivano sicurezza, economia, commerci, avanzando fino a Treporti e Cavallino (Torcello scavata). Solo agli inizi IX sec. d.C. sembra prendere avvio il nucleo insediativo di Rivo Alto/Rialto, così denominato per la profondità dell’antistante canale, in grado di assicurare agli abitanti la possibilità di navigare e quindi di sopravvivere, probabilmente promosso da élite della terraferma, ereditando il ruolo di Metamauco, insediamento insulare da localizzare nella laguna occidentale, tra Fusina e Porto Marghera, forse allo sbocco di un ramo del Meduacus (da cui deriverebbe il toponimo), che divenne sede episcopale dal 540 e capitale del Dogado nel 742: da Rivo Alto ebbe dunque origine l’attuale Venezia, che con il suo straordinario sviluppo (e le capacità nell’ingegneria idraulica) finì per espandersi nell’antica Laguna di Altino.

Per comprendere i resti archeologici di età romana che emergono nella laguna settentrionale di Venezia, comprese le scoperte più recenti, è necessaria una ricostruzione del contesto geografico coevo, che si avvale anche di dati archeologici, in una virtuosa e ormai imprescindibile ricerca multidisciplinare. Dalle approfondite indagini geomorfologiche condotte sulla bassa pianura alluvionale e costiera dell’Alto Adriatico risulta che lungo il litorale del Veneto orientale in età romana esisteva una sequenza continua di specchi lagunari navigabili, formatisi 6-7000 anni fa, come già suggerivano le fonti letterarie e documentarie; entro queste acque si allungavano i dossi formati dall’azione sedimentaria dei rami del Brenta/Meduacus, del Piave/Plavis e del Tagliamento/Tiliaventum attivi nei secoli (talora millenni) precedenti, alcuni dei quali poi occupati da corsi di risorgiva (quali il Sile/Silis, il Livenza/Liquentia e il Lemene/Reatinum). Tali specchi erano delimitati verso il mare da cordoni litoranei, che in età romana dovevano presentare un andamento non molto dissimile dall’attuale, ma che nella laguna nord di Venezia erano più spostati verso la terraferma. Nonostante il livello del mare fosse allora mediamente inferiore rispetto all’attuale di circa 1,50-2,00 metri, anche il limite interno delle lagune era più spostato verso la terraferma, attestandosi all’altezza del tracciato della via Annia, la strada consolare stesa verso la metà del II secolo a.C. su percorsi preromani che univano i centri costieri. Davanti ad Altino, dove oggi si trovano i depositi formati dal Sile a partire dall’età tardoantica, si estendeva un golfo che si apriva a ventaglio verso i lidi antichi, che si attestavano all’altezza di Canale Treporti, Canale San Felice e le isole di Lio Piccolo e Lio Maggiore (toponimi derivati da litus/lido), interrotti dalle bocche che mettevano in comunicazione la laguna con il mare, tra cui quella di Treporti (toponimo altrettanto significativo). In questa fase la principale via d’acqua di Altino era la prosecuzione degli alvei del Sioncello e del Santa Maria, che si univano a sud-est della città, dove si trovava il porto interno principale. Una seconda idrovia attraversava la laguna orientale, passando per Portegrandi, la barena del Vigno e Sant'Ariano, garantendo un collegamento con i rami del Piave.

Il sistema itinerario romano della fascia costiera si innervava su due direttrici principali che correvano parallele tra loro: una terrestre (la via Popillia-Annia, da Rimini ad Aquileia) e una di navigazione lungo acque interne e fossae artificiali condotte per transversum a collegare diversi rami fluviali (la cosiddetta "rotta endolagunare", completata nella prima età imperiale), i cui scali dovevano probabilmente trovarsi sul versante interno dei litorali; quest’ultima era collegata da un lato alle rotte marittime, dall’altro agli approdi posti allo sbocco in laguna dei diversi rami fluviali, sede talora di stazioni stradali. I fiumi costituivano le principali direttrici di penetrazione verso i centri urbani interni e i territori dell’entroterra, spesso fiancheggiati da strade.

