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In Salute. Resistenza antimicrobica: più incentivi per nuovi farmaci

Nel 2019 l’Organizzazione mondiale della Sanità colloca la resistenza antimicrobica – cioè la capacità di batteri, virus, funghi, parassiti di resistere agli agenti antimicrobici – tra le dieci minacce per la salute pubblica a livello mondiale (insieme all’esitazione vaccinale e ai cambiamenti climatici). Negli ultimi decenni sono stati sviluppati e immessi sul mercato solo pochi nuovi antibiotici e quasi nessuno presenta caratteristiche innovative, come un nuovo meccanismo d’azione o una nuova classe chimica. Sono quindi vulnerabili alla rapida comparsa di resistenze crociate con gli antibiotici esistenti. Nel 2022, l’Oms definisce questi farmaci e quelli in fase di sviluppo clinico insufficienti per affrontare l’emergenza: la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici rappresenta dunque un nodo cruciale, ma ostacoli di tipo scientifico, economico e normativo continuano a limitare i risultati.

Il mercato, innanzitutto, è poco redditizio per le aziende. Molte grandi compagnie farmaceutiche hanno rinunciato a investire in ricerca e sviluppo di nuovi antibiotici, perché i margini di guadagno sono inferiori rispetto a settori diversi: secondo una stima del 2017, il costo dello sviluppo di un antibiotico è di circa 1,5 miliardi di dollari, ma il ricavo medio che deriva dalla vendita di un medicinale di questo tipo è di circa 46 milioni di dollari all'anno.  Le aziende dunque sono disposte ad assumersi i rischi per lo sviluppo di terapie contro il cancro, considerando che i profitti sono enormi, ma non per la produzione di antibiotici destinati a rimanere scarsamente utilizzati almeno fino all’insorgere di un’emergenza (basti pensare che vengono impiegati per cicli di pochi giorni). 

A ciò si aggiunga l'elevato rischio di insuccesso dei progetti di ricerca e dei trial clinici. “L’investimento iniziale – sottolinea Giuseppe Cirino, presidente della Società italiana di farmacologia e professore di farmacologia all’università degli studi di Napoli “Federico II” – serve a coprire i costi della fase preclinica durante la quale si lavora per individuare un meccanismo di azione molecolare innovativo rispetto agli antibiotici esistenti. Qualora si raggiunga l’obiettivo, la sostanza individuata deve essere sottoposta a prove di tossicità e patogenicità in vitro e in vivo e solo successivamente può iniziare la sperimentazione clinica del principio attivo sull’essere umano. Ognuno di questi processi ha un costo e può fallire (la fase clinica è la più esosa): per la casa farmaceutica ciò significa perdere i fondi investiti”. Molti medicinali in fase di sviluppo non vengono mai commercializzati: è stato calcolato che meno del 3% degli antibiotici passa dalla fase preclinica all'approvazione di mercato e questo può richiedere fino a 15 anni. 


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“Quando si sviluppa un farmaco – spiega il docente –  vengono valutati sia gli investimenti necessari che le possibilità di vendita. Nel nostro Paese, quando un nuovo antibiotico viene registrato dall’agenzia regolatoria e messo in commercio, solitamente è collocato in classe H, è erogato cioè dalle farmacie ospedaliere o strutture assimilabili e utilizzato nei pazienti solo in caso di infezioni complesse: rappresenta dunque l’ultima linea terapeutica, quando i trattamenti esistenti non sortiscono effetto alcuno. Sviluppare un nuovo antibiotico ha un costo che, nei dieci anni di validità del brevetto (in cui l’azienda ha esclusività di produzione e vendita), non viene recuperato, perché il prodotto non ha un impiego su vasta scala: è questo uno dei motivi per cui le aziende farmaceutiche considerano poco proficuo investire nella realizzazione di nuovi antimicrobici”. Al termine del periodo “protetto” infatti il farmaco può essere realizzato anche da altre aziende a prezzi più accessibili e competitivi. 

Oggi sono le piccole e medie imprese a guidare la ricerca nel settore: un’indagine condotta nel 2021 rivela che il 75% (41/55) dei progetti attivi in fase avanzata (fase 2 o successiva) di sviluppo di antibiotici erano condotti da PMI. Queste aziende tuttavia, avendo risorse limitate, incontrano non poche difficoltà a garantire i fondi per gli studi preclinici e clinici e rischiano perdite economiche significative quando lanciano sul mercato nuovi antibiotici. 

“Oltre che dalle aziende farmaceutiche, i finanziamenti per lo sviluppo di nuovi farmaci antimicrobici possono provenire anche dal mondo accademico e dalle fondazioni come Airc-Associazione italiana per la ricerca sul cancro, o Aism - Associazione italiana sclerosi multipla, per citare due esempi.  In Italia esistono finanziamenti ministeriali per progetti di rilevante interesse nazionale, i cosiddetti Prin, e ora ci sono anche i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma ognuna di queste assegnazioni è volta a sostenere studi che hanno obiettivi scientifici ben precisi come lo studio dell’RNA messaggero o di nuovi trattamenti contro il cancro). Non mi risulta che il governo abbia mai distribuito finanziamenti mirati per lo sviluppo di nuovi antimicrobici. Anche per questo la ricerca nel settore è scarsa”. A livello europeo esistono programmi come Horizon Europe 2021-2027, il programma quadro di finanziamento per la ricerca e l’innovazione, che stanzia risorse anche per condurre studi nel settore della resistenza antimicrobica e EU4Health che pure prevede investimenti in questo campo.

