SOCIETÀ

Violenze, brogli e sospetti: il Mozambico va alle urne

Sono quattro i candidati alla presidenza del Mozambico, ma la domanda cruciale resta una: il Fronte di Liberazione del Mozambico, d’ispirazione socialista, continuerà a guidare il paese dell’Africa sud-orientale come fa da 49 anni, da quel 1975 che segnò l’inizio dell’indipendenza dal Portogallo? Il partito Frelimo (acronimo dal portoghese Frente de Libertação de Moçambique) parte ancora una volta con il favore dei pronostici, anche se è stato costretto a cambiare candidato (il presidente uscente, Filipe Nyusi, ha raggiunto il limite dei due mandati). Il “nome nuovo” del partito di governo è Daniel Chapo, 47 anni, ex annunciatore radiofonico e docente di diritto costituzionale, che è stato anche governatore della provincia di Inhambane, nel sud del paese: non era mai accaduto che il Frelimo schierasse un candidato nato dopo la conquista dell’indipendenza. Una necessità, soprattutto per questioni anagrafiche, ma anche l’occasione per dare una ripulita all’immagine un po’ appannata del partito, come spesso accade a chi resta stabilmente al potere per così tanti anni, tra pesanti ombre e concreti sospetti di sistematiche frodi, brogli e corruzioni diffuse. Per dirne soltanto una: il Centro de Integridade Pública (CIP), una delle principali ong del Mozambico, ha scoperto che sono state commesse palesi irregolarità nel processo di registrazione degli elettori, con l’inserimento nelle liste di diverse province 878.868 nomi falsi, arrivando a superare il numero degli adulti in età da voto (pari al 5% del totale degli elettori, che sono in tutto circa 17 milioni): un pacchetto di “voti fantasma”, utili ad aggiustare un eventuale esito negativo della consultazione alle urne, che secondo la ong sarebbe nella disponibilità del partito di governo, con la complicità della Commissione elettorale nazionale centrale. Secondo Miguel de Brito, dell’International Institute for Democracy and Electoral Assistance, interpellato dalla Bbc,«sette province su 10 hanno registrato più elettori che persone». Inoltre la stessa ong Centro de Integridade Pública aveva denunciato, alla fine dello scorso anno, un “furto” di circa 60mila voti, in occasione delle elezioni comunali, a favore del partito di governo e a danno del principale partito di opposizione, la Renamo (acronimo di Resistência Nacional Moçambicana). Edson Cortez, il direttore della ong, aveva così commentato: «Non mi vergogno di dirlo: il Frelimo è diventato un partito di gangster, una mafia che controlla lo Stato mozambicano e controlla non solo gli organi elettorali, ma anche l’esecutivo legislativo e giudiziario e manipola il tutto a suo piacimento per rimanere al potere».

La piaga della rivolta islamista

Questa la necessaria premessa per presentare le elezioni presidenziali che si svolgeranno oggi, 9 ottobre, in Mozambico, una nazione che continua a essere tra le più povere del mondo, nonostante possa contare su enormi giacimenti di gas naturale (gli esperti li definiscono “super giant”), scoperti a partire dal 2009 al largo della costa di Cabo Delgado, nel nord del paese (dalla società petrolifera texana Anadarko, poi via via sono arrivate le altre grandi compagnie, dalla Total a Exxon Mobile, compresa l’Eni). Ma dal 2017 l’intera area è sconvolta da una violenta insurrezione islamista che il governo del Mozambico ha sì fronteggiato, grazie anche all’aiuto chiesto alle truppe del Rwanda, ma che non è ancora riuscita a debellare, con attacchi mortali che continuano a colpire le popolazioni locali, bloccando di fatto i colossali progetti di estrazione. Secondo diverse fonti il gruppo islamista Al-Shabaab, legato all’Isis, ha ucciso più di seimila persone negli ultimi sette anni, e circa un milione sono complessivamente gli sfollati, tra i quali donne, molte delle quali incinte, disabili, anziani e moltissimi bambini, che continuano come possono (in autobus, a piedi, perfino in canoa) a fuggire dalle violenze. L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha più volte lanciato allarmi per l’aggravarsi della situazione nei distretti di Macomia, Chiure, Mecufi, Mocimboa da Praia e Muidumbe, sottolineando “l’urgente necessità di misure mirate di assistenza e protezione per rispondere alle esigenze delle popolazioni vulnerabili”. Secondo Human Rights Watch il gruppo armato islamista ha anche distrutto case, chiese, scuole e ospedali, mentre il governo uscente ha continuato per mesi a minimizzare la portata degli scontri, nonostante tutti i progetti di estrazione del gas siano sospesi per “questioni di sicurezza”. Peraltro, sempre sul tema, c’è anche da segnalare il reportage, pubblicato poche settimane fa dal quotidiano statunitense Politico, dal quale emerge una vicenda rimasta nell’ombra, gravissima, accaduta nella penisola di Afungi, nel nord del Mozambico, all’interno dell’impianto gestito dal colosso petrolifero francese Total Energies. Risale all’estate del 2021: l’esercito regolare, mentre contrastava le azioni dei militanti islamisti, ha di fatto sequestrato decine di abitanti dei villaggi limitrofi (si parla di 180-250 persone) accusandoli di aver collaborato con gli islamisti, tenuti prigionieri per tre mesi nei prefabbricati all’ingresso dell’impianto e lì picchiati, torturati, affamati e infine uccisi. Un massacro dal quale si sono salvate appena 26 persone. “La società energetica – scrive Politico - non era presente sul posto al momento delle uccisioni, avendo consegnato l’impianto di gas alle forze di sicurezza mozambicane”.

