SCIENZA E RICERCA

Individuati grazie al Dna i resti di Morgagni

Nel 1868 Alessandro Mazzoni, sindaco di Forlì, scrive una lettera ad Andrea Meneghini, sindaco di Padova, con cui chiede la restituzione dei resti di Giovanni Battista Morgagni alla città natale. La richiesta rimane tuttavia disattesa in quanto né quell’anno, né nel 1900 quando la tomba viene riaperta per la seconda volta è possibile stabilire con certezza quali siano i suoi resti tra quelli sepolti nella chiesa di san Massimo. La risposta si avrà solo un secolo dopo. Recentemente infatti alcuni studiosi dell’università di Padova oltre ad aver individuato i resti di Morgagni, hanno ritrovato anche quelli appartenenti a tre dei suoi figli. Lo studio, coordinato da Gaetano Thiene e fortemente voluto da Girolamo Zampieri ex direttore dei musei civici di Padova, è stato pubblicato su Virchows Archiv

Ma andiamo con ordine. Morgagni è uno di quei nomi che si ricordano nella storia della scienza, come Freud nella psicanalisi, Einstein nella fisica o Darwin nella biologia. Lui, e i medici lo sanno bene, ha posto le basi della  moderna anatomia patologica. Dopo la laurea a Bologna nel 1701, viene chiamato all’università di Padova nel 1711 come docente di medicina teorica prima e anatomia poi. Morgagni insegna a Padova da quasi 50 anni quando, alla morte della moglie nel 1770, decide di comprare una tomba all’interno della chiesa di san Massimo non lontana dalla casa in cui vive, per sé, per la sua famiglia, ma anche per quei professori dell’università di Padova che hanno bisogno di una sepoltura. 

“Quando la tomba viene aperta per la prima volta nel 1868 – spiega Alberto Zanatta del gruppo di ricerca – si trovano ben 11 crani e altri resti ossei. In quell’occasione, tenendo conto che Morgagni muore all’età di 89 anni, si individua il cranio che si ritiene essere il più vecchio e lo si ripone all’interno di un vaso di terracotta”. 

Nel 1900 si fa un secondo tentativo. L’indagine è condotta da Achille De Giovanni, rettore dell’università di Padova, dal patologo Augusto Bonome e dall’anatomista Dante Bertelli. Tra i crani descritti nel 1868, se ne individua un secondo, più completo del primo, come appartenente a un uomo molto anziano e lo si ripone con il primo nella giara. A quel punto sono due i reperti ossei che possono contendersi l’identità dell’anatomista forlivese. A ciò si aggiunga che, nel corso dell’indagine di quell’anno, si scopre un passaggio all’interno della tomba che conduce a una sepoltura più antica con altri 20 crani. 

Di certezze, dunque, fino a oggi non ne esistevano molte. Nel 2011 si prova di nuovo. Esattamente 250 anni dopo la pubblicazione dell’opera più importante, Delle sedi e delle cause delle malattie anatomicamente investigate (De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis). Nel corso di questa terza ricognizione i ricercatori trovano innanzitutto solo 14 dei 20 crani della sepoltura più antica. “Probabilmente – spiegano – gli altri si sono deteriorati, se si considera che nell’ultimo secolo la chiesa e la tomba furono soggette a inondazioni più volte”. Come ci si aspetta, all’interno del vaso in terracotta sono conservati i due crani attribuiti agli individui più anziani, alcuni denti e vertebre. Degli altri nove crani, se ne individuano solo otto. La scoperta più interessante, tuttavia, è il ritrovamento di alcuni reperti cranici che non erano stati rilevati negli studi precedenti. “Di questi resti – sottolinea Fabio Zampieri che ha partecipato alle indagini – alcuni sembravano appartenere a individui molto giovani che, secondo le fonti storiche, avrebbero potuto essere i figli di Morgagni morti prematuramente”. Dei 15 figli di Morgagni, infatti, quattro bambine morirono a pochi giorni dalla nascita e un maschio a due anni, tutti sepolti in una fossa comune nella chiesa di san Massimo.

Si procede con un’analisi antropologica sui resti che consente innanzitutto di determinare quale dei crani appartenga a Morgagni. Gli studi conducono a quello dei due meglio conservato all’interno del vaso di terracotta, di cui lo scultore Cremesini produce due calchi. L’altro, spiegano i ricercatori, non può essere considerato anziano, cioè di un individuo con più di 61 anni. Stabilito questo, si procede con l’analisi del Dna per verificare un eventuale grado di parentela tra il cranio dell’anatomista forlivese e i resti ossei attribuiti ai bambini. L’esame conferma che il cranio in questione appartiene a un uomo che è il padre degli altri tre individui. E dei bambini è possibile anche stabilire l’età, compresa tra la nascita e i primi anni di vita. Uno dei tre, di circa due anni. 

Il cerchio dunque si chiude e grazie a uno studio che ha visto incrociarsi ricerca d’archivio, antropologia e genetica si è aggiunto un tassello importante nella storia della medicina. Il prossimo passo, ora, potrebbe essere la ricostruzione del volto.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012