UNIVERSITÀ E SCUOLA

Rivalità ed efficienza: la scuola Usa ridisegnata dai magnati di Internet

Che i multimiliardari americani finanzino, sempre più spesso e sempre più generosamente, le campagne elettorali di democratici e repubblicani al fine di garantirsi una certa influenza sulle vicende politiche del paese è cosa ben nota. Meno risaputo è che i più impazienti, quelli che non hanno né voglia né tempo di aspettare lo spoglio delle schede, fanno comunque sentire la propria voce in maniera efficace su questioni dall’immigrazione al cambiamento climatico, a suon di milioni di dollari donati direttamente a iniziative di loro gradimento.

Il più famoso tra i sostenitori di questo secondo approccio è Bill Gates, fondatore di Microsoft, la cui Bill & Melissa Gates Foundation vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari. Ogni anno, questa fondazione elargisce 3,4 miliardi di dollari in giro per il mondo, soprattutto a organizzazioni che si occupano di salute pubblica. 400 milioni di dollari sono spesi invece negli Stati Uniti, in particolare a favore di progetti che mirano a riformare il sistema educativo americano. Più di recente, anche il giovane creatore di Facebook Mark Zuckerberg ha deciso di intraprendere questa stessa strada. Nel 2010, Zuckerberg ha donato 100 milioni di dollari alle scuole pubbliche in crisi di Newark, nel New Jersey. Tra il 2012 e il 2013 ha poi trasferito azioni di Facebook (in due tranche valutate in 500 milioni e un miliardo di dollari rispettivamente) a una non profit della Silicon Valley da lui incaricata di dirottarli su vari programmi locali per la salute e l’istruzione. “Gates e Zuckerberg sono consapevoli che il sistema educativo è fondamentale per gli Stati Uniti e per il mondo – dice David Bergeron, vicepresidente per l’istruzione post-secondaria presso il Center for American Progress di Washington – Solo con un’educazione di qualità la gente può sviluppare appieno il proprio potenziale”.

Non c’è dubbio che le scuole pubbliche degli Stati Uniti, in particolare gli istituti superiori, versino oggi in condizioni di salute precarie. Nell’ultimo round del Program of International Student Assessment (Pisa) – un esame di matematica, lettura e scienze sostenuto ogni tre anni dai quindicenni di oltre una sessantina di paesi nel mondo – i ragazzi americani hanno ottenuto risultati mediocri, mostrando quasi nessun progresso nell’ultimo decennio e posizionandosi intorno alla media dei paesi sviluppati, nonostante solo Lussemburgo, Norvegia e Svizzera spendano di più per alunno.

A fronte di questi risultati il nocciolo delle proposte del  movimento per la riforma della scuola americano, che esiste ormai da decenni e ha assunto molte forme nel tempo, è rimasto sostanzialmente invariato: maggiore apertura alla collaborazione tra pubblico e privato.

Un obiettivo da realizzare, ad esempio, attraverso l’istituzione di charter school, finanziate con fondi pubblici ma gestite privatamente; con la valutazione degli insegnanti sulla base della performance dei loro studenti, che ne determinerebbe anche lo stipendio; con l’adozione del Common Core, un curriculum standard pensato per preparare all’università tutti gli studenti di scuola superiore, che intendano o meno proseguire gli studi anche dopo il diploma.

Oggi, i principali alfieri di questa controversa agenda politica e legislativa sono il Presidente Obama e il suo segretario all’Istruzione Arne Duncan, seguiti a ruota proprio da Bill Gates e Mark Zuckerberg, e dalle loro finanze. I 100 milioni di dollari donati da Zuckerberg alle scuole di Newark, ad esempio, sono andati in gran parte a finanziare un fondo per premiare gli insegnanti i cui studenti ottengono i risultati migliori nei test standardizzati. E la Gates Foundation ha speso già oltre 170 milioni per incoraggiare gli stati ad adottare il Common Core. Dall’altra parte della barricata stanno invece – oltre a alcuni gruppi conservatori preoccupati che il governo federale voglia privare gli stati del diritto di decidere come preferiscono su tutte le questioni riguardanti l’istruzione – una parte del Partito Democratico e i sindacati degli insegnanti, che nell’ottica dei fautori di queste riforme sono visti come uno dei più grossi ostacoli al cambiamento. “I rappresentanti dello status quo hanno troppa influenza e controllo sul dibattito sull’istruzione – sostiene Bergeron – Solo con dei riformisti che spingono dal di fuori possiamo sperare che innovazioni cruciali siano adottate rapidamente”.

Tra gli scettici c’è invece Elaine Weiss dell’Economic Policy Institute di Washington: “Sono d’accordo che sia importante scuotere l’establishment e fare sperimentazione, ma non penso che essere ricco sia sufficiente a conferire a nessuno questo genere di autorità” Bisogna poi considerare che “la completa mancanza di comprensione su come funzionano le scuole pubbliche e l’insegnamento mostrata da persone come Gates e Zuckerberg, che tra l’altro non mi risulta abbiano frequentato scuole pubbliche da ragazzi, sta creando grossi problemi”, conclude la Weiss. Il modello da loro celebrato, tutto costruito su maggiore competizione tra insegnanti e tra istituti, è infatti in aperto contrasto con la natura generalmente collaborativa delle scuole pubbliche di maggior successo, negli Stati Uniti e all’estero. La promozione delle charter school come possibile soluzione a tutti i mali che affliggono il sistema educativo americano non trova riscontro nei fatti, giacché sempre più studi dimostrano che scuole di questo tipo generano esiti contraddittori e non necessariamente migliori di quelli degli istituti pubblici più tradizionali.

Valentina Pasquali

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