SOCIETÀ

Tunisia, una ferita all’Islam democratico

“Ci hanno colpiti perché oggi la Tunisia è l’esempio del fatto che l’Islam è compatibile con la democrazia”. È l’analisi a caldo di Osama Al Saghir, giovane (31 anni) deputato al parlamento tunisino nelle file del partito islamico moderato Ennahda, affiliato ai Fratelli Musulmani, ma anche cittadino italiano, visto che qui (anche a Padova) ha compiuto gli studi e buona parte della sua vita.

Oggi la Tunisia è governata da una coalizione formata da Ennahda, che con il 37% è il partito di maggioranza relativa, e altri partiti laici. Una collaborazione non facile, come dimostrano i disordini scoppiati soprattutto in seguito all’assassinio del leader politico laico Chockri Belaïd, ma che l’anno scorso è anche riuscita a condurre in porto la nuova costituzione. Oggi il pericolo avvertito dai leader musulmani che si definiscono moderati è quello di finire schiacciati dall’Is da una parte e dall’altra dalle tentazioni autoritarie, come quella che nel 2013 in Egitto ha mandato al potere il generale Al Sisi. Una prospettiva a cui Tunisi reagisce proponendosi come il laboratorio di un nuovo potere islamico moderato: “In concreto stiamo mettendo insieme la democrazia con i nostri principi religiosi, e questo fa molta paura ai terroristi, perché mette in pericolo la loro capacità di reclutamento tra la popolazione. Loro dicono che la democrazia non ha niente a che fare con noi e con la nostra religione, frutto solo di un influsso dell’Occidente invasore”. 

Ieri mattina Al Saghir era in parlamento, a pochi passi dal luogo dell’attacco: “Abbiamo sentito distintamente gli spari mentre eravamo al lavoro. Il museo Bardo forma un unico complesso insieme al parlamento e ad altri edifici istituzionali: gli ingressi sono vicinissimi, tanto che molti turisti hanno trovato rifugio assieme ai deputati”. In quel momento si stava esaminando proprio il progetto di legge sull’antiterrorismo: “Erano in corso le audizioni in commissione dei rappresentanti del ministero degli interni e di quello della difesa”. Un tempismo a dir poco sospetto. “Penso che gli obiettivi fossero due: il parlamento e i turisti stranieri, visto che le crociere di solito arrivano il mercoledì. Sappiamo che oggi questi gruppi terroristi vogliono la massima risonanza cercando di colpire stranieri delle più diverse nazionalità”. La lista delle vittime comprende infatti non solo quattro cittadini italiani, ma anche persone provenienti dalla Francia, dal Sudafrica e dalla Colombia.

Si tratta dell’attentato più grave in Tunisia da quello avvenuto nel 2002 alla sinagoga di Djerba, in cui morirono 24 persone: “Il nostro vero 11 settembre però è stato ieri – dice Al Saghir –  perché non siamo abituati a questo genere di attacchi. Abbiamo avuto dei problemi in questi anni, ma sempre ai confini: in montagna verso l’Algeria o nel deserto con la Libia. Questo attacco invece è avvenuto nel centro di Tunisi, nel cuore istituzionale del paese”. Quali sono state le reazioni a caldo? “Subito dopo la sparatoria i parlamentari sono scesi assieme agli altri cittadini in avenue Bourguiba, teatro delle manifestazioni contro il regime dittatoriale. Poi abbiamo fatto una sessione plenaria straordinaria dell’assemblea, durata fin dopo mezzanotte. Un segno forte contro un attentato vile e anche un messaggio per i cittadini tunisini, per dire che saremmo rimasti qui. E infatti il giorno dopo siamo a fare il nostro lavoro: non dobbiamo lanciare nessun segnale di debolezza”.

Adesso come si pensa in Tunisia di contrastare il fondamentalismo? “C’è molto da fare: cercheremo di dare alle nostre forse di sicurezza strumenti ancora più sofisticati per fare il loro lavoro, ma la risposta non può essere solo repressione. Per questo stiamo cercando di spingere il governo a coinvolgere la comunità internazionale”. Come? “Ad esempio con una conferenza internazionale sul terrorismo. La cosa importante è decidere insieme una strategia diversa contro il terrorismo, non fallimentare come quella degli ultimi anni. Dal 2001 il terrorismo si è rafforzato, non indebolito: prima c’erano campi di addestramento nascosti, adesso i terroristi hanno uno stato in Siria, e inoltre controllano diversi territori in Africa”. Anche in Tunisia? “Penso soprattutto alla Libia e al Sinai”. In questo caso però gli attentatori erano tunisini. “Sappiamo che almeno uno di loro ha combattuto per anni in Siria e in Iraq”.

In Italia e in Europa si parla di un intervento: pensate di aver bisogno di aiuto? “La nostra richiesta è di considerare questo come un attacco non solo alla Tunisia, ma a tutto il mondo libero. Chiediamo soprattutto di sostenere la transizione democratica in atto. Qui abbiamo fatto un esperimento che sta riuscendo: l’obiettivo è quello di distruggere questa idea dell’incompatibilità tra i princìpi dell’Islam e la democrazia. Per questo rappresentiamo un grave pericolo per l’estremismo terrorista, che utilizza la religione come strumento per i propri fini, per questo siamo stati colpiti”.

Daniele Mont D’Arpizio

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