SOCIETÀ

COP16: le risorse finanziarie per la biodiversità

La COP29 di Baku sul clima e la COP16 di Cali sulla biodiversità sono state incentrate su un tema: sbloccare i finanziamenti. Quello di dove trovare le risorse economiche per realizzare i progetti di tutela della natura e di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico è infatti uno dei nodi più complessi della diplomazia ambientale.

È un tema che solleva molti contrasti, primo fra tutti (anche se si tratta di una distinzione un po’ semplicistica) quello tra i Paesi del Nord e quelli del Sud globale: questi ultimi, in virtù delle responsabilità storiche della crisi ambientale e dell’ampia disponibilità economica dei Paesi del Nord, chiedono loro un grande sostegno economico per far fronte alla crisi e per mettere in atto iniziative di protezione; d’altro canto, i Paesi del Nord sono restii a stanziare la (grande) quantità di risorse necessarie, e per di più di farlo a fondo perduto, e non sotto forma di prestiti.

Eppure, questi soldi servono, e servono con urgenza. Nel caso della biodiversità (così come per il clima, d’altronde), questa urgenza è particolarmente evidente: basti pensare al fatto che i 17 Paesi “megadiversi” (cioè quelli che ospitano il 70% delle specie esistenti sul pianeta) sono in gran parte Paesi in via di sviluppo, e hanno di conseguenza una minore capacità economica per tutelare questa preziosa ricchezza comune.

 

È stato stimato che per realizzare delle politiche efficaci di tutela della biodiversità, servirebbero tra i 700 e i 900 miliardi di dollari l’anno a livello globale. È una cifra che sembra altissima, ma si rivela modesta se paragonata al PIL annuale globale (che è superiore a 100 trilioni – miliardi di miliardi – di dollari) e, soprattutto, se paragonata al valore economico dei benefici che l’economia e le società umane traggono dalla natura e dai suoi “servizi” (è stato calcolato che questo valore ammonti a 179 trilioni di dollari annui). Considerando che, ad oggi, gli investimenti globali (pubblici e privati) in favore della tutela ambientale ammontano a non più di 130-140 miliardi di dollari l’anno, mancano all’appello, secondo un rapporto pubblicato nel 2020 dal Paulson Institute e da The Nature Conservancy, 600-800 miliardi di dollari l’anno.

Tenendo conto di questa esigenza economica, gli Stati firmatari della Convenzione sulla Diversità Biologica hanno raggiunto, alla COP15 del 2022, uno storico accordo – il Kunming-Montréal Global Biodiversity Framework – che ha definito anche gli obiettivi finanziari per la tutela della biodiversità da raggiungere entro il 2030.

Tra questi figurano:

  • Il target 18, che prevede che “siano identificati entro il 2025 ed eliminati o riformati gli incentivi e i sussidi dannosi per la biodiversità, […] riducendoli di almeno 500 miliardi di dollari l’anno entro il 2030 e aumentando i sussidi positivi per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità”;
  • Il target 19, che prevede la mobilitazione di almeno 200 miliardi di dollari l’anno entro il 2030 da tutte le risorse pubbliche e private; questo obiettivo deve essere raggiunto con la mobilitazione di almeno 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025 e almeno 30 miliardi l’anno entro il 2030 sotto forma di risorse finanziarie pubbliche destinate alla biodiversità che i Paesi sviluppati dovrebbero fornire ai Paesi in via di sviluppo.

Il 2025 è la prima data di scadenza per alcuni degli obiettivi e dei sotto-obiettivi del Framework. Sono in scadenza anche alcuni obiettivi finanziari, tra cui, come abbiamo visto, la mobilitazione di almeno 20 miliardi di dollari l’anno di finanze pubbliche da destinare ai Paesi in via di sviluppo per supportare la tutela e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, e l’identificazione (e inizio dell’eliminazione) dei sussidi dannosi per la biodiversità. A che punto è il raggiungimento di questi obiettivi?

I finanziamenti per la biodiversità

Per cercare una risposta, bisogna rivolgersi ad alcuni strumenti che tengono traccia di tutti i finanziamenti (o le promesse di finanziamento) che governi, organizzazioni e aziende hanno stanziato negli ultimi anni a favore dei diversi fondi che sono stati istituiti per gestire le risorse per la protezione della natura.

Una delle fonti più autorevoli è l’OCSE, che a settembre 2024 – poco prima dell’apertura della COP16 in Colombia – ha pubblicato un rapporto (con dati aggiornati al 2022, poiché i Paesi non riportano gli aggiornamenti di anno in anno) nel quale si elencano e analizzano tutti i principali finanziamenti per la biodiversità resi finora disponibili per chiudere il “biodiversity finance gap”. Il rapporto evidenzia un generale aumento delle risorse finanziarie per la biodiversità da fonti pubbliche e private, e dunque un avvicinamento all’obiettivo di stanziare $20 miliardi l’anno.

È un dato positivo anche il fatto che, nel 2022, l’84% delle risorse finanziarie internazionali per la biodiversità provenisse da fonti pubbliche. Tuttavia, scendendo nel dettaglio, si notano alcuni aspetti preoccupanti, come ha notato la ONG Campaign for Nature in un’analisi del rapporto: in primo luogo, il fatto che è diminuita la quantità di fondi destinata direttamente alla tutela della biodiversità, e sono invece aumentati i finanziamenti che hanno la tutela della natura come obiettivo secondario. Inoltre, è problematico il fatto che la maggior parte di queste risorse venga resa disponibile non sotto forma di concessioni, ma di prestiti, contravvenendo al principio per cui i Paesi sviluppati dovrebbero offrire supporto ai Paesi in via di sviluppo per la tutela della biodiversità – che è, ovviamente, un bene comune dell’intera umanità.

