UNIVERSITÀ E SCUOLA

Carlo Anti, l’appassionato archeologo rettore

Era l’8 febbraio del 1935 quando veniva stampato il primo numero del giornale Il Bò, che sarebbe stato destinato ad accompagnare la successiva storia dell’ateneo patavino: a volerne fortemente l’istituzione fu l’allora rettore Carlo Anti (1889-1961), personaggio complesso e affascinante, talora anche discusso, cui di recente è stato dedicato un convegno promosso dall'Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti.

E proprio dagli studi più recenti emerge un ritratto di Anti come figura poliedrica di uomo di cultura, attento studioso dell’arte di tutti i tempi, archeologo e professore appassionante e appassionato, uomo di profonda fede politica e di indubbia intelligenza.

Veronese di nascita, archeologo di formazione, laureato a Bologna sotto la guida di Gherardo Ghirardini. Carlo Anti trascorse la maggior parte della sua vita scientifica e accademica all'università di Padova, dove a partire dal 1922 fu professore di Archeologia e storia dell’arte greca e romana. E la prima chiave per leggere Anti è proprio quella del professore: la didattica fu infatti sempre al centro dei suoi interessi, tanto che non venne meno ai suoi doveri di docenza neppure negli impegnativi anni che lo videro alla guida della facoltà di Lettere prima e dell’intero ateneo successivamente. Carlo Anti interpretava il suo ruolo di professore come un rapporto diretto e continuo con gli studenti, sovente coinvolti in discussioni teoriche durante le lezioni, ma anche da lui stesso affiancati nelle esercitazioni e accompagnati nelle visite ai Musei o nei viaggi di studio, nella ferma convinzione che nulla potesse sostituire la visione autoptica e il contatto diretto con i monumenti. In questa prospettiva va interpretata la costruzione della nuova sede museale che egli volle a Palazzo Liviano, come esposizione didattica permanente per formare le nuove generazioni di studiosi del passato: in essa furono collocate non solo riproduzioni in gesso di grandi opere scultoree dell’arte greca e romana, ma anche collezioni delle più diverse tipologie di materiali, su cui gli studenti potessero crearsi delle competenze precise per affrontare con nuovi criteri scientifici la ricerca archeologica.

Gli argomenti trattati da Anti come docente e come ricercatore spaziavano in un ampio spettro di ambiti disciplinari: oltre all’arte classica intesa come arte greca e romana, architettura, scultura, ceramica e pittura, egli si occupò di topografia, arte italica, arte post antica, storiografia archeologica, nonché dell’approfondimento degli aspetti metodologici della pratica archeologica, comprendendo anche le problematiche legate alla conservazione e al restauro.

Tutte queste vocazioni trovarono applicazione pratica nella ricerca sul campo condotta da Carlo Anti, in particolare in nord Africa, a Cirene in Libia e a Tebtynis in Egitto: superando la tradizionale visione dello scavo come “sterro” volto a riportare in luce i capolavori del passato, Anti promosse qui un approccio di tipo stratigrafico, corredato da una ricchissima documentazione scritta e grafica, e dal sistematico impiego della fotografia per documentare le diverse fasi delle attività, restituendo i precisi contesti di provenienza ai materiali.

Ma nel corso della sua attività all’università, Carlo Anti rivestì anche i ruoli di preside della facoltà di Lettere e Filosofia e di rettore tra il 1932 e il 1943. A lui si deve la grande impresa che va sotto il nome di IV Consorzio edilizio, che proprio negli anni del suo rettorato, grazie a un generoso finanziamento del ministero dei Lavori pubblici pose le basi per l’università che oggi conosciamo, facendo erigere o ristrutturare molte delle sedi nelle quali ancor oggi crescono e fanno ricerca generazioni di studiosi.  E se gli istituti scientifici (ad esempio le nuove sedi delle facoltà di Fisica e Chimica farmaceutica, o il nuovo Osservatorio astronomico ad Asiago) si connotavano a quel tempo per essere assolutamente all’avanguardia per dotazioni di laboratori e strumentazione, a Palazzo Bo, sede storica dell’ateneo, e a Palazzo Liviano, nuova sede della facoltà di Lettere e Filosofia, alle esigenze edilizie di rinnovamento e di nuova edificazione si coniugò un complesso programma decorativo, ideato di concerto con l’architetto Gio Ponti (già progettista del Liviano) e realizzato con il coinvolgimento di tanti tra gli artisti più e meno noti dell’epoca. Un importante complesso figurativo, costituito da affreschi, pitture su tavola, mosaici, sculture ecc., che se da un lato rispondeva appieno a esigenze propagandistiche e di ricerca del consenso tipiche dell’epoca, dall’altro era di fatto una grande celebrazione della storia della Patavina Libertas: a essere rappresentati erano e sono le vette più alte raggiunte dal sapere dell’Accademia e dei suoi allievi più celebri, nonché i simboli e le allegorie delle discipline di insegnamento, senza che, di contro, vi abbia trovato spazio una dichiarata celebrazione dei fasti del regime.

E in questa apparente antinomia tra la figura del militante devoto che traspare nei toni di maniera dei suoi discorsi pubblici, e la celebrazione della tradizione di libertà di pensiero dell’ateneo secolare, è la chiave per leggere la figura di Carlo Anti rettore. In questa prospettiva trovano motivazione tante delle scelte da lui operate, sia nel corso della sua attività di rettore, come ben testimoniano la chiamata e la strenua difesa di docenti dichiaratamente antifascisti nella sua stessa Facoltà di Lettere, sia successivamente alla caduta del regime, quando Anti si presterà a ricoprire la carica di direttore generale delle Belle Arti, per cercare di salvaguardare, per quanto possibile, le opere d’arte del nostro Paese dalle spoliazioni naziste.

Francesca Ghedini

Paola Zanovello

Isabella Colpo 

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