MONDO SALUTE

Il lockdown toglie il sonno

Le misure di restrizione adottate dal governo a partire da marzo, per contenere la diffusione della pandemia da Sars-CoV-2, stanno andando via via allentandosi. Un numero sempre maggiore di lavoratori ha ricominciato le attività in sede, sport e passeggiate hanno ora il via libera e finalmente si possono raggiungere anche gli affetti più cari. Il lockdown dei mesi scorsi ha provocato un grande cambiamento nelle abitudini di vita degli italiani e, se da un lato è stato necessario per limitare il numero di contagi, dall’altro ha avuto un grande impatto psicologico, economico e sociale, riducendo la qualità di vita di ognuno e mettendo a rischio la salute psico-fisica di molti. Da uno studio pubblicato sul Journal of Sleep Research, è emerso infatti che la ridotta attività fisica e la scarsa esposizione alla luce solare, l’assenza di attività sociali, le paure per il contagio e per la situazione economica, e il cambiamento di vita familiare hanno determinato un peggioramento della qualità del sonno, un netto cambiamento nei ritmi sonno-veglia, un incremento nell’uso dei media digitali e una distorta percezione del tempo che scorre.

“L’impatto delle restrizioni del lockdown – spiega Nicola Cellini, del dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova, autore dello studio con Giovanna Mioni della stessa struttura, Natale Canale del dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della socializzazione dell’Ateneo patavino e Sebastiano Costa del dipartimento di Psicologia dell’università della Campania – è stato molto importante sul piano psico-fisico. Inizialmente questo aspetto è passato in secondo piano, perché l’emergenza richiedeva un intervento di tipo sanitario sulla patologia in sé. In questi mesi la maggior parte delle persone non è potuta uscire di casa se non per necessità. Molti di noi hanno dovuto rinunciare alle attività sportive o ridurle, per un certo periodo la semplice corsa è stata vista come un comportamento negativo dal punto di vista sociale.

Guarda l'intervista completa a Nicola Cellini. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello

Siamo stati molto meno esposti alla luce solare, che è fondamentale per il nostro benessere, sia per sincronizzare i nostri ritmi di vita che da un punto di vista fisiologico; aggiungiamo poi la mancanza di contatti sociali e il cambiamento delle nostre abitudini: molti si sono trovati costretti in abitazioni a volte molto piccole, magari con numerose altre persone, altri ancora hanno dovuto lavorare da casa con dei figli a carico (mentre prima potevano fare affidamento su scuole o asili) o delle persone anziane a cui dover badare e tutto questo ha comportato significativi cambiamenti sia nei ritmi di vita che a livello psicologico”.

L’indagine compiuta dai ricercatori fornisce dei dati in merito. Allo studio hanno partecipato 1.310 persone, di cui 880 donne e 430 uomini, di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Il gruppo è stato ulteriormente diviso in due sotto-campioni: 809 di studenti universitari (565 donne e 244 uomini) e 501 lavoratori (315 donne e 186 uomini). Sono state poste a confronto la settimana dal 17 al 23 marzo (la seconda di lockdown completo) e la prima di febbraio (dall’1 al 7, quando non vi era alcun tipo di restrizione sul territorio italiano). I ricercatori si sono chiesti, innanzitutto, quale fosse lo stato di salute mentale del campione che andavano ad analizzare e lo studio ha messo in luce che il 24,2% (24,95% dei lavoratori, 23,73% degli studenti) mostrava sintomi da moderati a estremamente severi di depressione, il 32,6% di ansia e uno su due (49,47% dei lavoratori, 51,6% degli studenti) sintomi di stress.

Abbiamo evidenziato un grande cambiamento nel ritmo sonno-veglia – continua Cellini –: le persone hanno iniziato ad andare a letto circa 41 minuti dopo il consueto orario e a svegliarsi 54 minuti più tardi rispetto al periodo precedente alle restrizioni (i lavoratori si sono svegliati 1 ora e 13 minuti dopo, mentre gli studenti solo 45 minuti). Non solo, nonostante si passasse più tempo a letto, la qualità del sonno è peggiorata: in particolare tra le persone con elevati sintomi di depressione, ansia e stress, la percentuale di quelle con problemi del sonno è aumentata dal 40,5% al 52,4% (studenti: da 41,53% a 53,15%, lavoratori: 38,32% a 51,10%)”. È emerso inoltre che le persone hanno avuto difficoltà a tenere traccia del tempo, confondendo spesso il giorno della settimana, del mese o l’ora del giorno.

