SOCIETÀ

Il travagliato italicum e le elezioni inglesi

Si avvicina la data del 7 maggio, giorno delle elezioni per il parlamento britannico. I sondaggi prevedono un testa a testa tra conservatori e laburisti, con la concreta possibilità che un nuovo governo di coalizione debba andarsi a formare dopo l’eccezionale esperienza degli ultimi cinque anni (prima coalizione di governo dalla seconda Guerra mondiale). Inoltre, in meno di 12 mesi lo scenario politico è decisamente mutato: dopo le elezioni europee dello scorso anno, l’attenzione era tutta per lo Ukip e per il suo leader Nigel Farage, diventati improvvisamente primo partito britannico con il 26,6% dei voti, 24 seggi conquistati e una crescita netta di 10 punti percentuali rispetto a cinque anni prima. Sebbene il successo di Farage e dell’anti-europeismo populista è avvenuto in un contesto di bassa partecipazione elettorale (35,6%), il suo impatto mediatico – anche a livello europeo – è stato eclatante e per tutto il 2014 Farage è sembrato essere l’uomo che avrebbe rivoluzionato il tradizionale sistema bipartitico britannico. In realtà, secondo i sondaggi, il consenso dello Ukip è andato erodendosi mese dopo mese e le ultime rilevazioni assegnano al partito di Farage un risultato che sarebbe circa la metà di quello ottenuto nel maggio dello scorso anno. Un deludente 11-12% che permetterebbe comunque allo Ukip di essere il terzo partito britannico. La vera notizia è però un’altra: non avendo un radicamento territoriale specifico, lo Ukip è la forza politica che peggio di tutte converte i voti in seggi. Il sistema uninominale maggioritario secco, il ‘first past the post’ è infatti strutturato in 650 collegi distribuiti su tutto il territorio ed in ognuno di essi a vincere è il candidato che prende più voti. Questo avvantaggia chi ha una base elettorale molto concentrata come il SNP, il partito indipendentista scozzese che a livello nazionale vale circa il 3-4%, ma essendo primo partito in molti collegi scozzesi, potrebbe aggiudicarsi una quarantina di seggi. Un partito come lo Ukip, che in molti collegi arriva sempre secondo o terzo, è accreditato di un numero di voti totali più che triplo rispetto allo SNP, ma attualmente sembra possa riuscire a prevalere in appena 1 o 2 seggi soltanto. Anche i liberal-democratici sono storicamente penalizzati dal sistema elettorale, quest’anno con un consenso previsto attorno al 9% sono accreditati di 26-27 seggi. Nel caso britannico, la legge elettorale avvantaggia I partiti indipendentisti o comunque geograficamente localizzati e permette a conservatori e laburisti di conservare un vantaggio di partenza frutto di collegi elettorali che negli anni hanno dimostrato una forte fedeltà elettorale. 

L’uninominale maggioritario puro tende a dare una maggioranza forte a un solo partito e storicamente è legato a un rapporto di causa-effetto con un sistema bipartitico. Tuttavia, l’emersione recente di partiti nazionali “terzi” come I Lib-Dem, lo Ukip, e i Verdi e il notevole successo delle forze indipendentiste in Scozia, Galles e Irlanda del Nord ha via via eroso seggi a conservatori e laburisti rendendo i 326 seggi necessari per la maggioranza assoluta difficili da raggiungere. Attualmente i sondaggi infatti prevedono – a seconda dei risultati - due possibili coalizioni di governo: laburisti più Snp (opzione al momento più probabile) oppure una conferma della coalizione tra conservatori e lib-dem. È perfino possibile però che per raggiungere la maggioranza occorra includere addirittura ulteriori forze politiche. 

Si sa che nessun sistema elettorale è perfetto e anche il "first past the post" presenta controindicazioni. Per prima cosa, dato che il candidato deve assicurarsi solo la maggioranza relativa, è possibile che la maggioranza di persone in quel collegio abbia in realtà votato per altri candidati. Allo stesso modo, per via di questa distorsione, il partito che alla fine forma il governo potrebbe in realtà aver ricevuto meno voti del suo principale avversario. Il sistema può infine scoraggiare alcuni elettori dal recarsi alle urne: nei collegi dove un determinato partito è già dato per vincente i sostenitori di altri schieramenti potrebbero astenersi dal voto giudicando inutile andare a votare essendo I “giochi già fatti”.

