CULTURA
Trieste e il suo "non luogo a procedere"
La risiera di San Sabba a Trieste. Foto: Alberto Conti/Contrasto
Da una parte un uomo ossessionato dall'idea di realizzare un museo della guerra per l'avvento della pace, dall'altra una donna erede dell'esilio ebraico e della schiavitù dei neri. In mezzo, la Risiera friulana di San Sabba, l'unico forno crematorio nazista in Italia, ma anche tanti cimeli militari con la loro storia e le vicende di personaggi sconosciuti o dimenticati. Dal nostro passato più terribile e nascosto prende spunto l'ultimo romanzo di Claudio Magris, Non luogo a procedere (Garzanti), presentato all'università di Padova.
“Un libro che interroga la coscienza degli italiani e che, sin dal titolo, intende restituire giustizia a chi non l'ha avuta”, ha affermato il giornalista Ferruccio De Bortoli nella sua introduzione. Per lo scrittore triestino, invece, “è soprattutto il tentativo di risarcire, seppur a livello letterario, le vittime della guerra. Dimenticarle, altrimenti, significherebbe infliggere ulteriore violenza, essere in qualche modo complici di chi ha fatto loro del male. Di qui l'andare alla ricerca di ciò che certe vite distrutte sono state e di quello che avrebbero potuto diventare”.
A indurre Magris alla stesura di questo volume, descritto da Corrado Stajano come “un poema epico”, è stata la storia di un uomo realmente esistito: Diego de Henriquez. Questi trascorse la vita a collezionare reperti delle due guerre mondiali (armi, cannoni, aerei, divise) per allestire un museo a favore della pace. Un sogno, però, mai realizzatosi per il sopraggiungere della sua morte, nel 1974, in un rogo dai contorni misteriosi, avvenuto nel capannone in cui viveva, a Trieste. In quell'incendio vennero perduti – o furono fatti sparire – dei taccuini in cui de Henriquez avrebbe annotato i nomi di “collaborazionisti o comunque buoni amici dei boia”, che i detenuti della Risiera di San Sabba, trasformata in forno crematorio negli ultimi due anni del secondo conflitto mondiale, avevano scritto sui muri. Nomi che in seguito furono cancellati con una mano di calce.
Tale vicenda ha portato il noto germanista e docente universitario a condurre ulteriori ricerche, i cui esiti, mescolati alla fantasia propria di ogni scrittore, ritroviamo in Non luogo a procedere. La rievocazione della storia di Diego de Henriquez, che nel libro è solo un “lui” senza nome e cognome, si intreccia a quella di una donna, Luisa Brooks, incaricata di progettare, a distanza di tempo, quel museo mai aperto (nella realtà è stato inaugurato due anni fa a Trieste). Anche lei ha un passato importante: è “figlia di due esili”, ovvero di una ebrea triestina, che non riesce a perdonarsi di essere sopravvissuta alla Shoah, e di un sergente afroamericano giunto in Italia nel 1945 con l'esercito alleato. Con la sua storia personale e quella babele di oggetti chiamata a disporre e raccontare, finisce per diventare essa stessa la vera protagonista del romanzo.
A rendere l'intreccio ancor più vivo vi sono anche altre storie che Magris immagina come “sprigionate da una lampada di Aladino”. Si sofferma a pensare, infatti, chi possa aver imbracciato le armi da esporre e chi possano aver ucciso. Riprende fatti realmente accaduti, come la storia di Luisa de Navarrete, scovata per caso negli stralci di verbali conservati all'archivio di Siviglia, per chiedersi come parlavano i perseguitati. Luisa, una nera vissuta nel Cinquecento, andata in moglie a un bianco, fu accusata di stregoneria, ma all'interrogatorio davanti all'Inquisizione riuscì a farsi passare per vittima. O ancora, rievoca la vicenda di Ercole Miani. Capo della resistenza antifascista a Trieste, fu torturato dal vicecommissario di polizia Gaetano Collotti. Nel dopoguerra, dopo l'assegnazione della medaglia di bronzo al suo aguzzino, rifiutò ogni onorificenza.
“L'indugiare in una realtà così complessa può aiutare a capire quello che è successo dopo – ha rimarcato lo scrittore –. Il mio forte interesse ad indagare la realtà si deve ad un senso di rispetto, ma ciò si accompagna alla difficoltà di raccontare il mondo in modo ordinato come invece faceva il grande romanzo ottocentesco. Ecco, dunque, la necessità di fare i conti con la nostra impossibilità di capire ciò che ci circonda”.
Come la questione della guerra oggi. “Da più di settant’anni viviamo, anche se non ci sembra, in una lunga idillica pace. Certo, si sono gettate continuamente bombe, sono state compiute e si compiono stragi sanguinose, eserciti si sono scontrati e si scontrano nei più diversi luoghi della terra, ma non c’è stata dichiarazione di guerra né trattato di pace – ha osservato Claudio Magris –. Mentre le terribili guerre d’un tempo finivano, oggi sembra che non ne finisca nessuna. Vi è stata la Terza guerra mondiale, quella cosiddetta fredda, e ora la guerra infuria nei Paesi più vari. Una vera Quarta guerra mondiale ma senza che si sappia con precisione di chi contro chi. La guerra viene ripudiata in molte costituzioni dei Paesi civili e la stessa parola viene pronunciata a fatica, preferendo parlare di operazioni di polizia internazionale. Il bombardamento, però, non è un'azione di pace. Quindi o si decide che sia inevitabile fare la guerra o, in nome di principi altissimi e indiscutibili, si decide il contrario: è uno scontro fra etica della convinzione ed etica della responsabilità, ma non si può fare la guerra fingendo, al contempo, di non farla”.
Elena Trentin