SCIENZA E RICERCA

La coltivazione del caffè alla prova delle temperature che si alzano

Il Brasile è il più grande produttore di caffè del mondo. Ma entro la fine del secolo, tra il 35% e il 75% delle terre oggi coltivate a questo scopo potrebbero essere inutilizzabili. Lo dice un recente studio pubblicato in Science of the Total Environment dal team di ricerca guidato da Cássia Gabriele Dias dell’Università Federale di Itajubá, in Brasile. La causa è la trasformazione del clima e l’aumento delle temperature. 

Lo studio si è concentrato su una delle due specie attualmente coltivate, Coffea arabica, per il consumo sotto forma di bevanda. Ma si tratta della pianta che costituisce quasi due terzi della produzione mondiale totale. Coffea arabica, come anche l’altra specie Coffea canephora (nota come “robusta”), è una pianta che produce al meglio quando la temperatura rimane compresa tra i 18 e i 23 °C per tutto l’anno. Ma molte delle aree del Brasile dove viene coltivata sono già oggi al limite superiore di questo intervallo, mettendo a rischio la futura produzione.

Un problema anche di parassiti

Ma non si tratta solamente di condizioni ambientali che cambiano e non sono più in linea con quelle ideali. Secondo Dias e colleghi all’aumento delle temperature corrisponde un incremento di vulnerabilità rispetto a due altri fattori. Il primo è la ruggine del caffè (Hemileia vastatrix), un fungo che degrada le foglie della pianta, rendendole meno capaci di realizzare la fotosintesi. Gli effetti possono essere devastanti per i raccolti. Una terribile epidemia di ruggine ha colpito le piantagioni di caffè dell’America centrale nel 2012, riducendo del 16% la produzione.

Un secondo fattore individuato da Dias è il fatto che all’aumentare della temperatura, le piante di caffè sono più esposte a due insetti. Uno è Leucoptera coffeella, una falena che depone le proprie uova all’interno dei frutti che stanno maturando. L’altro è un coleottero, Hypothenemus hampei, ovvero la piralide della bacca di caffè. Anche la piralide depone le uova all’interno di un tunnel scavato nella bacca del caffè.

 

Non solo Brasile

Lo studio del team di Dias conferma un’altra ricerca, condotta però non solo sul Brasile. Roman Grüter dell’Institute of Natural Resource Sciences, dell’Università di scienze applicate di Zurigo (Svizzera) ha guidato uno studio che ha analizzato come l’aumento delle temperature globali impatterà su tre colture (caffè, anacardi e avocado). Si tratta di tre piante che vengono coltivate prevalentemente nella fascia compresa tra i due tropici e che vedranno significativamente modificarsi le rispettive aree di produzione da qui al 2050.

 

Il confronto tra le due mappe realizzate dal team guidato da Grüter permette di vedere le modificazioni per quanto riguarda il caffè. Nella prima mappa è fotografata la situazione attuale, con le aree verdi indicate come le più adatte per la produzione di caffè (anche in questo caso si prende in considerazione C. arabica). Nella seconda, invece, i ricercatori hanno preso in considerazione lo scenario intermedio di intervento per la mitigazione del clima previsto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), quello denominato RCP 4.5. Si notano quindi due fenomeni. Il primo è l’enorme superficie che diventa inadatta alla coltivazione di caffè (in arancio) e lo spostamento delle aree adatte verso nord in Asia e verso sud in America meridionale (in verde). Il che significa che Cina e Argentina potrebbero diventare due produttori importanti nel giro di qualche decennio, spostando la geopolitica del caffè verso latitudini prima escluse.

 

Gli impatti che già si vedono

Nello studio svizzero i ricercatori hanno realizzato un focus particolare sul Vietnam, un paese che sta ricoprendo un ruolo sempre più importante per la produzione di caffè. Anche nel caso del paese asiatico, l’aumento delle temperature impatterà notevolmente sulla geografia della coltivazione. In questo caso, la mappa mostra gli effetti previsti anche per gli altri due scenari di mitigazione dell’IPCC: protezione del clima (RCP 2.6) e business-as-usual (RCP 8.5).

