SCIENZA E RICERCA

Africa, scoperti i più antichi calcoli umani

Secondo l’opinione prevalente, l’origine di molte malattie che affliggono l’uomo è collegata all’avvento dell’economia di produzione, ovvero al momento in cui più stretti si sono fatti i rapporti tra uomo e animale, spesso vettore di infezioni batteriche e piaghe di vasta portata. Studi recenti stanno dimostrando però che alcuni agenti patogeni sono molto più antichi, datando almeno a 65.000 anni fa, e gli studiosi indagano sulla possibilità che possano aver influenzato il processo evolutivo dell’uomo. Il laboratorio privilegiato per queste ricerche è l’Africa, culla dell’umanità, ed è dal Sudan centrale che arriva la scoperta dei più antichi calcoli della prostata a tutt’oggi documentati. Il luogo della scoperta è il cimitero preistorico di Al Khiday, localizzato a circa 20 km a sud di Omdurman, lungo la sponda sinistra del Nilo Bianco.

L’area cimiteriale, investigata per circa 1.500 m2, da una missione archeologica italiana diretta da Donatella Usai e Sandro Salvatori, del Centro Studi Sudanesi e Sub-Sahariani di Treviso, supportata da diverse istituzioni tra cui l’università di Padova, di Parma, di Milano, e con il contributo del ministero degli Affari esteri, ha restituito, al momento, 200 sepolture pertinenti a quattro diversi gruppi cronologici: pre-Mesolitico, Mesolitico, Neolitico e Meroitico. La peculiarità della necropoli è data dalle sepolture di epoca pre-Mesolitica che mostrano un rituale piuttosto inusuale, essendo la maggior parte degli inumati sepolti in posizione allungata ma proni, rituale non riscontrato in altre parti del mondo se non in casi singoli. Il termine pre-Mesolitico è stato adottato a seguito delle indicazioni stratigrafiche che individuano queste sepolture come precedenti ad un abitato datato circa 9.000 anni fa che insiste nella stessa area, non potendo essere datate con il metodo classico del radiocarbonio perché fortemente diagenizzate. È in una di queste sepolture che sono stati rinvenuti, tra le ossa della pelvis, i tre oggetti che le analisi, condotte da Lara Maritan, Gilberto Artioli e Gregorio dal Sasso, dell’università di Padova, hanno rivelato essere tre calcoli della prostata. I tre calcoli, due dei quali di dimensioni rilevanti (3 centimetri di diametro e circa 12-15 grammi di peso), uno più piccolo rotto accidentalmente in fase di scavo, sono stati analizzati al microscopio a scansione elettronica (SEM) e in diffrazione ai raggi X mostrando una struttura e composizione molto particolare, data da cristalli di apatite e whitlockite, che ne indicava inconfondibilmente l’origine prostatica escludendo altre forme di litiasi, quali i calcoli renali più comuni tra le patologie riconosciute nelle popolazioni preistoriche. Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica PlosOne.

La popolazione pre-Mesolitica di Al Khiday, a giudicare dagli studi antropologici condotti da Tina Jakob, dell’università di Durham, appare piuttosto sana, composta da individui robusti, alti e con un numero molto limitato di patologie (soprattutto lesioni delle ossa, consunzione e carie dentali) per cui il ritrovamento appare ancor più stupefacente. Nella letteratura medica relativa a questa patologia, come confermato da Tiziana Salviato anatomopatologa dell’università di Trieste, calcoli della prostata di queste dimensioni sono documentati raramente e per la maggior parte sono piccoli e asintomatici; sembra abbiano origine in infiammazioni batteriche e, seppure non pienamente escluso, sembra non siano direttamente relazionabili al carcinoma e all’iperplasia prostatica. Di certo si può immaginare che, all’epoca in cui il nostro “paziente” visse, gli effetti, anche devastanti, generati dall’ostruzione determinata da calcoli di siffatte dimensioni non debbono avergli reso la vita molto semplice e potrebbero averne determinato la morte avvenuta, comunque, in un’età piuttosto avanzata. La scoperta sicuramente getta luce sull’antichità di questa patologia e conferma l’importanza del cimitero di Al Khiday per gli studi sull’evoluzione delle popolazioni che hanno popolato la valle del Nilo. Come dimostrato da altri lavori pubblicati dal gruppo di Padova, in collaborazione con gli archeologi che li hanno riportati alla luce, i resti scheletrici rinvenuti in questo cimitero costituiscono un vero e proprio laboratorio per lo studio dei processi tafonomici che interessano contesti archeologici in regioni aride, influenzati da processi climatici ed erosivi.

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