SCIENZA E RICERCA

Cosa mangeremo nel 2050? L'innovazione dalla terra alla tavola

Padova, 13 gennaio 2050. Il protagonista della nostra storia si sveglia alle 7 di un giovedì mattina qualsiasi. Il robot che lo aiuta nelle faccende di casa ha già provveduto a preparargli la colazione, un pasto energetico e sostenibile a base di succo di mirtillo ottenuto da una coltivazione idroponica e accompagnato da un piatto di alghe e cavallette saltate in padella . E così, dopo un breve collegamento satellitare con la sorella, partita per una vacanza nello spazio, l’uomo apre la porta di casa con un microchip sottocutaneo e si dirige verso la macchina volante che lo condurrà al lavoro, evitando le noie del traffico. 

Esagerazioni caricaturali? Probabilmente sì. Ma sin dall’antichità immaginare un futuro più o meno lontano ha sempre stimolato la curiosità umana ed è altrettanto certo che nei prossimi trenta anni la nostra vita cambierà moltissimo, almeno se consideriamo la velocità con cui la tecnologia sta evolvendo ormai da diverso tempo. E saranno trasformazioni trasversali che riguarderanno ogni aspetto della quotidianità: dai mezzi di trasporto agli strumenti di comunicazione, dalla gestione della propria salute alla sfera professionale, senza dimenticare l’ambito relativo all’alimentazione. 

Concentriamoci in particolare sul tema del cibo: cosa mangeremo nel 2050? La popolazione mondiale sarà riuscita nell’obiettivo di frenare l’inquinamento ambientale anche attraverso un cambiamento radicale delle scelte alimentari e dei metodi di produzione? Secondo le stime della Fao nel 2050 gli abitanti della Terra sfioreranno i 10 miliardi di persone e l'obiettivo dovrà essere quello di garantire a tutti la sicurezza alimentare senza distruggere il pianeta. Le risorse però non sono infinite. Anzi, siamo già arrivati ad un punto in cui ogni ulteriore sfruttamento - di terra, acqua, energia o foreste - implica delle conseguenze che non possono essere trascurate, anche perché i numeri del cambiamento climatico sono perentori e già attualmente l'agricoltura irrigua è responsabile di oltre il 70% dei prelievi di acqua dolce a livello globale.

Oggi la più seria minaccia per l'ambiente è ciò che mettiamo a tavola per cena Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia

E, visto che l’inizio di un nuovo anno stimola le persone a porsi nuovi obiettivi da raggiungere o buoni propositi da mantenere, il New York Times ha voluto ragionare proprio sull’argomento cibo, in un articolo intitolato “A New Year’s Climate Diet”. L’autore, Paul Greenberg, ha analizzato quante tonnellate di emissioni potrebbero tagliare gli americani nel corso del 2020 attraverso un cambiamento della dieta. Passare ad un regime vegano permetterebbe di ridurre le emissioni di anidride carbonica da 0,3 a 1,6 tonnellate per persona all’anno, ma si possono ottenere dei risultati positivi anche diminuendo semplicemente il consumo di carne bovina, visto che produrre un chilogrammo di carne implica un rilascio di oltre 27 chilogrammi di anidride carbonica in atmosfera. 

La tecnologia e la ricerca continuano intanto a lavorare per diminuire l’impronta ecologica degli alimenti e proporre nuove alternative da portare in tavola. Insetti, carne in laboratorio, sviluppo di varietà ultra produttive e poco idroesigenti, colture idroponiche, tecnologie di stampa a 3D in grado di replicare la consistenza e i sapori del cibo tradizionale. Le frontiere sono molteplici e alcune sono già una realtà, almeno in qualche area del mondo. Un versante sul quale gli esperti prevedono una rapida evoluzione è quello della produzione di carne o pesce in laboratorio partendo dalle cellule estratte dagli animali. All’argomento il Guardian ha recentemente dedicato un ampio approfondimento sostenendo che la vera sfida sarà convincere i consumatori ad abbracciare la carne coltivata. Non è ancora sul mercato, chiarisce l’articolo, ma almeno 40 aziende private ci stanno lavorando e gli scienziati dell'Università di Bath, nel Regno Unito, stanno coltivando pancetta su fili d'erba. La startup californiana JUST ha invece creato bocconcini di pollo in un bioreattore, senza uccidere nessun animale. 

Bruce Friedrich, membro del Good Food Institute, realtà che lavora per sviluppare alternative alla carne, è convinto che entro il 2050 mangeremo tutti carne coltivata e prevede che tra una trentina di anni “non ci saranno fattorie o macelli e le persone considereranno l’idea di allevare animali vivi per ottenere carne nello stesso modo in cui guardiamo indietro alle carrozze trainate da cavalli per arrivare da Londra a Bruxelles." Questo non vuole dire che smetteremo completamente di mangiare carne di animali allevati per la macellazione. "Ci saranno alcune fattorie di razza e macelli dove gli animali vengono trattati bene - sostiene Friedrich - ma sarà un mercato limitato”.

