SOCIETÀ

Dallo stupore alla comprensione: il racconto nella comunicazione scientifica

Cosa serve per raccontare una storia? Una delle qualità che non possono mancare a un narratore è l’immaginazione.

Ma cosa cambia se la storia da raccontare è una storia di scienza? Di primo acchito, si potrebbe pensare che l’immaginazione sia del tutto estranea a una dimensione – quella scientifica – basata su rigore, razionalità e precisione. Eppure, non lo è. Anzi, secondo Terri Cook – geologa, comunicatrice scientifica e responsabile della comunicazione presso il Laboratorio di Scienze Atmosferiche e Spaziali dell’università del Colorado a Boulder (Stati Uniti) – l’immaginazione è fondamentale.

Terri Cook è stata recentemente ospite dell’università di Padova, dove ha tenuto una conferenza intitolata “Science as Story”, parte di una serie di Distinguished Lectures finanziata dalla European Geological Association. L’evento, organizzato dai Dipartimenti di Biologia e di Geoscienze e dal Centro di Ateneo per i Musei, ci ha dato l’occasione di incontrare Terri Cook: le abbiamo chiesto di parlare della sua carriera di giornalista scientifica e di condividere le sue idee su come rendere più efficace la comunicazione scientifica sia in ambito istituzionale che informale.

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Ascolta l'intervista completa a Terri Cook. Servizio e montaggio: Sofia Belardinelli

Accendere l’interesse per la scienza

Leggendo la biografia di Cook, salta agli occhi un dettaglio particolare: il racconto di come sia nata la sua passione per la scienza. Per saperne di più, le abbiamo chiesto cosa l’abbia inizialmente spinta verso il mondo della scoperta scientifica.

“La mia passione per il racconto e per la scienza è nata quando ero bambina. Sono cresciuta in una casa nel Connecticut, nel nord-est degli Stati Uniti, e una delle pietre angolari della casa – parte delle sue fondamenta – era un meteorite: una roccia venuta dallo spazio, forse da Marte. All’epoca non ero certo una geologa, ma sapevo che quella era una roccia speciale. Ho passato tantissimo tempo a immaginare le sue origini e tutte le avventure straordinarie che poteva aver attraversato. Ripensandoci, quell’esperienza ha davvero dato il via alla mia carriera nella comunicazione scientifica.”

Consapevole di quanto l’ammirazione e la meraviglia nei confronti della scienza siano state centrali per il suo percorso lavorativo, Cook cerca di far scoccare la stessa scintilla di stupore nei giovani. “Mi capita di comunicare con diversi tipi di pubblico, ma quando mi occupo di divulgazione, lavoro quasi esclusivamente con bambini – e mi piace molto cercare di stimolare il loro interesse. I bambini hanno una gioia pura per la scienza; quando capiscono qualcosa, si entusiasmano moltissimo. Questo è particolarmente evidente ora che lavoro nell’ambito delle scienze dello spazio: la maggior parte dei bambini trova davvero affascinanti razzi e astronauti, e amo interagire con loro quando ne ho l’opportunità”.

Raccontare la scienza

A prescindere dall’età del pubblico, il modo di raccontare le storie è cruciale per la divulgazione scientifica. A volte, temi particolarmente complessi possono risultare di difficile comprensione per i non specialisti, e c’è il rischio di “perdere il pubblico”. Cook ha condiviso alcune strategie per ridurre questo rischio: “Ci sono modi di costruire una storia che aiuta a rendere il racconto interessante anche quando il tema sembra complicato. Uno dei metodi più semplici e coinvolgenti è presentare la storia come un mistero. Presentando la scienza come un enigma da risolvere, anche concetti molto complessi e astratti possono diventare più accessibili”.

Anche mettere le persone al centro del racconto è una tecnica efficace: “Il nostro cervello – spiega Cook – è naturalmente predisposto a entrare in relazione con le altre persone e in generale con gli organismi viventi. Avere un personaggio riconoscibile al centro della storia la rende più personale e tangibile per il pubblico”.

Cook ha anche sottolineato il potere di elementi narrativi familiari al pubblico: “Le ricerche dimostrano che, ascoltando “C’era una volta” – la classica frase iniziale delle fiabe – il cervello rilascia specifiche sostanze chimiche. Quella frase crea un senso di rilassamento e aspettativa, probabilmente radicato nelle esperienze dell’infanzia. Per comunicare la scienza in modo efficace, bisogna innanzitutto raccontare al meglio la storia e poi, nel corso della narrazione, usare spesso analogie e metafore”. L’obiettivo è risvegliare l’immaginazione di chi ascolta.

Collaborare con gli scienziati

I comunicatori scientifici, però, non si interfacciano solo con il pubblico. Una parte importante del loro lavoro consiste nella collaborazione con i ricercatori, coloro che producono le scoperte e i risultati da condividere. E questa interazione non è sempre facile.

