SCIENZA E RICERCA

Prima di curarsi, attenti alle trappole della mente

“… ho perso uno dei miei figli a causa del vaiolo. Mi sono pentito a lungo amaramente e ancora mi rammarico di non averlo vaccinato. Lo dico per quei genitori che rifiutano l’operazione perché non potrebbero mai perdonarsi l’eventualità di perdere un figlio a causa del vaccino. Il mio esempio dimostra che il rimorso sta da entrambe le parti e, dunque, che si dovrebbe scegliere la via più sicura”. Non si tratta dell’ennesimo fatto di cronaca, come del resto la malattia in questione fa intuire. A parlare è Benjamin Franklin nella sua autobiografia e la perdita del figlio risale al 1736. A quasi tre secoli fa. Eppure, nonostante la ricerca in ambito medico abbia compiuto enormi passi avanti, i timori sono sempre gli stessi e il tema quanto mai attuale. Vien da chiedersi quali valutazioni spingano i genitori in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma soprattutto, più in generale, quali fattori entrino in gioco nel momento in cui un paziente opera una scelta terapeutica o di prevenzione. Ci si informa, si considerano costi e benefici, risponderebbe qualcuno. Certo, è il minimo, ma ciò che forse non tutti sanno è che nel momento della decisione possono intervenire “errori cognitivi” che inconsapevolmente rischiano di orientare la scelta. Allo stesso tempo anche le emozioni influiscono sui processi decisionali e il modo in cui i messaggi vengono formulati. E quando questo avviene in ambito medico qualche rischio in più esiste.

“Molti studi – sottolinea Lorella Lotto, docente del Centro di ricerca sul rischio e la decisione dell’università di Padova – hanno dimostrato che noi non siamo così logici e razionali come vorremmo e ciò ci induce in errore, in ‘tranelli mentali’. Quando dobbiamo prendere una decisione e magari siamo pressati dal tempo o la questione ci sembra particolarmente complessa, ricorriamo alle cosiddette ‘euristiche del pensiero’, scorciatoie mentali che a volte però traggono in inganno”. Come nel caso dell’“euristica della disponibilità” con cui si indica la tendenza a ritenere più probabili taluni eventi per la disponibilità in memoria dell’informazione e l’impatto emotivo del ricordo. Un processo evidentemente ingannevole nella fase decisionale. Ma gli esempi potrebbero continuare. Gli errori cognitivi, spiegano Blumenthal-Barby e Krieger in un recente articolo, possono influenzare negativamente sia la stima delle probabilità che la sintesi delle informazioni. Nel caso dei vaccini, ad esempio, molti considerano il rischio di subire un danno in seguito alla vaccinazione maggiore del pericolo che può derivare dalla scelta contraria e parecchi studi dimostrano che questo incide al momento della scelta, anche in altri ambiti medici. “Il senso di colpa inoltre – spiega la docente – è maggiore per un’azione che si è scelto di compiere rispetto a un’azione a cui si è deciso di non dare corso”.  

E continua introducendo un altro aspetto: “I medici devono essere consapevoli che, a seconda del modo in cui formulano lo scenario e le opzioni terapeutiche, le persone possono prendere decisioni diverse. E ciò perché si rischia di indirizzare il comportamento del paziente senza nemmeno rendersene conto”. Si tratta di quello che gli specialisti del settore chiamano “effetto framing”. Un processo cognitivo descritto per la prima volta nel 1979 da Kahneman e Tversky, che si spiega con il fatto che le persone percepiscono le possibilità tra cui scegliere in termini di potenziali guadagni o perdite, danno un peso maggiore alle perdite e sono più propense a rischiare nel “dominio” delle perdite.

