SOCIETÀ

Il web è davvero uno spazio aperto a tutti?

La consultazione delle pagine web oggi è diffusissima: consultiamo il Web per cercare dove andare a mangiare, l’orario al cinema del film che vogliamo vedere, informazioni sui nostri futuri viaggi, notizie di cronaca e a che ora apre il negozio, o il museo, dove vogliamo andare. Guardiamo le pagine web comodi dalle poltrone di casa, in ufficio seduti al computer, ma anche per strada mentre passeggiamo. Si tratta di servizi utilissimi, se non indispensabili come abbiamo dovuto sperimentare in questo periodo, che spesso ci permettono di risparmiare tempo e denaro: possiamo restare in contatto con i nostri amici o trovarne di nuovi, condividere foto e ricordi. Possiamo chiedere e ricevere prescrizioni per i farmaci che utilizziamo abitualmente, scaricare i referti di esami diagnostici; si può leggere il giornale senza uscire di casa per andare a comprarlo quando piove. Sono tutti servizi di cui probabilmente non sapremmo più fare a meno, ma ci chiediamo: sono davvero a disposizione di tutti?

La risposta purtroppo è no, almeno non sempre. E non si tratta di digital divide inteso come assenza di infrastrutture, non si tratta del paesino sperduto in montagna che non ha un buon collegamento alla rete o dell’isola minuscola in mezzo al mediterraneo, purtroppo si tratta di persone con disabilità che potrebbero beneficiare maggiormente di queste nuove tecnologie, ma che invece ne sono escluse da vere e proprie barriere tecnologiche, analoghe a quelle architettoniche.

La parola chiave in questo campo è accessibilità, ovvero un modo di progettare e costruire prodotti, dispositivi, servizi e ambienti inclusivi e utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle capacità e dalle attrezzature che l’utente ha a disposizione. In ambito Web, le persone che incontrano più difficoltà sono le persone con disabilità visiva, in particolare le persone con menomazione visiva grave devono utilizzare uno strumento, lo screen reader, che legge al posto loro ciò che appare sullo schermo. Purtroppo la lettura è sequenziale e richiede molto più tempo rispetto ad un utente senza disabilità che, a colpo d’occhio, può capire quale parte della pagina gli interessa e concentrarsi subito su quella, senza leggere tutto il resto. Serve quindi particolare attenzione per progettare le pagine ed i servizi web con gli opportuni accorgimenti. Infatti, non tutto può essere letto, ad esempio, gli screen reader non sono in grado di “leggere” un’immagine se chi l’ha inserita nella pagina non ha previsto anche l’inserimento di un testo che la descriva. Per lo stesso motivo, contenuti audio e video devono avere i sottotitoli e le descrizioni testuali, per permettere alle persone con disabilità uditiva di leggere ciò che non riescono a sentire e agli utenti con disabilità visiva di sentire dallo screen reader ciò che non possono vedere. Un simile accorgimento è molto utile anche per gli utenti senza disabilità, che magari non possono ascoltare contenuti audio in ambienti silenziosi, come ad esempio le biblioteche. E non solo. Sono molto utili anche ai motori di ricerca, come Google, che non sono in grado di vedere o sentire, e quindi grazie a queste informazioni possono indicizzare meglio la pagina web.

Un’altra barriera importante è rappresentata dai captcha, quelle form che ci chiedono di riportare un testo distorto o di dichiarare che non siamo robot, ovvero agenti software. Sono utilizzati dagli sviluppatori per assicurarsi che certi servizi possano essere usati solo da utenti reali e non, appunto, da agenti software che di solito raccolgono dati. Purtroppo, uno studio che ha coinvolto 352 utenti, di cui 177 con disabilità visiva, ha dimostrato che nella maggior parte dei casi i captcha sono una forte barriera contro l’inclusione sociale, perché sono più efficaci nel lasciare fuori gli utenti con disabilità rispetto ai robot: se mediamente gli utenti senza disabilità visiva sono in grado di superare questi test al primo tentativo nel 90% dei casi, a seconda del tipo di captcha utilizzato, questa percentuale scende fino al 60% per gli utenti con disabilità visiva (Berton, Gaggi, Kolasinska, Palazzi, & Quadrio, 2020).

Il problema non è la mancanza di mezzi o di leggi opportune: in Italia infatti la legge Stanca (n. 4, 9 gennaio 2004, rivista nell’aprile 2010), obbliga le amministrazioni pubbliche ad avere siti accessibili, pena l’applicazione di sanzioni. In particolare, riconosce “il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici” (Legge 9 gennaio 2004, n. 4, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici,, 2004).

Il problema non è neppure legato a difficoltà tecnologiche, perché in molti casi, le soluzioni da adottare sono tecnicamente semplici come la scelta del colore o del font opportuno. Il problema è di tipo culturale, perché spesso il problema dell’inclusionedegli utenti con disabilità nei servizi telematici spesso non viene proprio preso in considerazione, né insegnato a progettisti e sviluppatori. Problema che invece troverebbe soluzioni tecnologiche semplici, una volta che se ne sia presa coscienza. Lo stesso studio sopra citato, e condotto nel 2019, mostra come i principali problemi incontrati dagli utenti con disabilità visiva, come ad esempio i captcha o l’assenza di descrizioni testuali delle immagini, sono gli stessi riportati da un altro studio analogo, condotto però nel 2009 (Santucci, 2009). In dieci anni è cambiato poco, se non nulla. 

Quindi da oltre 10 anni esistono leggi a sostegno di una maggiore attenzione nei confronti di categorie di utenti che hanno bisogno, per loro stessa natura, di un certo grado di maggiore cura ed attenzione. Le azioni da intraprendere per creare servizi online che vadano verso l’inclusione di questi individui non sono nemmeno tecnicamente troppo complesse o difficilmente realizzabili (maggiori approfondimenti sul problema dell’inclusione sociale si possono trovare in Crafa S. e Gaggi O. Tecnologia accessibile e società inclusiva: binomio possibile? In L. Nota, M. Mascia & T. Pievani (Eds) (pp. 165-176). Diritti Umani e Inclusione.Il Mulino: Bologna). Eppure ancora oggi poco è stato fatto e anche le grandi multinazionali, che hanno fatto del web il loro principale mercato (ad esempio, nel mondo dei captcha, Google è molto attiva e presente) non hanno ancora fatto grandi passi avanti. 

Si tratta invece di sensibilizzare chi opera nel mondo del web a tenere in maggiore considerazione l’inclusione nei servizi web di gruppo di persone non particolarmente numeroso ma strutturalmente più in difficoltà della maggioranza nell’accedere a questi servizi. 

A pensarci bene, non è diverso dal costruire gli edifici pubblici prevedendo percorsi per persone non deambulanti o segnali tattili e uditivi nei corridoi e negli ascensori. 

Per una volta il mondo “digitale” sembra essere più indietro del mondo “reale” e purtroppo è triste doverlo ammettere. 

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