SOCIETÀ

Le multinazionali alla conquista dello spazio

Sempre più soggetti nel mercato, sempre più privati e sempre più soldi: la space economy è a un punto di svolta. Quella che all’inizio era vissuta alla stregua di una costosissima competizione per il prestigio internazionale, tenuta in piedi da imponenti investimenti statali, oggi è sempre più anche un business, che da un attuale giro d’affari di 350 miliardi all’anno secondo Morgan Stanley potrebbe arrivare entro il 2040 a 1.000 miliardi (più o meno metà del pil italiano).

L’economia legata allo spazio è sempre esistita ma negli ultimi cinque anni ha avuto un’espansione enorme, tanto che oggi si parla di new space economy – spiega a Il Bo Live Leopoldo Benacchio, docente e astronomo presso l'Osservatorio Astronomico di Padova (INAF) –. In passato lo spazio era roba per militari e scienziati, poi sono arrivate le telecomunicazioni e le previsioni del tempo. Quello a cui assistiamo oggi è però un cambio di paradigma: le cosiddette orbite basse, quelle a un’altezza di circa 400 chilometri, sono di fatto diventate un’estensione del suolo terrestre”.

Le orbite dei satelliti sono di fatto diventate un’estensione del suolo terrestre

Da tempo sopra le nostre teste il traffico si è intensificato: la maggior parte dei satelliti è compresa tra un’altezza di 400 e 1.200 chilometri, mentre più in là ci sono i satelliti geostazionari, come quelli che usiamo per geolocalizzarci sulle mappe e che girano assieme alla Terra come se fossero legati a una pertica, con un’altezza che arriva a 37.000 chilometri e una velocità di circa di 28.000 chilometri orari. “Oggi almeno duemila satelliti che ci offrono servizi di tutti i generi, dalle trasmissioni al telerilevamento. Per trovare la macelleria più vicina possono intervenire fino a 12 satelliti supersofisticati ed è stato calcolato che con uno smartphone non si può stare più di 15 minuti senza utilizzare un segnale dallo spazio. A qualcuno mette ancora angoscia ma ormai è così”.

Il primo tassello di questo cambiamento è la tecnologia: “Grazie al passaggio di know how dalle grandi agenzie ai privati ora lanciare un satellite può costare davvero poco – continua lo scienziato –. Con 10-20.000 euro oggi è possibile costruirne uno grande come una scatola da scarpe, che magari fa una cosa sola ma la fa bene. E questo è anche molto democratico: già una ventina di Stati africani grazie a lanciatori di Paesi terzi hanno iniziato a mettere in orbita i propri satelliti, ad esempio per sorvegliare le coste oppure gli effetti delle piogge sui pascoli”. Secondo Benacchio “è ovvio che costellazioni all’avanguardia come le europee Copernico e Galileo costano ancora miliardi, ma ad esempio l’operatore britannico Oneweb ha appena lanciato in una volta sola 50 satelliti con un solo vettore. I satelliti sono alloggiati in una specie di piccolo alveare, poi al momento giusto vengono espulsi come da una sorta di portapastiglie spaziale”.

L’altro punto di svolta, oltre alla tecnologia, è l’ingresso dei privati. “Per ora nel settore ci sono soprattutto gli americani: fu Obama ad imporre alla Nasa di passare loro tecnologie e soldi. Elon Musk è il più noto ed è furbo: con SpaceX spara razzi piccoli e grandi, porta astronauti sulla Stazione spaziale internazionale, di fatto opera come un’agenzia spaziale. Nel settore però ci sono anche Bezos, Branson e tanti altri”. Non tutti riescono a mettere su un modello di business efficiente: “Proprio Oneweb ad esempio è fallita ed è stata rilevata dal governo britannico. Aveva però l’idea giusta, su cui oggi puntano tutti: distribuire internet dallo spazio, che vuol dire collegarsi a casa propria anche dalla cima dell’Himalaya. I satelliti sono ancora pochi, ma Musk ha già la licenza per metterne in orbita 15.000”.

Spazzatura spaziale in orbita attorno alla Terra

Qui si pone il problema del sovraffollamento: “La meccanica celeste dice che il numero di orbite possibili è limitato, non si possono lanciare satelliti all’infinito. Il problema del traffico è gravissimo. Non solo, c’è anche quello della spazzatura spaziale; centinaia di migliaia di pezzi che girano a attorno alla Terra: molti sono più piccoli di un bullone, ma viaggiano a 30.000 chilometri orari! Anche questo però è un mercato: ci sono già diversi progetti di monitoraggio e sorveglianza americani ed europei, ma chi trova il modo di eliminare questi residui diventa l’uomo più ricco del mondo”.

Lo spazio insomma è il grande affare del futuro, e inevitabilmente sta diventando anche terreno di scontri e di rivalità. Non è forse un caso che, mentre la Cina continua le sue esplorazioni sulla Luna, recentemente gli Usa abbiano addirittura istituito una nuova forza armata dedicata: la United States Space Force (USSF). “Oggi è in pratica possibile mandare in orbita quello che vuoi, e questo non va bene perché lo spazio dovrebbe essere uno dei famosi beni comuni. Nessuno però vuole regolamentarlo; in particolare gli Stati Uniti stanno replicando quello che hanno fatto nel web, puntando a una posizione di vantaggio sostanzialmente monopolistica”.

E l’Europa e in particolare l’Italia che fanno? Nel 2020 è nata l’italiana Primo Space, in ordine di tempo terzo fondo di investimento privato in Europa che ha l’obiettivo di investire proprio nelle startup della space economy. “Molti ripetono che l’Italia è stato il terzo Paese, dopo Usa e Urss, a mandare in orbita un satellite, ma questa è storia – conclude Leopoldo Benacchio –. Molto più importante è che nel nostro Paese sia oggi presente l’intera filiera che fa capo all’industria aerospaziale: dalla costruzione di satelliti con Thales Alenia Space, quella dei vettori con Avio, che fabbrica Vega e partecipa ad Ariane, fino al controllo in orbita e all’acquisizione ed elaborazione dati con Telespazio. Oggi sono sempre più importanti le applicazioni, e anche una piccola azienda può inventarsi un servizio e mandare in orbita a prezzi competitivi un piccolo satellite: fosse anche per sorvegliare quattro campi a Pegolotte di Cona. Come in tutto il resto dell’economia, oggi soldi e potere si fanno con i dati”.

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