La questione dell’estrazione del gas naturale, e degli enormi interessi che ruotano attorno ai progetti di estrazione, sta condizionando pesantemente la campagna elettorale. Il presidente uscente, Filipe Nyusi, che a fine settembre ha partecipato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, ha sostenuto che la TotalEnergies, capofila francese del consorzio di società petrolifere che ha presentato progetti di estrazione, sta aspettando l’esito delle elezioni prima di riavviare i lavori: «C’è una coincidenza di eventi in Mozambico e qui negli Stati Uniti: TotalEnergies continuerà con i suoi progetti a Cabo Delgado, ma nessuno mette soldi in un momento di incertezza». Come dire: le estrazioni ripartiranno, se resteremo noi alla guida del paese. Daniel Chapo, il volto nuovo del Frelimo, si è presentato come “il candidato della speranza e del cambiamento”, il che sembra quasi un paradosso per un partito che mai è stato all’opposizione. Tra i punti-chiave della sua proposta: difesa della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, realizzazione di megaprogetti a beneficio dei mozambicani e costruzione di infrastrutture in grado di resistere di fronte ai cambiamenti climatici: il Mozambico, che si affaccia sull’Oceano indiano con 2500 km di costa (ha di fronte il Madagascar), è tra i dieci paesi più vulnerabili a livello globale all’impatto dei cambiamenti climatici e dei rischi naturali, comeinondazioni e cicloni.

Il doppio trattato di pace

Il principale avversario di Daniel Chapo sarà Ossufo Momade, 63 anni, leader del partito Renamo, la “Resistenza mozambicana” che contro il Frelimo ha combattuto una lunga guerra civile cominciata nel 1977, due anni dopo la conquista dell’indipendenza (1975) e terminata soltanto nel 1992: quasi un milione di morti, con l’Unione Sovietica a sostenere il governo del Frelimo e gli Stati Uniti a dare supporto agli insorti del Renamo. Il conflitto, incanalato in una condizione di stallo, fu risolto nel 1992 con un accordo di pace, firmato a Roma, che consentì alle forze di pace delle Nazioni Unite di entrare nel paese e di “sorvegliare” sul corretto svolgimento delle elezioni, vinte dal Frelimo. Più recentemente, nel luglio 2019, le due parti hanno firmato un nuovo trattato di pace per porre fine a qualsiasi schermaglia. Ossufo Momade ha condotto una campagna elettorale “all’attacco”: “Non tollereremo nuovi brogli», ha avvisato, mostrando ottimismo. «Non siamo necessariamente destinati all’opposizione: vogliamo governare anche noi». Poi c’è Lutero Simango, leader del terzo partito più grande, il Movimento Democratico del Mozambico (MDM), che punta forte sul lavoro, promettendo, se eletto, di costruire più fabbriche e di abbassare il costo della vita. Infine l’outsider, l’indipendente Venâncio Mondlane, 50 anni, ex appartenente alla Renamo (ha lasciato il partito della Resistenza lo scorso giugno, per dissidi su chi dovesse correre come candidato), che tanto piace ai più giovani e che si presenta con lo slogan “Salviamo il Mozambico: questo paese è nostro”. Ai suoi comizi fa regolarmente il pienone. Secondo Borges Nhamirre, dell’Institute for Security Studies, con sede a Pretoria, in Sudafrica, «…se le elezioni fossero libere ed eque, avrebbe buone possibilità di emergere come nuovo leader dell’opposizione, magari riuscendo ad arrivare al ballottaggio”.

Su una cosa i tre sfidanti concordano: il Frelimo è la causa principale dei problemi del paese, che continua a scivolare verso il basso nelle classifiche internazionali: secondo il rapporto Index of Economic Freedom, pubblicato annualmente dalla Heritage Foundation, nel 2024 Mozambico ha perso sette posizioni rispetto all’anno precedente, classificandosi al 141° posto su 184 nazioni esaminate. Gli indicatori peggiori sono stati: Efficienza del governo, Libertà di investimento, Libertà d’impresa e Efficienza giudiziaria. Il Mozambico è stato inoltre travolto negli ultimi anni da un enorme scandalo di corruzione legato all’acquisto di una flotta di pescherecci (il cosiddetto scandalo dei tuna bond), che ha provocato nelle finanze pubbliche un buco di oltre 2 miliardi di dollari.

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