CULTURA

“Un passato che non è mai passato”

“È una scrittura che riverbera musica, che suona in tutte le sue declinazioni. Questo è il capolavoro assoluto della sua opera. Era un intellettuale con una tale padronanza della lingua da potersi permettere registri completamente diversi”. Il teatro di Marco Baliani incontra l’opera di Francesco Petrarca e anima i luoghi che furono il suo rifugio ultimo: il 27 settembre, alle 21, l’oratorio della Santissima Trinità ad Arquà accoglierà Solo et pensoso, non un semplice reading ma una vera e propria narrazione. “Tra una lettura e l’altra, proporrò alcune digressioni per parlare di Petrarca e di altri poeti che hanno segnato e nutrito il mio percorso artistico”, racconta Marco Baliani a Il Bo magazine.

Tra teatro e letteratura, questa narrazione punta a rendere vive le parole e coinvolgere il pubblico.

“Esatto. In questi anni ho lavorato sul Decamerone di Boccaccio, sull’Orlando Furioso di Ariosto, riscrivendo in parte la lingua, e ho incontrato spesso un pubblico giovane che, il più delle volte, è rimasto sorpreso di fronte alla grandezza di queste opere. Quando ce le insegnavano a scuola, infatti, era difficile comprenderle e apprezzarle davvero, perché non riuscivano a farci vibrare. La verità è che siamo di fronte ai grandi italiani da rivisitare, riscoprire e riproporre, sempre. Una narrazione viva può far venire voglia di rileggere l’opera, con occhi nuovi”.

Dunque, l’opera di Petrarca non appartiene solo al passato.

“Si tratta di un passato che non è mai passato. L’erudizione di Petrarca non era fredda ma capace di sprigionare una potenza che possiamo sentire ancora oggi. Io penso che, in generale, le grandi opere non passino mai. Con i classici è un continuo tornarci sopra, lo diceva anche Calvino. L’importante è non farne museo”. 

Solo et pensoso i più deserti campi introduce il tema della solitudine, condizione antica ma anche assai attuale. 

“È un tema a noi vicino, contemporaneo, ma la solitudine di cui scriveva Petrarca era di tutt’altro genere: non era dispersione o depressione, l’otium aveva un valore propositivo. Quel tempo, poi, noi l’abbiamo riempito di tutto tranne che della capacità di stare in ascolto”. 

Il tempo della contemplazione, la condizione ideale per la vita dell’intellettuale. Perché la creazione artistica richiede pace e solitudine.

“Ad Arquà leggerò alcuni frammenti che svelano i segreti della creazione di un’opera e sembrano una lezione di scrittura creativa di oggi. Inoltre, inserirò delle riflessioni sul lavoro dell’artista, cercando di spiegare come funziona il meccanismo della creazione, citando anche Virgilio e Rainer Maria Rilke. Voglio provare a proporre una mappa di esplorazione attorno a Petrarca”.

Centrale è il tema dell’amore per Laura. La bellezza della donna amata e i sentimenti passano e si svelano attraverso gli occhi. Di che sguardo si tratta?

“Nel suo modo di intendere l’amore si sente tutta la forza del Canzoniere ma anche l’oralità dei trovadores, e c’è sempre una musica che torna dentro quel cantare… Solitudine, creazione artistica e amore sono i tre temi forti nell’opera di Petrarca. L’amore passa attraverso gli occhi, ma è tutt’altra cosa rispetto allo sguardo pornografico di oggi. Quello di Petrarca è uno sguardo erotico nella misura in cui riesce a non denudare, noi invece guardiamo gli altri denudandoli”. 

Infine la corrispondenza tra paesaggio e stato d’animo del poeta. Quale il rapporto di Petrarca con Arquà?

“Petrarca amava la Valchiusa ma viaggiava molto, sempre alla ricerca di codici con cui arricchire la sua biblioteca. Non so dire perché scelse proprio Arquà come ultimo rifugio, probabilmente per i colori e l’atmosfera, ma –intendiamoci- le mie sono solo illazioni. Chissà cosa succede nella testa degli artisti…”.

Tornando alla serata del 27 settembre, abbiamo già rivelato i vantaggi dell’incontro tra letteratura e teatro, quali possono essere invece le insidie? 

“Quando la letteratura incontra il teatro, l’attore deve evitare di mettersi a declamare per mostrare a tutti la propria bravura. La sua voce deve piegarsi a quella musica, non deve interpretarla. La tecnica non si deve vedere né sentire: è certamente un lavoro impegnativo, che deve però sembrare semplice a chi ascolta. Il pubblico deve avere la sensazione di assistere a qualcosa che potrebbe leggere lui stesso”.

Lei è attore, regista e scrittore. In quale veste si sente maggiormente a suo agio?

“Quando racconto senza conoscere bene la struttura, sento di potermi esprimere al meglio. Quando ho la possibilità di raccontare oralmente senza vincoli di testo scritto, io mi diverto. Il racconto orale è, per me, il banco di prova. Benjamin diceva: il primo e vero narratore è e rimane quello di fiabe”. 

 

Francesca Boccaletto

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