SCIENZA E RICERCA

Non siamo soli

Hanno superato quota mille (sono 1.004, per la precisione) i pianeti extrasolari scoperti dalla missione Kepler della cui esistenza gli astrofisici sono ragionevolmente certi. Mentre i candidati (ci sono seri indizi che possano essere pianeti, ma non una sufficiente certezza) catalogati da Kepler sono giunti a quota 4.175. Ogni stella, tra quelle osservate dalla sonda, ha in media un pianeta che le ruota intorno. 

I mille scoperti da Kepler si sommano ai quasi 900 scoperti da altri ricercatori con altri strumenti, per un totale di 1.889 pianeti che appartengono ad almeno 1.187 sistemi planetari diversi. Il più vecchio di questi sistemi planetari, costituito da almeno 5 pianeti e classificato come Kepler-444, si è formato 11,2 miliardi di anni fa (molto prima del nostro, che ha un’età di circa 4,5 miliardi di anni). I pianeti sono, dunque, ben distribuiti nello spazio e nel tempo. Sono un oggetto comune.

Tutti questi dati sembrano corroborare una tesi basata su un principio che, da Copernico in poi, è stato assunto dalla gran parte degli astronomi: il principio di mediocrità. Viviamo in un punto dello spazio (e del tempo) che non ha nulla di speciale. Di qui una serie di deduzioni: poiché, nella sola Via Lattea – la nostra galassia – ci sono almeno duecento miliardi di stelle, ne deriva che ci sono alcune decine se non centinaia di miliardi di pianeti che orbitano intorno a una stella. E poiché nell’universo visibile ci sono alcune centinaia di miliardi di galassie, ciascuna (in media) con miliardi di stelle, non è un azzardo pensare che nel cosmo orbitino intorno a un qualche sole centinaia se non migliaia di miliardi di miliardi di pianeti. Un numero difficile da immaginare. Praticamente infinito.

Aveva dunque ragione il povero Giordano Bruno quando, sul finire del XVI secolo, parlava di “infiniti universi e mondi”. L’ipotesi ha cessato di essere una (brillante) inferenza logica ed è diventata un’ipotesi scientifica con una base empirica sempre più solida da appena vent’anni. È del 1995, infatti, la prima conferma ragionevolmente certa dell’esistenza di un pianeta che orbita intorno a 51Pegasi, una stella simile al nostro sole, scoperto da Didier Queloz e da Michel Mayor, due ricercatori svizzeri dell’università di Ginevra.

Per la verità il Nolano parlava di infiniti mondi abitati. Sono dunque abitati almeno alcuni degli innumerevoli (praticamente infiniti) mondi che popolano il nostro enorme (praticamente) infinito universo? 

Posta così la domanda resta nell’ambito della filosofia e della logica. Ma non può essere ancora rivolta alla scienza, che come si sa ha bisogno anche di prove empiriche. Di quelle che Galileo chiamava “le sensate esperienze”. Tuttavia per gli astrofisici è già possibile rispondere, a grandissime linee, a una domanda un po’ diversa: quanto è probabile la presenza di vita su questi infiniti mondi? 

Diamo per scontato ciò che scontato non è: che la vita, fuori dalla Terra, se c’è, è simile a quella presente sulla Terra (basata sul carbonio e necessitante di acqua liquida) e dunque ha bisogno di condizioni ambientali analoghe a quelle della Terra. 

È probabile pertanto che la vita, se c’è, dimori su pianeti rocciosi, grandi grosso modo come la Terra, e distribuiti in una “fascia di abitabilità”: ovvero in una zona non troppo vicina alla stella e, dunque, non troppo calda da far bollire l’acqua e non troppo fredda da congelare il prezioso liquido.

Il caso ha voluto che gli ultimi 8 pianeti scoperti e confermati da Kepler siano tutti di massa inferiore a 2,7 volte quella della Terra e ospitati nella “zona di abitabilità” della loro stella. Questi ultimi otto, da soli, non fanno statistica. Tuttavia gli astrofisici che elaborano i dati raccolti da Kepler sostengono che, tra quelle indagate, una stella simile al Sole su cinque ha un pianeta roccioso con un raggio compreso tra 1 e 2 volte quello della Terra posizionata nella “fascia di abitabilità”. Tenuto conto che nella Via Lattea una stella su quattro all’incirca è simile al Sole, se ne ricava che la nostra galassia ospita almeno 11 miliardi di pianeti di struttura giusta (rocciosi), di grandezza giusta (Earth-size, dicono gli astrofisici) e alla giusta distanza dalla loro stella. Molti pensano che pianeti in condizioni abitabili possono esistere anche intorno al tipo di stelle più diffuso nell’universo, la cosiddette “nane rosse”: che sono più piccole e fredde del nostro Sole. Se questo è vero i pianeti abitabili nella solo Via Lattea sarebbero 40 miliardi. Il più vicino ad appena (si fa per dire) 12 anni luce da noi. 

Siano 11 o 40 miliardi, un fatto è certo: i pianeti simili alla Terra che possono ospitare la vita (una vita simile all’unica che conosciamo, quella terrestre) nella solo nostra galassia sono davvero tanti.

Non abbiamo, però, alcun indizio che le potenzialità fisiche e chimiche si siano trasformate in attualità biologica. Se, cioè, in qualcuno di quei pianeti abitabili siano davvero nata un’altra storia di vita. La logica, compreso il principio di mediocrità, ci induce a credere di sì. Ma la verità è che non sappiamo ancora se dare ancora una volta ragione a Giordano Bruno, e considerare la Terra uno qualsiasi degli “infiniti mondi” o, al contrario, dare ragione al grande biologo francese, Jacques Monod, e rassegnarci a prendere atto di essere “soli nell’immensità indifferente cosmo”.

La ricerca per rispondere a questa domanda è appena iniziata. E avremo bisogno di tanti strumenti innovativi ed efficaci come il telescopio Kepler basato nello spazio per continuare.  

Pietro Greco

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