Qualche tempo fa Meyerowitz e Chaiken condussero un esperimento su un gruppo di studentesse universitarie, con cui veniva promossa la pratica dell’autoesame al seno. A una parte fu distribuita una comunicazione che metteva in luce le conseguenze negative della scelta di non aderire all’iniziativa. All’altra fu sottoposto invece un messaggio che sottolineava i benefici dell’autopalpazione. Ebbene, i risultati dimostrarono che chi aveva ricevuto un’informazione in termini di perdita aveva aderito in misura maggiore alla pratica dell’autoesame al seno. E lo stesso accadeva, secondo studi successivi, quando si suggeriva di eseguire mammografie, amniocentesi e test per l’Hiv.

Va fatta però qualche precisazione. Sembra infatti, stando a Rothman e Salovey, che un messaggio espresso in termini di perdita possa risultare più efficace quando si tratta di individuare una malattia, e dunque quando esiste un rischio reale; diversamente nel caso si tratti di un’azione di prevenzione che intende mantenere lo stato di salute mettere in luce i vantaggi può risultare più persuasivo.

Su questa strada si sta muovendo anche Padova. L’ospedale Sant’Antonio esegue lo screening per la prevenzione e la diagnosi precoce del carcinoma del colon retto, tuttavia con adesioni inferiori da parte dei cittadini a quanto atteso. “Per questo – spiega Lotto – con l’intento di aumentare le adesioni, in collaborazione con Franca De Lazzari responsabile del reparto di Gastroenterologia, abbiamo inviato alla popolazione due tipi di lettere, una che mette in luce i benefici che derivano dall’adesione alla campagna di screening, l’altra che sottolinea gli svantaggi nel non aderire”. A dicembre si conta di poter valutare la risposta.   

Ma, oltre a questi, sono anche altri gli elementi determinanti. Quando il paziente raccoglie le informazioni su cui basare le proprie decisioni, o il medico illustra l’incidenza di una malattia o le probabilità di sopravvivenza, la frequente presenza di numeri e statistiche può influenzare il giudizio e talora indurre in errore. Un esempio su tutti. Nel 1995, spiegano Lorella Lotto e Rino Rumiati in un articolo su Psicologia contemporanea, la Commissione Britannica per la sicurezza in medicina, sulla base di nuovi studi, allertava tutto il personale medico e i media sul fatto che i contraccettivi orali di terza generazione raddoppiavano il rischio tromboembolico rispetto a quelli di seconda generazione. Il rischio cioè aumentava del 100%. Risultato: molte donne interruppero il trattamento, aumentarono le gravidanze indesiderate e le interruzioni di gravidanza. Ma guardiamo ora ai numeri: a manifestare l’episodio trombotico, riportano Lotto e Rumiati, erano state due donne su 7.000 nel primo caso e una su 7.000 nel secondo. Un dettaglio non da poco. Rischio assoluto e rischio relativo sono concetti molto usati in medicina che facilmente però possono indurre in errore. E a decisioni non del tutto consapevoli, dato che “una larga parte della popolazione non riesce ad attribuire un reale significato al numero”.

Anche la componente emotiva fa la sua parte. Alcuni studi evidenziano infatti che esiste una tendenza ad aumentare le stime di rischio quando il coinvolgimento è elevato. Si è rilevato ad esempio che le donne con familiari o amici ammalati di cancro ritengono di avere maggiori probabilità di ammalarsi, rispetto al rischio percepito da donne senza questo tipo di esperienza. “Questo – commentano Ketti Mazzocco e Lorella Lotto – spiegherebbe perché alcune donne non ‘credono’ ad informazioni oggettive circa il rischio di cancro al seno, sovrastimano il proprio rischio e sono soggette a ‘stress da cancro’ ingiustificato”.

Scegliere non è sempre facile, specie quando la decisione riguarda la salute. Per questo è importante sapere che, pur inconsapevolmente, è possibile cadere in errori di valutazione. E di questo dovrebbero tener conto non solo i pazienti, ma anche i medici e, non da ultimo, chi si occupa di comunicazione della salute.

Monica Panetto

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