Il sistema viario altinate, che integrava vie terresti e vie d’acqua, sia in partenza/uscita dalla città sia attorno ad essa, con funzione di moderne bretelle, faceva capo alla citata area portuale posta a sud-est della città, tra l’odierna palude di Cona (loc. Montiron), dove in passato è stata individuata una lunga struttura muraria in blocchi lapidei interpretata come “un elemento di banchina dell’antico porto” e un’area poco più a nord, dove le foto aeree hanno recentemente rivelato tracce di possibili imponenti strutture sepolte: non è un caso che in questo settore meridionale sorgesse l’antico santuario emporico di loc. Fornace, frequentato dal VI sec. a.C. Di qui, come detto, diversi canali navigabili attraversavano il golfo, permettendo un collegamento diretto di Altino non solo con le infrastrutture e i luoghi di produzione lagunare, ma anche con le rotte adriatiche che si appoggiavano agli scali litoranei. Testimonianze rilevanti di questo sistema sono emerse nella palude della Centrega, lungo il Canale Scanello con grandi edifici a pilastri, interpretabili come magazzini, e nel Canale San Felice, dove resti di una struttura in mattoni sesquipedali viene interpretata come possibile faro/torre di età romana, proprio dove si apriva la bocca portuale di Treporti.

È proprio in quest’area, sul fondale del Canale Treporti, davanti a Sant’Erasmo, che i recenti rilevamenti subacquei, attuati dal Cnr-Ismar di Venezia mediante un ecoscandaglio multiraggio ad alta risoluzione, hanno documentato diversi tratti di un’infrastruttura lineare, larga da 2 a 10 metri ed estesa su una lunghezza di 1.140 metri, con andamento parallelo all’asse del canale; tale infrastruttura era associata, nei due settori estremi, a strutture più poderose, di cui quella orientale identificabile con il presunto faro romano documentato da Canal. Grazie a indagini subacquee passate e recenti sono stati verificati i caratteri strutturali di tale infrastruttura, individuando l’impiego di “basoli” fiancheggiati da blocchi lapidei, mentre carotaggi hanno restituito la sequenza stratigrafica al di sotto del rivestimento lapideo fino a un antico paleosuolo. Nonostante la notevole profondità a cui giacciono i resti (mediamente -4,3/-5,3 metri), attribuibile a fenomeni erosivi, e i pochi materiali di età romana finora recuperati in associazione, la loro attribuzione a quest’epoca risulta coerente con l’assetto ricostruito dagli studi geomorfologici, ponendosi esattamente all’altezza dei lidi attribuiti all’età romana. Lungo questa fascia litoranea possiamo immaginare la presenza di un sistema di consolidamento/difesa, strutture di segnalazione/controllo in corrispondenza delle bocche di porto, così come di una strada di servizio.

Gli archeologi dello IUAV di Venezia pensano che si possa trattare addirittura di un tratto di strada basolata pertinente a un percorso steso lungo tutto il litorale, da Chioggia (Clodia) a Grado, in appoggio alla rotta endolagunare, quindi inserita nel sistema principale della viabilità romana. Si tratta indubbiamente di un’ipotesi molto suggestiva, anche se presenta alcune problematicità (per esempio, l’assenza di riferimenti nelle fonti, la sua esposizione agli effetti del clima e del mare, il fatto che costituirebbe l’unico esempio nella Venetia romana di strada basolata fuori dei contesti urbani, peraltro realizzata in pietra arenaria, roccia sedimentaria poco idonea alla pavimentazione stradale). In attesa che future indagini possano avvalorare cronologia e interpretazione di questa importante scoperta, i dati restituiti dal Canale Treporti costituiscono comunque un altro tassello prezioso per la ricostruzione del quadro geografico e antropico della fascia costiera: si apre una nuova e promettente stagione di studi sull’antica Laguna di Altino.

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