SCIENZA E RICERCA

Non solo Zika: i virus "figli" dei cambiamenti climatici?

Di virus Zika si è parlato molto negli ultimi tempi. Individuato per la prima volta nel 1947 in Uganda, ha suscitato un crescendo di interesse e preoccupazione, dopo l’epidemia scoppiata in Brasile nel 2015 che, ad oggi, ha provocato circa 30.000 casi di infezione. Solo nei primi mesi del 2016 sono stati numerosi i risultati scientifici cui si è giunti. Si è ipotizzato che l’introduzione del virus in America, importato dalla Polinesia francese, possa essere avvenuta nel 2013 in occasione della Conferedation Cup; se ne è determinata la struttura che potrebbe offrire possibili bersagli terapeutici; è stata stabilita, con una serie di studi epidemiologici, un’associazione tra virus e microcefalia nei feti di donne incinte da un lato e la sindrome di Guillain-Barré dall’altro, una malattia del sistema nervoso periferico. Infine, Shlomit Paz e Jan C Semenza su Lancet sostengono che particolari condizioni climatiche possano aver contribuito alla diffusione del virus in Brasile. Un’affermazione, questa, che fa riflettere a fronte dei moniti più volte lanciati dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) sulle conseguenze che i cambiamenti climatici in atto potrebbero avere. Non da ultimo, a quanto pare, sulla salute dell’uomo.

Secondo i due studiosi, nel 2015 El Niño provocò un aumento delle temperature che nel nord-est del Sud America toccò punte da record, seguite nella seconda metà dell’anno da una forte siccità. Per far fronte alla scarsa piovosità, fu necessario raccogliere più acqua nei serbatoi vicini alle abitazioni, i quali dunque avrebbero fatto da incubatore per le zanzare Aedes aegypti, veicolo di trasmissione dell’infezione.

Che una relazione esista tra il diffondersi delle epidemie su scala mondiale e i cambiamenti climatici, ivi inclusi l’aumento delle temperature ma anche eventi estremi come alluvioni, siccità, tempeste, viene confermato da più parti. “Un clima sempre più caldo e instabile – sottolineano ad esempio Bing Xu e il suo gruppo su Environment International – sta giocando un ruolo rilevante nel determinare la comparsa, il ritorno e la redistribuzione a livello globale di malattie infettive. Molte delle patologie infettive più comuni, e in particolare quelle trasmesse da insetti, sono alquanto sensibili alle variazioni del clima. Come è evidente in caso di dengue, malaria, colera e infezioni da hantavirus. Altre malattie infettive, quali la salmonellosi, il colera e la giardiasi (parassitosi intestinale, ndr), possono manifestare una diffusione maggiore in presenza di temperature elevate e inondazioni”.

La temperatura agisce innanzitutto sul ciclo di vita dell’agente patogeno che ha bisogno di determinate condizioni per crescere e svilupparsi. Lo sviluppo del parassita della malaria, ad esempio, si interrompe a una temperatura che superi i 33-39 gradi centigradi. In altri casi, invece, temperature elevate possono accorciare il cosiddetto “periodo di incubazione estrinseca” dei virus, cioè il periodo che intercorre dal momento in cui il virus infetta la zanzara (il vettore) dopo che questa ha punto l’uomo e il momento in cui viene trasmesso a un altro individuo. E ciò, di conseguenza, aumenta la diffusibilità dei virus. In terzo luogo, lunghi periodi di clima caldo tendono a far salire la temperatura media dei corsi d’acqua che in questo modo possono fornire l’ambiente ideale per il ciclo riproduttivo di molti microrganismi.

A ciò si aggiunga che il riscaldamento globale può influire anche sulla distribuzione spazio-temporale dei vettori, in pratica sulle aree di circolazione degli insetti che trasmettono l’agente patogeno. Se la temperatura continua a salire, infatti, insetti che ora popolano le basse latitudini possono trovare nuovi habitat a latitudini più elevate, con un conseguente spostamento anche delle malattie. Situazione che non è nuova nemmeno nel nostro Paese.

