SOCIETÀ

Non ti piace la storia? Riscrivila

Le periodiche crisi del gas, la guerra in Ucraina e la corsa al riarmo: mentre Europa ed Usa si interrogano sulle reali intenzioni di Vladimir Vladimirovič Putin, proprio in questi giorni in visita in Italia, nella Federazione Russa si gioca intanto la battaglia contro le minoranze e le opposizioni interne. La posta in gioco, oltre al potere, è ambiziosa: quella di riforgiare la memoria storica e la coscienza nazionale. Rientrano in quest’ambito azioni come l’ultima colossale parata militare del 9 maggio per la vittoria contro il nazismo, ma anche il manuale unico di storia che già l’anno prossimo potrebbe essere adottato in tutte le scuole della Federazione.

“In realtà l’insegnamento della storia in Russia è sempre stato legato all’ideologia vigente”: è netta la posizione di Francesca Gori, studiosa di storia e letteratura russa e presidente della Associazione Memorial Italia, specializzata nella tutela della memoria delle fonti storiche del ’900 e affiliata all’omonima organizzazione russa. “Fin dalla Rivoluzione del 1917 il Cremlino è intervenuto sui manuali di storia, rifiutando la storiografia prerivoluzionaria”. È solo con l’arrivo di Gorbačëv nel 1985 e la liberalizzazione che ne segue che la storiografia russa conosce una nuova stagione: “Dopo il crollo dell’URSS del 1991 e la successiva ‘rivoluzione archivistica’ la Russia fu inondata da un fiume di informazioni nuove e veritiere. Molti però si sono rifiutati di accettare il cambiamento: non potevano credere di essere stati ingannati o addirittura complici e che tutte le loro azioni, il loro modo di pensare fossero ingiusti”. 

Dopo il crollo del regime comunista si erano susseguite parecchie riforme e decine di manuali pubblicati, di diverso valore e con le più svariate impostazioni ideologiche. Poi, con l’ascesa al potere di Putin, sui testi di storia si allunga sempre più l’ombra del potere. Nell’agosto 2001 il primo ministro Kasianov critica la mancanza nei manuali di eventi cruciali, come l’inizio della leadership putiniana e più in generale “l’assenza di una parte dedicata ad illustrare l’importanza della svolta democratica del 1991 e a spiegare la necessità delle norme volte a instaurare il mercato, una via liberamente scelta dal volere politico”. Fino alla svolta di febbraio 2013, quando lo stesso Putin, in una conferenza per gli insegnanti, chiede agli accademici e alla RIO (Rossijskoe istoriceskoe obscestvo, la Società storica russa) di preparare un testo unico di storia. Secondo il presidente, riferisce Gori, i nuovi manuali dovevano essere “confezionati nel quadro di una concezione unica, di una logica unica di una storia della Russia ininterrotta, di una correlazione tra tutte le sue tappe, del rispetto per tutte le pagine del nostro passato. Inoltre, non devono contenere contraddizioni né interpretazioni dubbie”. 

Il nuovo manuale si presenta fin dall’inizio come uno strumento nelle mani del governo: il 2 giugno 2014 ad esempio Putin impone di integrare nelle bozze del nuovo testo un capitolo sul ruolo nel destino dello stato russo di Sebastopoli e soprattutto della Crimea, appena annessa unilateralmente. Fino al 18 maggio 2015, quando il ministero dell’istruzione ufficializza la scelta dei manuali e assegna la pubblicazione a tre case editrici: Drofa, Russkoe slovo e Prosvescenie, quest’ultima di proprietà del magnate Arkadij Rotenberg, amico di lunga data del presidente. Putin si aspetta che il manuale unificato "sia privo di interpretazioni che confondono e che infonda il rispetto per tutti i periodi della storia russa”.

“Bisogna ammettere che la storia che Putin vuole dare ai russi risponde alla domanda di gran parte della popolazione – osserva la studiosa –. In un sondaggio pubblicato ad agosto 2014 dal Centro per l'opinione pubblica, più conosciuto come Centro Levada, il 58% dei russi si è detto favorevole al manuale di storia unificato, mentre appena il 16% era contrario”. Tra questi Francesca Gori cita ad esempio lo storico e  politologo Andrej Zubov, espulso dall’Università Mgimo (la più prestigiosa di Mosca) per aver paragonato l’annessione della Crimea all’Anschluss di Hitler. Secondo Zubov nel nuovo testo approvato si trovano “tentativi di giustificazione di tutto quello che è sovietico e parallelamente un velo di silenzio sui crimini del comunismo. La riabilitazione del sovietismo è stata accompagnata da una riabilitazione del periodo prerivoluzionario. Putin riabilita anche il movimento di resistenza anticomunista dal 1918 al 1920. La posizione ufficiale è che si tratta di una tragedia nazionale del popolo russo. Tutti avevano ragione, erano coraggiosi, eroici”.

Vengono quindi evidenziati i fattori di continuità, mentre “gli unici ad essere presentati sotto una luce negativa sono i tentativi riformisti e liberali – continua Gori –: le azioni dell’intellighenzia, le rivoluzioni e lo stesso Lenin, a causa del suo ruolo nel rovesciamento dello Zar.Naturalmente accanto a tutte queste normative per la stesura dei manuali si rafforza anche il controllo sui centri di studi e si cerca di mettere a tacere le voci dissonanti, come nel caso della fondazione Sacharov e della stessa associazione Memorial, accusata di essere un agente straniero e colpita da continue minacce di chiusura, contro la quale dal 2013 è addirittura in corso un processo”.

I tentativi di revisione storica viene riaffermata anche sotto altre forme, ad esempio con l’enfasi ripetuta fino al parossismo sulla vittoria sul Nazismo del 1945, che tra l’altro permette una riabilitazione surrettizia della figura di Stalin. Operazione a cui fa da contraltare il tentativo di nascondere e camuffare i pochi monumenti innalzati negli ultimi anni alle vittime del terrore sovietico. Come la pietra delle Solovki, primo Gulag della Russia, che dopo vari ostacoli è stata posta davanti alla famigerata Lubjanka, ma della quale si ipotizza in futura la rimozione o il trasferimento in un’altra sede più periferica. “C’è poi il caso di Perm’ 36, il più grande gulag della Russia, che rischia di essere espropriato dall’Oblast (il governo locale, ndr) che vuole trasformarlo in un museo storico etnografico. In questo modo l’importanza storica del campo di concentramento passerebbe in secondo piano, finendo con il cancellare la memoria dei crimini del regime”.

L’obiettivo del Cremlino si conferma insomma quello di rafforzare l’identità di un paese rimasto a lungo diviso, e per farlo è disposto a sacrificare le voci e anche i fatti dissonanti. Oggi come ai tempi dell’Unione Sovietica, con buona pace della Storia.

Daniele Mont D’Arpizio

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012