Arriviamo agli insetti, ai quali spesso è stato attribuito il ruolo di “cibo del futuro”: il loro allevamento risponde a criteri di economicità e sostenibilità ambientale, inoltre sono proteici e altamente nutrienti. Il regolamento europeo sul novel food, che aveva introdotto una prima autorizzazione generale alla commercializzazione degli insetti a fini alimentari, è entrato in vigore nel gennaio del 2018 ma, fino a quando non arriverà una valutazione scientifica positiva da parte dell’Efsa, richiesta dal regolamento stesso, la commercializzazione è consentita solo in un “regime di tolleranza” da parte degli Stati membri interessati. L’Italia ha preferito mantenersi su una posizione di cautela: bisognerà attendere ancora prima di trovare cavallette, grilli e bachi da seta in vendita al supermercato o nei menu di ristoranti particolarmente aperti alle novità. E, anche senza arrivare a mangiarli direttamente, c'è chi sottolinea che gli insetti potrebbero essere un valido nutriente per i ruminanti, riducendo così il massiccio ricorso alla soia e la conseguente deforestazione di alcune aree del pianeta.

Orientare le scelte alimentari delle persone verso soluzioni più sostenibili è un passaggio chiave della sfida che guarda al 2050 ma, risalendo la filiera, anche l'agricoltura dovrà fare la propria parte, affidandosi a tutte le tecnologie che permettono di ridurre gli input chimici e idrici e di avere sempre sotto controllo tutti i parametri sulla base dei quali effettuare le operazioni in campo. Ne abbiamo parlato con Roberto Confalonieri, professore del Dipartimento di Scienze e politiche ambientali all'università di Milano e fondatore di Cassandra lab, Centro per gli studi avanzati di simulazione e ricerca sulla modellistica agroecologica. 

Riprese e montaggio di Barbara Paknazar. Per le immagini si ringrazia Pierdavide Lucarini

"Sarà un'agricoltura prosperosa - afferma il professor Confalonieri - io la vedo così. L'agricoltura dovrà essere al centro perché possiamo parlare di politiche che portano verso una sostenibilità ambientale dei sistemi produttivi e questo va benissimo. Ma non dobbiamo mai dimenticare il fatto che l'agricoltore è il custode del territorio e, se non pensiamo anche alla redditività dei sistemi produttivi per gli agricoltori, il rischio è l'abbandono dei terreni e un territorio abbandonato non vuol dire tornare alla foresta primigenia ma vuol dire cemento, discariche abusive e qualunque cosa di questo genere".

"Quindi - prosegue Confalonieri - dobbiamo fornire agli agricoltori tecnologie che li aiutino a far fronte a pressioni diverse: pressioni che arrivano dal mercato, le sacrosante pressioni delle politiche ambientali, il clima che sta cambiando e via dicendo. Quello che sta accadendo in questi anni è che si sta creando veramente un mercato per queste nuove tecnologie, per due motivi. Da un lato gli agricoltori sono meno sospettosi verso tecnologie satellitari, connettività e computer perché le loro vite sono sempre più invase da questi tipi di tecnologie", ma un altro elemento che spinge la domanda da parte degli agricoltori è "il fatto che, rispetto ad alcuni anni fa, le marginalità economiche si sono ridotte e questo ha fatto accendere le antenne rispetto al cercare di capire come poter recuperare un po' di competitività". 

E le stesse tecnologie stanno evolvendo in modo piuttosto dinamico. "Sono tecnologie che sono maturate in questi anni. I satelliti - precisa Roberto Confalonieri - ci sono da tanto tempo. Il problema è che magari avevano delle risoluzioni spettrali, spaziali o temporali inadeguate oppure costavano tanto. Adesso invece ci sono le costellazioni nuove del programma Copernicus dell'Agenzia spaziale europea, quindi i satelliti Sentinel. Hanno una risoluzione spaziale, spettrale e temporale adatta per il monitoraggio dei sistemi agricoli e le informazioni che forniscono sono gratuite. I simulatori, rispetto a quando ho iniziato a lavorarci io, sono molto maturati e sono pronti per un uso operativo. Senza dimenticare poi gli smartphone che forniscono all'agricoltore la possibilità di essere connessi, di interfacciarsi con sistemi per il supporto delle decisioni, che magari girano nel cloud". 

Secondo il docente dell'università di Milano "i prossimi anni saranno cruciali per favorire lo sviluppo di tecnologie che entrino davvero nelle aziende e possano permettere agli agricoltori di garantirci produzioni di qualità e a basso impatto ambientale. Quindi - conclude Confalonieri - a differenza magari di alcuni miei colleghi, per i prossimi anni vedo una situazione potenzialmente rosea: 20, 30 o 40 anni fa sarebbe stato impossibile pensare di sfamare la popolazione che abbiamo adesso su questo pianeta. Gli esseri umani hanno tanti lati negativi ma, fortunatamente, sono anche molto ingegnosi, sono molto intelligenti e sanno come sviluppare nuove soluzioni a problemi nuovi che man mano emergono. Come ce l'abbiamo fatto finora ce la faremo anche in futuro". 

 

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012