SCIENZA E RICERCA

Non solo onde gravitazionali: i buchi neri massicci

Dopo qualche anticipazione ufficiosa, in poche ore la notizia ha fatto il giro del mondo. Era il 14 settembre 2015 quando Gabriele Vedovato all’Infn di Padova e Marco Drago ad Hannover si scambiavano poche battute su chat non appena si accorsero del segnale. È fatta: “Abbiamo visto insieme per la prima volta un’onda gravitazionale”. E immediatamente avvertirono il resto del gruppo di ricerca. A distanza di 100 anni dalla previsione di Einstein, la rilevazione diretta di un’onda gravitazionale è un momento che passerà alla storia. E non solo per la scoperta in sé, ma anche per le implicazioni astrofisiche che essa comporta. L’esistenza di sistemi binari di buchi neri e la loro collisione, che ha generato il fenomeno, era stata predetta ma mai osservata direttamente come in questo caso. Ma non solo. Viene confermata infatti per la prima volta anche l’esistenza di buchi neri massicci, nel caso specifico di 29 e 36 masse solari. Un fatto, questo, che ha sorpreso gli astrofisici, se si considera che fino a qualche anno fa si pensava che i buchi neri non potessero superare le 10-15 masse solari. A sostenere da tempo invece questa possibilità era il gruppo di Michela Mapelli, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di AstroFisica (INAF) – Osservatorio Astronomico di Padova, il cui lavoro alla fine è stato ripreso anche dalla collaborazione LIGO-Virgo. 

“Noi siamo dei teorici numerici – spiega Mapelli –, non guardiamo il cielo, ma stiamo davanti a un computer a elaborare modelli e simulazioni. Nel corso degli ultimi anni abbiamo messo in relazione i modelli di evoluzione stellare delle stelle massicce con le teorie di formazione degli oggetti compatti (corpi con una densità altissima della materia come buchi neri e stelle di neutroni) e con lo studio della dinamica delle binarie (due corpi che orbitano intorno a un baricentro comune Ndr). Abbiamo elaborato modelli teorici della distribuzione di massa dei buchi neri, stabilendo in quali circostanze possono formarsi buchi neri massicci (di massa superiore a 25 masse solari) e binarie in grado di emettere onde gravitazionali”. 

Ma quanto massiccio può essere un buco nero? Un buco nero è una regione dello spazio-tempo con un campo gravitazionale talmente intenso che nulla al suo interno può sfuggire all'esterno, nemmeno la luce. La sua massa dipende principalmente da due fattori: i venti stellari e le esplosioni di supernova. I venti stellari sono enormi perdite di materia dalla superficie stellare. I fotoni prodotti all’interno della stella si “accoppiano” alla materia che si trova in superficie e la trascinano fuori dalla stella. A influire sull’entità dei venti è la metallicità della stella, cioè il contenuto di elementi più pesanti dell’elio: più metallica è la stella, più forti sono i venti. Si tratta dunque di un fenomeno estremamente importante per l’evoluzione di una stella massiccia, dato che può farle perdere più di metà della sua massa. Sono i venti stellari dunque a determinare la massa finale di una stella nel momento in cui questa termina le reazioni nucleari al suo interno e collassa in un oggetto compatto.

Il collasso ha esiti differenti proprio a seconda della massa stellare. Se la massa finale di una stella è relativamente bassa, intorno a 30-40 masse solari, si va incontro a un’esplosione di supernova che può portare a una ulteriore perdita di massa stellare. L’oggetto compatto che si forma da questa esplosione avrà dunque una massa che corrisponde a ciò che rimane intorno al nucleo originario della stella (poche masse solari). Al contrario, se la massa finale di una stella prima del collasso è sufficientemente elevata, cioè superiore a 30-40 masse solari, l’esplosione di supernova fallisce, gli strati più esterni rimangono legati alla stella e vengono trascinati nel collasso. Di conseguenza l’oggetto compatto che si forma da questa evoluzione avrà una massa simile alla massa finale della stella. Per esempio un buco nero di 30-40 masse solari. Ebbene, il gruppo di Mapelli è riuscito a determinare quando una stella massiccia può effettivamente arrivare alla fine della sua vita con una massa maggiore di 40 masse solari e cioè solo se la sua metallicità è minore di circa un terzo del valore della metallicità del sole.

“È dalla prima metà del Novecento che gli scienziati si occupano di buchi neri di origine stellare – spiega Michela Mapelli - ma fino agli inizi degli anni Duemila nessuno pensava che la massa di un buco nero di origine stellare potesse essere molto al di sopra delle dieci masse solari. La ragione principale è che l’evoluzione delle stelle massicce, così come la si conosceva, induceva a pensare che queste fossero destinate a perdere una enorme quantità della loro massa durante la loro esistenza. Che una stella potesse conservare 40 masse solari al termine della fase di bruciamento nucleare non era considerato possibile dalla comunità scientifica internazionale”. Negli ultimi anni del Novecento scienziati come Rolf Kudritzki e Jorick Vink hanno rivisto la teoria dei venti stellari, studiando il legame con la metallicità della stella. Ma serve tempo perché i cambiamenti dimostrino la loro solidità e vengano recepiti universalmente. “Noi e alcuni colleghi polacchi coordinati da Chris Belczynski – argomenta Mapelli – siamo stati i primi a fare nostre le nuove teorie per l’evoluzione delle stelle massicce e dei venti e ad applicarle ai modelli di formazione dei buchi neri. Tuttavia buona parte della comunità scientifica internazionale è sempre stata molto scettica riguardo ai nostri articoli sull’esistenza dei buchi neri stellari massicci”. E ciò perché si trattava di una “novità” piuttosto radicale, perché sussistono ancora delle incertezze nei modelli che il gruppo ha adottato e perché, non da ultimo, non c’era alcuna evidenza che potessero esistere buchi neri più massicci di quelli già osservati fino a quel momento. 

“Quando invece la collaborazione LIGO-Virgo si è trovata a dover interpretare quanto osservato, – racconta Mapelli – e cioè la fusione di due buchi neri di massa maggiore di 25 masse solari, ha cercato in letteratura i modelli più aggiornati e utili allo scopo. E il lavoro che abbiamo appena pubblicato (The mass spectrum of compact remnants from the PARSEC stellar evolution tracks), coordinato da Mario Spera, post-doc all’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova, è risultato il modello più aggiornato e completo”. Tanto da essere ripreso nell’articolo della collaborazione LIGO-Virgo sulle implicazioni astrofisiche della scoperta.

Dopo sette anni di lavoro sui buchi neri massicci, Michela Mapelli e i suoi colleghi stavano quasi per cambiare direzione. Ora invece la collaborazione LIGO-Virgo ha individuato due “candidati” che probabilmente daranno lavoro ancora per molto tempo al team padovano.  

Monica Panetto 

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