Cirino sottolinea la necessità anche di interventi di altro tipo e porta l’esempio dei trattamenti per le malattie rare. Tra il 2000 e il 2021 l'Agenzia Europea per i Medicinali ha approvato oltre 200 nuovi farmaci orfani, che rispondono alle necessità di 6,3 milioni di pazienti. Per molti anni le aziende farmaceutiche sono state poco attratte da questo settore, per la bassa prevalenza di questo tipo di patologie. L’inversione di marcia avviene nel 2000 quando la Commissione Europea, sulla linea dell’Orphan Drug Act emanato nel 1983 negli USA,  approva una normativa che introduce una serie di incentivi proprio per favorire lo sviluppo di farmaci per la cura delle malattie rare (Regolamento n. 847/2000 del 27 aprile 2000 e Regolamento n. 141/2000 del 1999). Tra questi, per esempio, l’esclusiva di mercato per dieci anni, l’assistenza nell’elaborazione dei protocolli, la procedura gratuita di scientific advice, cioè la consulenza sugli studi necessari per dimostrare la qualità, la sicurezza e l'efficacia del medicinale. “Questa legge ha accelerato tutti i passaggi amministrativi, registrativi e regolatori necessari per immettere sul mercato un nuovo prodotto. Vantaggi dello stesso tipo dovrebbero essere previsti anche per spingere le aziende a produrre nuovi antibiotici”. Secondo il docente, attrarre l’interesse delle case farmaceutiche in questo settore significa aumentare il denaro disponibile per fare ricerca di base. “Serve un impegno anche da parte della politica e delle istituzioni”. 

Un documento pubblicato pochi mesi fa dall’European Observatory on Health Systems and Policies illustra possibili incentivi e agevolazioni di tipo Push e di tipo Pull. I primi hanno lo scopo di sostenere le fasi di ricerca e sviluppo di nuovi antibiotici riducendo i costi per i produttori: esistono molte opzioni in questo senso che prevedono l’impiego di risorse pubbliche o private, come i finanziamenti diretti, gli incentivi fiscali, le sovvenzioni per il personale scientifico, i crediti d’imposta rimborsabili, le consulenze per lo sviluppo del prodotto. Gli incentivi di tipo Pull, invece, puntano a rendere il mercato più appetibile, garantendo un giusto guadagno sugli investimenti. Ne sono esempio, l’estensione dell’esclusività di mercato, contratti d’acquisto anticipato, premi per l’ingresso nel mercato, acquisto del brevetto.  Incentivi di tipo pull sono stati introdotti negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Regno Unito e Svezia. In quest’ultimo Paese per esempio è assicurato un ricavo minimo annuale per una quantità stabilita di antibiotici: la differenza tra quelli non acquistati dalle Regioni e quelli totali è coperta dallo Stato. 


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Nell’ultimo decennio agenzie governative, organizzazioni non governative e produttori di farmaci hanno dato corso a numerosi programmi nazionali e internazionali per finanziare lo sviluppo di nuovi antibiotici (a seconda dei casi con interventi di tipo Push o Pull): si ricordano, per citarne alcuni, la Global Antibiotic Research and Development Partnership (Gardp) che ha stanziato 270 milioni di euro tra il 2017 e il 2023 e di cui abbiamo parlato in un precedente articolo; il Combating Antibiotic Resistant Bacteria Biopharmaceutical Accelerator (Carb-X), un consorzio internazionale di governi e fondazioni lanciato nel 2016 per accelerare lo sviluppo di farmaci contro la resistenza antimicrobica, che tra il 2016 e il 2021 ha finanziato 92 progetti (a fronte di 1.163 richieste da 39 Paesi) con circa 500 milioni di dollari complessivi. Ancora, The Joint Programming Initiative on Antimicrobial Resistance (Jpiamr), lanciata nel 2011 con un approccio One Health, rappresenta una piattaforma cui aderiscono 29 Paesi nel mondo: la Commissione Europea per il 2012-2024 ha stanziato 234 milioni di euro per un centinaio di progetti di ricerca presentati soprattutto da università e centri di ricerca. 

Tra le iniziative riservate agli Stati Membri dell’Unione Europea, vi sono i programmi della Innovative Medicines Initiative (Imi), il partenariato pubblico-privato tra Commissione Europea e industria farmaceutica europea, e tra questi il New Drugs for Bad Bugs (ND4BB) che ha stanziato circa 700 milioni di Euro per lo sviluppo di nuovi antibiotici e si è concluso nel 2021. Val la pena citare infine l’Amr Accelerator che ha lo scopo di sviluppare nuovi farmaci per trattare o prevenire le infezioni batteriche resistenti con un budget di 489 milioni di Euro, e Incubator for Antibacterial Therapies in Europe (Incate), un’organizzazione senza scopo di lucro fondata tre anni fa da una partnership di università e istituti di ricerca e aziende farmaceutiche. 

Se dunque la sorveglianza, la prevenzione e il corretto uso degli antimicrobici esistenti sono misure fondamentali, è altrettanto necessario identificare nuove molecole e produrre farmaci innovativi per trattare le infezioni da microrganismi resistenti, e ciò come si è visto anche attraverso una serie di incentivi e agevolazioni che rendano il comparto degli antibiotici più attrattivo.


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