Spesso inoltre ci si dimentica come la legge elettorale possa perfino essere più importante del numero di voti ottenuti e come diversi sistemi di conversione dei voti in seggi possano trasformare l’intero scenario politico. Con un sistema proporzionale puro, lo Ukip avrebbe più di 70 seggi, a fronte dell’unico parlamentare che al momento sembrerebbe poter eleggere. I conservatori, accreditati di un 36% circa su scala nazionale, perderebbero circa 40 seggi rispetto al sistema vigente, mentre i laburisti oltre 50. Gli indipendentisti scozzesi  sarebbero poi ridotti a una dozzina di seggi. I governi di coalizione sarebbero la norma e partiti come lib-dem, Ukip e Verdi guadagnerebbero molto potere contrattuale. Con il cosiddetto Italicum applicato al Regno Unito avremmo invece Conservatori e Laburisti come unici possibili vincitori, entrambi in competizione per il raggiungimento del 40% al primo turno, oppure impegnati in un ballottaggio gli uni contro gli altri in un secondo turno elettorale.

Una riflessione sul sistema elettorale britannico è quindi utile anche in chiave italiana, specie alla luce del travagliato iter parlamentare dell’Italicum. La legge elettorale proposta dal governo Renzi, e in attesa del definitivo via libera parlamentare, è ispirata al sistema spagnolo ma presenta significative modifiche rispetto all’originale iberico.

Si tratta di un sistema proporzionale con assegnazione dei seggi su base nazionale e una soglia di sbarramento del 3%. Previsti 100 collegi e in ognuno verranno presentate liste di 6 candidati. Queste dovrebbero essere composte da capilista bloccati (primi a essere eletti), mentre dal secondo eletto in poi intervengono le preferenze (ogni elettore ne potrà esprimere due). Come nel Porcellum poi, icapilista potranno essere inseriti nelle liste in più di un collegio elettorale, fino a un massimo di 10. Se la lista più votata dovesse ottenere almeno il 40% dei voti, otterrà un premio di maggioranza. Il premio assegnerà alla lista più votata 340 seggi su 617 (sono esclusi dal calcolo il seggio della Valle d'Aosta e i 12 deputati eletti all'estero): si tratta del 55% dei seggi. Se invece nessun partito o coalizione arrivasse al 40% scatterebbe un secondo turno elettorale per assegnare il premio di maggioranza. Accederebbero al secondo turno le due liste più votate al primo turno, e il vincente otterrà un premio di maggioranza tale da arrivare al 53% dei seggi (327 deputati).

È evidente che l’intenzione del governo sia quella di garantire governabilità al paese, o come ripetono molti politici, ‘avere un vincitore certo la notte delle elezioni’. Questo anche a costo di distorcere parzialmente la rappresentatività delle forze politiche (con premio di maggioranza e soglia di sbarramento). 

Come già detto, tutti i sistemi elettorali sono perfettibili e nessuno per definizione può garantire piena governabilità e rappresentanza allo stesso tempo. Tuttavia, non si riflette molto sulle conseguenze della legge elettorale sulla qualità della classe politica. Cosa che - incidentalmente - è uno dei maggiori problemi della politica italiana, costantemente funestata da episodi di corruzione, malaffare e incompetenza dei singoli. Un sistema come quello britannico, pur non garantendo governabilità se applicato a un sistema multipartitico come quello italiano e certamente distorcendo i criteri di rappresentanza sovrastimando alcune forze e svantaggiandone altre poco concentrate territorialmente, ha certamente due grande pregi. Anzitutto quello di permettere ai cittadini di votare direttamente il proprio candidato, rendendo quindi difficile l’elezione di inquisiti e incompetenti, dovendo ciascun politico confrontarsi con gli altri e conquistare voto per voto il consenso degli elettori. Inoltre, un sistema basato su collegi elettorali uninominali rafforzerebbe il legame tra parlamentare e territorio d’elezione. 

In Italia, il sistema più simile a quello britannico è stato il cosiddetto Mattarellum, in vigore per le elezioni del 1994, 1996 e 2001. Era un sistema misto prevalentemente uninominale e conserva ancora degli estimatori tra i vari partiti. Tuttavia la strada sembra segnata e le uniche possibili modifiche all’Italicum dovrebbero riguardare i capilista bloccati, che comunque rappresentano la minaccia più seria alla formazione di una rappresentanza parlamentare di miglior qualità complessiva. Marco Morini

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