 

La perdita di terreni adatti al caffè è notevole, soprattutto per le zone meridionali del paese, quelle che con più probabilità usciranno dall’optimum 18-23 °C.

La situazione vietnamita permette anche di prendere in considerazione un altro fattore importante. Mentre in Brasile i produttori di caffè sono per lo più grandi aziende che praticano un’agricoltura di tipo industriale, qui molte attività sono di proprietà di piccoli produttori. La differenza tra le due situazioni è lampante, perché le grandi aziende hanno maggiori possibilità di rilocalizzare la propria produzione grazie a una maggiore disponibilità di capitali da investire. Per i piccoli produttori, questa possibilità non è data e si tratta quindi di reinventarsi completamente. Lo raccontava qualche mese fa un lancio dell'agenzia di stampa Bloomberg, che riportava le dichiarazioni di un produttore, Tran Thi Lien, proprietario di un ettaro a caffè nella provincia di Dak Lak, nel centro del paese. “Dobbiamo scavare più in profondità per trovare l’acqua”, raccontava, e “alcuni anni non ne abbiamo abbastanza per l’irrigazione”. Altre volte, invece, sono le piogge troppo abbondanti a compromettere i raccolti.

 

Questa situazione precaria già si vede nell’andamento dei prezzi. Sia quello di robusta che quello di arabica sono cresciuti negli ultimi anni. In particolare, in virtù di una sua maggiore resilienza, C. robusta ha sostituito una parte della produzione, anche in Vietnam. Ma questo cambio di specie ha degli effetti sulle miscele che vengono commercializzate. C. robusta, infatti, tende a dare un caffè più amaro e “terroso”, ritenuto meno pregiato di quello derivato da C. arabica.

 

Prospettive future

Commentando questi scenari, il settimanale britannico The Economist ha messo in fila una serie di esperimenti che si stanno compiendo per salvaguardare la produzione di caffè. Una serie di studi prevedono di piantare gli arbusti di caffè sotto ad alberi più alti. L’ombreggiatura dovrebbe garantire temperature più basse a livello delle piante di caffè sottostanti, ma questa tecnica agroforestale ha l’effetto indesiderato di rallentare la maturazione delle bacche. Non si tratta necessariamente di un male in termini assoluti, ma è un cambiamento che ha un effetto sia sulla dimensione dei chicchi, sia sul sapore della bevanda finale.

Un’altra strada che si sta percorrendo è quella di recuperare specie di pianta del caffè che erano andate perdute. In Sierra Leone, per esempio, è stata recentemente riscoperta Coffea affiniss. Era noto fin dal 1925 che era in grado di fornire chicchi per una bevanda dal sapore piacevole, ma la storia produttiva l’aveva progressivamente esclusa. Secondo i primi studi, questa specie potrebbe sopportare meglio temperature più elevate rispetto ad arabica e robusta. Ma le piante “dimenticate” di caffè sono molte di più: c’è Coffea stenophylla che darebbe aromi acidi e fruttati comparabili con quelli di arabica. Oppure Coffea dewevrei, che è stata scoperta nel 1902 e ha una facilità di crescita molto interessante. Fino alla fine degli anni Venti del Novecento era una delle piante più coltivate, ma è stata decimata da un fungo, Gibberella xylarioides, e quindi abbandonata.

In questo senso, il caffè mostra ancora una volta come l'omogeneizzazione del mercato mondiale, basato praticamente esclusivamente su due specie, ha ridotto la capacità di adattamento della coltura a diverse condizioni ambientali e climatiche. E mostra anche come proprio nella varietà di risorse genetiche finora trascurate possa nascondersi qualche possibile aiuto per salvaguardare la produzione di una delle bevande più diffuse al mondo.

 

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