“Anche in Veneto negli ultimi anni abbiamo notato la comparsa di nuovi vettori”. A parlare è Luisa Barzon, docente del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova, che con il gruppo di virologi dell’unità operativa di Microbiologia e Virologia dell’azienda ospedaliera sta monitorando l’andamento epidemico del virus Zika oltre che di altre infezioni virali di importazione, come la febbre chikungunya e la dengue. “La zanzara tigre, Aedes albopictus (il vettore che ha contribuito maggiormente alla diffusione epidemica del chikungunya virus in India, ndr) è arrivata nel nostro Paese circa una ventina di anni fa. E recentemente sono comparse la zanzara coreana Aedes koreicus e l’Aedes japonicus che possono trasmettere vari tipi di virus”. L’infezione da West Nile virus, ritenuta fino a qualche anno fa malattia di importazione, dal 2008, anno in cui è stato notificato il primo caso umano autoctono di infezione, è considerata endemica in Italia, soprattutto nelle aree del delta del Po. E su questo andamento influiscono evidentemente anche fattori di tipo climatico.

Non è tuttavia solo l’innalzamento delle temperature a costituire un potenziale problema, ma anche i cambiamenti nei livelli delle precipitazioni che possono incidere nell’accelerare lo sviluppo di alcuni vettori. Senza contare poi gli eventi climatici estremi di tipo catastrofico come le alluvioni, gli uragani o le tempeste che negli ultimi 30 anni, stando al rapporto della Fao - The impact of disasters on agriculture and food security - sono notevolmente aumentati sia in termini di intensità che di frequenza. “Si tratta di circostanze che possono favorire l’emergere di nuove infezioni – spiega Barzon – perché da una parte creano un ambiente favorevole ai vettori, dall’altra determinano condizioni di disagio, eventi drammatici che possono mettere la popolazione nella condizione di doversi spostare, andare a occupare nuove aree e, potenzialmente, esporsi a nuove infezioni”.

Se questa è la relazione tra cambiamenti climatici e diffusione di malattie infettive ed epidemie su scala mondiale, va detto che non tutte le popolazioni e le aree sono suscettibili al problema allo stesso modo. Alcuni Paesi sono certamente più vulnerabili ed esposti al rischio per le condizioni di vita in cui versano e la mancanza di risorse con cui rispondere al problema. Si prenda proprio la zona caraibica del Sud America. La zanzara Aedes aegypti, vettore principale del virus Zika, si riproduce all’interno delle abitazioni, nei piatti, nei sottovasi con acqua stagnante, oppure nell’ambiente circostante le abitazioni: non si espande dunque se non trova queste condizioni e cioè la presenza di un ambiente umido e di temperature elevate. “È evidente che basterebbe migliorare le condizioni di vita di queste popolazioni – argomenta Luisa Barzon – per limitare la diffusione del virus. Se avessero a disposizione case con aria condizionata e zanzariere si assisterebbe a una significativa riduzione dell’espansione del vettore, condizione forse ancora più importante dell’aumento delle temperature”.

Senza contare un aspetto di rilievo come la densità della popolazione. Quelli come Zika sono virus a trasmissione umana diretta attraverso il vettore. Dunque per innescare la catena di trasmissione è necessario essere in presenza di un’alta densità di popolazione suscettibile e di vettori che trasmettano la malattia da uomo a uomo. E molte città, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, possiedono entrambe queste condizioni, come nel caso delle favelas brasiliane, ambienti ideali per la diffusione dell’infezione.

“Se poi si guarda al clima come a un concetto più generale di tipo ecologico – continua Barzon – vi sono anche altri elementi che contribuiscono all’espansione degli insetti vettori in nuove aree, quali l’aumento dei viaggi internazionali, l’inurbamento, la deforestazione”. Come nel caso della febbre emorragica venezuelana: la trasformazione di ampie aree di foresta in terreno agricolo ha determinato un aumento dei topi, che costituiscono il serbatoio dell’infezione. E, infine, anche le modificazioni genetiche e i nuovi adattamenti dell’agente infettivo giocano un ruolo rilevante nella comparsa e nella diffusione delle infezioni.

Come si vede si tratta nel complesso di fattori legati, direttamente o indirettamente, all’andamento climatico: non solo dunque un problema di tipo ambientale ma anche sanitario su scala mondiale.

Monica Panetto

 

 

 

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