Secondo lo strumento di monitoraggio Biodiversity Finance Trends, l’aggiornamento del 2024 mostra che “si stanno registrando progressi, ma bisogna fare di più per mobilitare risorse da tutte le fonti (pubbliche, private, nazionali e internazionali) per fermare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030”. Nel 2022, i finanziamenti da parte dei Paesi donatori sono passati da circa $6,8-11,1 a $7-12,1 miliardi l’anno; i finanziamenti multilaterali (ad esempio, quelli resi disponibili dalle banche multilaterali di sviluppo) sono all’incirca quadruplicati; le risorse private mobilitate dalle banche di sviluppo sono circa raddoppiate. Inoltre, al 2024 sono 101 i Paesi che hanno introdotto almeno un incentivo positivo per la natura.

A tal proposito, un aggiornamento pubblicato dall’OCSE a ottobre 2024 ha fatto il punto sugli strumenti finanziari “nature-positiveesistenti a livello globale. Lo studio ha mostrato come vi sia stato un graduale aumento di questi strumenti dagli anni 1980 ad oggi, anche se negli ultimi anni questa tendenza sembra essere rallentata. Questi strumenti “positivi” per la natura mirano non a reprimere le attività dannose, ma piuttosto a incentivare, in cittadini e imprese economiche, comportamenti sostenibili e benèfici per il mondo naturale. Tra gli oltre 4000 strumenti oggi attivi in 146 Paesi e monitorati dall’OCSE, vi sono tasse, contributi e sussidi positivi per la natura, pagamenti per i servizi ecosistemici e compensazioni per la biodiversità.

Un altro strumento di monitoraggio dei finanziamenti alla biodiversità, costantemente aggiornato e sviluppato in modo indipendente, è il progetto Nature Finance Info, curato dalle ONG Campaign for Nature, Conservation International, The Nature Conservancy, Wildlife Conservation Society e WWF. Secondo questo tracker, il cui ultimo aggiornamento è di novembre 2024, la somma di tutti i finanziamenti annunciati pubblicamente dai governi ($6,7 miliardi), dalle organizzazioni filantropiche ($0,9 miliardi) e da imprese e investitori ($0,6 miliardi) ammonta per ora a $8,2 miliardi l’anno. Si tratta di una cifra più bassa rispetto a quella riportata dall’OCSE ($15,4 miliardi nel 2022) per diverse ragioni metodologiche e di disponibilità di dati. Il vantaggio, rispetto ai dati dell’OCSE, è che questo tracker viene aggiornato più rapidamente, non dovendo attenersi esclusivamente agli aggiornamenti inviati ufficialmente dai governi ogni cinque anni sotto forma di NBSAPs (National Biodiversity Strategies and Action Plans), e può dunque offrire una panoramica più attuale dell’evoluzione della finanza sulla biodiversità.

Equa condivisione degli sforzi

Un ultimo punto da evidenziare riguarda la distribuzione dei contributi tra i diversi Paesi riconosciuti come “donatori” (obbligatoriamente i Paesi riconosciuti dall’ONU come “sviluppati”, nonché altri Paesi che possono decidere volontariamente di diventare donatori). A monte dell’inizio dei lavori della COP16, il think tank ODI ha pubblicato un rapporto, commissionato dalla ONG Campaign for Nature, nel quale si analizzava l’effettivo impegno dei Paesi sviluppati nel contribuire “in modo equo” al finanziamento delle attività di protezione della natura. Lo studio si basa su un assunto fondamentale: che, per via delle già citate responsabilità storiche e capacità economiche dei Paesi sviluppati, questi debbano farsi carico della maggior parte dei costi collettivi della transizione verso la sostenibilità e degli sforzi per il contrasto alle crisi ambientali.

Il rapporto di ODI, pubblicato nel 2022, mostrava che la maggior parte degli impegni finanziari dichiarati dai Paesi sviluppati fosse molto inferiore rispetto alla loro “giusta quota” di contribuzione per raggiungere l’obiettivo di raccogliere $20 miliardi l’anno entro il 2025. Ben 23 dei 28 Paesi analizzati “pagavano effettivamente [nel 2022] meno della metà di quanto avevano promesso”. Solo pochi Paesi sviluppati avevano raggiunto e superato la loro “giusta quota” di contribuzione nel 2022: Norvegia, Svezia, Francia e Germania. L’Italia, invece, si trovava all’altro capo della classifica, avendo contribuito solo per il 34% della propria “giusta quota”.

Alla conclusione di COP16, la situazione non sembra radicalmente cambiata, e i dati paiono confermare l’esistenza di un distacco tra gli annunci ufficiali e il reale impegno dei Paesi. Ad esempio, ad oggi solo 49 Paesi hanno inviato i loro NBSAPs, cioè i documenti che raccolgono tutte le misure adottate a livello nazionale per raggiungere gli obiettivi del Global Biodiversity Framework, che dovrebbero essere inviati alla Convenzione sulla Diversità Biologica entro la fine del 2025. Di conseguenza, ad oggi, non è possibile tenere traccia a livello internazionale dei progressi in termini finanziari e di conservazione. Ma intanto il tempo a disposizione continua a ridursi, la crisi ambientale procede, e la biodiversità continua a scendere in fondo alle agende politiche di tutto il mondo.


Gli approfondimenti de Il Bo Live sulla COP16 di Cali:

La copertura de Il Bo Live della COP16.2 di Roma:

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