Si moltiplicano nelle università europee le mobilitazioni di studenti e docenti. Se nel Regno Unito la protesta degli studenti è focalizzata sull’aumento delle rette e quella dei docenti è contro lo schema di modifica dei salari, in Francia stanno montando proteste contro la prospettiva di introdurre una maggiore selezione nell’accesso agli studi universitari.
Un cardine del sistema francese è infatti la libertà d’accesso ai corsi universitari, con il solo filtro dell’esame di baccalauréat, introdotto da Napoleone nel 1808. Da allora poco è cambiato. In pratica uno studente superiore con pessimi voti in matematica ma che comunque supera l’esame di maturità può iscriversi senza problemi alla facoltà di Matematica. L’uguaglianza d’accesso alle università pubbliche ha un alto valore simbolico e, combinata con un generoso sistema di finanziamento statale, permette alla Francia di offrire rette molto basse (mediamente 189 euro per studente nel 2017) e buona qualità degli studi. Il sistema era però pensato per un Paese dove l’istruzione terziaria era riservata a pochissimi: nei primi anni dell’Ottocento gli studenti universitari erano poche centinaia, nel 1950 solo il 5% sosteneva il baccalauréat.
Oggi quasi l’80% di coloro che completano le scuole superiori decide di tentare l’accesso ai corsi universitari. La conseguenza di rette low cost e assenza di barriere d’accesso è quella di centinaia di migliaia di studenti che decidono di iscriversi alle università pubbliche seguendo le proprie passioni e i propri istinti col risultato di un primo anno accademico fatto di aule stracolme e di crescenti difficoltà per gli atenei di programmare didattica, logistica e docenze. I ritiri, dopo il primo anno, sono molto frequenti e quasi il 70% delle matricole non riesce a completare il corso di studi al quale si era inizialmente iscritto (per ritiro o per trasferimento ad altro corso).
Per ovviare alla situazione, lo scorso anno il governo francese ha introdotto un nuovo regolamento che permette agli atenei di avere accesso ai risultati ottenuti alle scuole superiori dai nuovi immatricolati, in modo da poter offrire loro dei corsi di recupero per ovviare a eventuali evidenti carenze pregresse. Non si cita mai la parola “selezione” o “accesso”, non si tratta di test d’ingresso o di “numeri chiusi” e da osservatori esterni pare una piccola misura di buonsenso. Per molti studenti, però, questa è apparsa come il primo passo verso una “anglicizzazione” o “americanizzazione” del sistema accademico francese, cioè la prima misura volta a disegnare un’università più selettiva e più chiusa. Fondata sulla competizione e non più egalitaria. Al nuovo regolamento non ha poi giovato l’attitudine del presidente Macron a personalizzare ogni scelta politica e a propagandare come “riforma” quella che in realtà al momento è solo un piccolo emendamento regolamentare. Questo ha esacerbato gli animi e ha dato spinta al movimento studentesco, che ha trovato nel presidente della Repubblica francese l’antagonista ideale.
Paradossalmente, le proteste sono cominciate proprio là dove pochi anni fa il giovane Macron studiò filosofia alla triennale: l’università di Nanterre. E, in un ulteriore e curioso ricorso storico, fu proprio negli stessi grigi edifici situati a ovest di Parigi dove scoppiarono le prime rivolte del ’68 (per poi estendersi alla ben più centrale Sorbona e al Quartiere Latino). È infatti a Nanterre che studiava Daniel Cohn-Bendit, leader riconosciuto del ’68 francese. Ed è lì che scaturirono le prime proteste, che vertevano sulla necessità di superare il divieto agli studenti maschi di fare visita ai dormitori femminili. Ma quelle proteste avevano anche un’altra ragione, ed era la stessa che va riproponendosi a 50 anni esatti di distanza: l’allora ministro Peyrefitte aveva proposto di rendere più selettivo l’accesso alle università, attraverso specifici test d’ammissione.
Allora il movimento vinse su tutta la linea. Ma aveva un leader, un antagonista impopolare e buoni appoggi nell’opinione pubblica. 50 anni dopo, l’opinione pubblica è poco informata sulla questione, sul tavolo non c’è (ancora) una vera riforma e l’unico leader in campo è al momento soltanto l’“antagonista” Macron, pronto come sempre a personalizzare le decisioni di governo e a capitalizzarne l’eventuale consenso.