“Non tutti gli scienziati vogliono interagire con il pubblico”, ha spiegato Cook. “Nel mio laboratorio, siamo molto attenti a rispettare la loro privacy concentrandoci strettamente sulla scienza quando divulghiamo i loro studi. Anche se non è sempre il modo migliore per rendere la ricerca accessibile al grande pubblico, questo approccio è essenziale affinché gli scienziati si sentano a proprio agio nel condividere i risultati del loro lavoro”.

Anche quando l’obiettivo finale non è il dialogo con il pubblico, la comunicazione scientifica rimane una parte essenziale della ricerca. Una delle ragioni principali è la necessità di trovare finanziamenti, procedura che negli anni è diventata sempre più difficile e competitiva. Terri Cook ha sottolineato quanto i ricercatori comprendano l’importanza di avere una buona visibilità mediatica: “Tra gli scienziati vi è una consapevolezza diffusa che una buona pubblicità sulla loro ricerca li aiuterà a ottenere finanziamenti in futuro. La maggior parte di loro è aperta a questa possibilità. Ce ne sono sempre alcuni più riservati, o che per vari motivi non amano essere sotto i riflettori, ma la maggioranza delle persone con cui ho lavorato è stata entusiasta di avere l’opportunità di far conoscere sé e la propria ricerca. Molti scienziati, dopo una o due esperienze di divulgazione, si accorgono che è divertente e piacevole, e sono felici di ripetere l’esperienza”.

Negli Stati Uniti, le università e le istituzioni di ricerca sono pienamente consapevoli dell’importanza di comunicare la scienza al pubblico e ai decisori politici. Per questo motivo, la maggior parte delle università americane, riferisce Cook, ha assunto interi team di comunicatori scientifici – noti come Public Information Officers (PIOs) – che lavorano a stretto contatto con i ricercatori.

Uno dei compiti principali dei comunicatori scientifici ‘istituzionali’ è coinvolgere i decisori politici, un pubblico cruciale per ottenere finanziamenti per la ricerca. Negli Stati Uniti, i PIOs organizzano eventi per VIP, a cui a volte partecipano anche dei politici, ma soprattutto hanno il compito di elaborare strategie di comunicazione efficaci per questo pubblico specifico. A tal proposito, Terri Cook ha un suggerimento essenziale: “Siate brevi. I decisori politici sono incredibilmente occupati, e hanno tempo per assorbire solo pochi punti chiave. Cercare di fornire il contesto e tutte le informazioni necessarie allo stesso tempo è difficile, ma bisogna stabilire delle priorità e presentare il messaggio in maniera concisa”.

Nutrire l’immaginazione

Al di là di questi pubblici selezionati (come i politici), Terri Cook sottolinea che l’obiettivo ultimo di un comunicatore scientifico è “fare in modo che storie e informazioni cose restino impresse” – assicurarsi, cioè, che un risultato, una scoperta o un mistero scientifico diventino memorabili. Per emozionare gli altri, però, il comunicatore deve essere il primo a emozionarsi. Terri Cook racconta che, nel suo caso, questa emozione è alimentata anche da un’altra passione: la scrittura di viaggio, che è il suo altro lavoro (suoi articoli sono stati pubblicati su riviste come Lonely Planet).

Alla domanda su come sia nata la sua passione per i viaggi e su come riesca a conciliare questi due mondi apparentemente separati, Terri ricollega il tutto a quella stessa meraviglia di bambina che ha determinato la sua scelta di una carriera nella comunicazione scientifica.

“Amo viaggiare, ma da bambina non ne avevo la possibilità. Forse è per via di quel meteorite nella mia casa, e tutte le fantasticherie sui suoi viaggi nello spazio, ma ho sempre desiderato girare il mondo. Al liceo, ho avuto l’opportunità di fare uno scambio, andando a vivere in Germania per un anno. Da allora, non ho mai smesso: ho sfruttato tutto il tempo possibile per viaggiare. E dato che amo scrivere, raccontare i miei viaggi è stato naturale. Con il tempo, ho capito che non molte persone combinano scienza e scrittura di viaggio, così ho trovato una mia nicchia. Scrivo di scienza nei posti che visito: è una combinazione perfetta per me”.

Questo duplice interesse serve anche a mantenere viva la sua ispirazione: “Passare da un ambito all’altro mi permette di ricaricarmi. Dopo aver scritto un articolo scientifico particolarmente impegnativo, posso dedicarmi a scrivere un divertente blog di viaggi. Credo che questo mi abbia aiutato a mantenere alta la mia energia e a tenere viva l’immaginazione”.

Per Terri Cook, il cuore della comunicazione scientifica è rendere memorabili e coinvolgenti i risultati e le scoperte scientifiche. Secondo lei, chiunque può essere un comunicatore scientifico: basta abbracciare la meraviglia e condividerla con gli altri.

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