Nonostante, durante il lockdown, le persone utilizzassero maggiormente i media digitali nelle due ore prima di andare a dormire (14,8% in più), a differenza di quanto ipotizzato, questo uso della tecnologia non ha influenzato in maniera significativa il peggioramento della qualità del sonno, ma solo il tempo impiegato ad addormentarsi, e l’orario di letto e risveglio. “Ci aspettavamo che un impiego massiccio della tecnologia avrebbe influenzato negativamente la qualità del sonno, dato che esistono studi in letteratura secondo cui l’utilizzo di strumenti digitali prima di andare a dormire ha effetti molto negativi. In questo caso, invece, abbiamo rilevato un minimo effetto della tecnologia sul sonno: ha provocato un ritardo nell’addormentamento (le persone andavano a letto più tardi e si svegliavano più tardi), ma non così drastico come ci si aspettava. È questo il paradosso: in questa situazione di emergenza la tecnologia ha fornito quasi un supporto sociale e ha ridotto l’impatto psicofisiologico delle restrizioni”. Cellini si riferisce ad esempio alle coppie che si sono trovate divise durante il lockdown, ai genitori lontani dai figli, agli amici che non si potevano incontrare: “Un messaggio prima di andare a dormire o una videochiamata possono essere stati di aiuto”.

Risultati simili a quelli ottenuti dai ricercatori dell’Ateneo di Padova e della Campania sono stati raggiunti da un gruppo di scienziati dell’università “La Sapienza” di Roma. Allo studio hanno partecipato in questo caso 2.291 persone (580 uomini e 1.708 donne): il 57,1% di queste ha riferito una scarsa qualità del sonno durante il lockdown, il 32,1% livelli di ansia elevata, il 41,8% elevati livelli di stress e il 7,6% disturbi da stress post-traumatico collegati a Covid-19. È stata evidenziata una relazione significativa tra qualità del sonno, ansia generalizzata e disagio psicologico con sintomi da stress post-traumatico correlati a Covid-19. I giovani adulti e le donne hanno manifestato un rischio maggiore di sviluppare disturbi del sonno, nonché livelli più elevati di ansia e stress.

A dimostrare che le donne sono state tra le persone che hanno sofferto maggiormente dal punto di vista psico-fisico durante il lockdown sono stati anche ulteriori studi condotti all’università di Padova. Uno di questi in particolare (attualmente sottoposto a revisione, ma consultabile in preprint) ha indagato l'impatto delle misure restrittive su un campione di 245 madri e le abitudini comportamentali dei loro bambini in età prescolare. “Ci siamo accorti che il peggioramento nei ritmi di vita e nella qualità del sonno, ma anche nel benessere generale delle madri cambiava molto in base alla situazione lavorativa – spiega ancora Nicola Cellini, che ha lavorato in questo caso con Elisa Di Giorgio e Daniela Di Riso del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione e Giovanna Mioni –. Le poche madri che continuavano ad andare a lavorare in sede hanno sofferto molto meno del cambiamento da lockdown, mentre chi era in smartworking, o ha dovuto smettere di lavorare a causa di un licenziamento o perché aveva i figli a casa, dimostrava invece di avere ritmi e una qualità del sonno peggiori”.

Il docente spiega, inoltre, che nei più piccoli la qualità del sonno non è peggiorata drasticamente, ma i loro ritmi si sono letteralmente sincronizzati con quelli dei genitori. “Quel peggioramento minimo che si è visto nei bambini – continua – era comunque accompagnato anche da un cambiamento a livello di regolazione emozionale: erano molto più difficili da controllare, facevano più fatica a regolare le proprie emozioni e quest’effetto si vedeva maggiormente nei bambini più grandi. I ragazzi in età scolare hanno vissuto probabilmente in maniera peggiore il lockdown, perché essendo più indipendenti tendevano ad avere già un minimo di vita sociale”.

Dai dati che i ricercatori stanno raccogliendo nel corso di queste indagini emerge, in generale, che in situazioni come quella che stiamo vivendo possono essere di grande impatto sul benessere psico-fisico delle persone una corretta igiene del sonno e trattamenti tempestivi come terapie brevi di tipo cognitivo-comportamentali specifiche per l’insonnia, gestibili anche online. Alcune strategie, in particolare, possono tornare particolarmente utili. “Si dovrebbe cercare il più possibile di sfruttare la luce solare, le prime ore del mattino, bisognerebbe pianificare la giornata nel miglior modo possibile (pur considerando tutti gli imprevisti che possono capitare) e si dovrebbero trovare dei momenti per pensare a ciò che sta accadendo così da scaricare lo stress e l’ansia e tornare poi alle proprie attività”.

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