SCIENZA E RICERCA

Bambini, dunque scienziati / 2

I bambini imparano in vari modi, ma fin da piccoli pensano (e agiscono) come uno scienziato. Ed esisterebbe, forse, una grammatica universale dell’apprendimento umano. Ecco come funziona.

Secondo Alison Gopnik i bambini apprendono in tre modi: con un ragionamento di tipo probabilistico, con esperimenti e dagli altri. Esattamente come fanno gli scienziati.

1. Il ragionamento di tipo probabilistico, perfettamente razionale, è quello più usato dai bambini. Il piccolo verifica che quando fa buio in genere il papà torna a casa. E che la sua figura si staglia sulla porta due o tre minuti dopo aver sentito un auto spegnere il motore in giardino. Allora il bambino elabora la sua teoria: “il papà arriva a sera ed entra dopo aver parcheggiato l’auto”. Ed effettua la sua predizione: se è vera la mia teoria questa sera quando farà buio e sentirò un’auto parcheggiare vedrò il mio papà.

Non sempre, tuttavia, il papà torna a casa al tramonto. E non sempre torna a casa in auto. Non per questo il bambino si scompone. Devono esistere, pensa, delle “variabili nascoste” – diverse dal tramonto e dal rumore dell’auto che parcheggia in giardino – per cui la mia teoria mi fornisce non la certezza, ma uno scenario di probabilità. Se fa buio è probabile che papà sia a casa. Se fa buio e sento spegnere il motore di un auto in giardino è molto probabile che il papà apra la porta di casa. Se è giorno pieno e nel giardino c’è silenzio è molto improbabile che arrivi papà. Così il bambino costruisce la sue teorie. E i modelli matematici – in particolare quelli bayesani, lo diciamo a beneficio degli esperti – mostrano che questo è anche uno dei modi di ragionare degli scienziati.

2. La scienza, diceva Galileo, è il combinato disposto di “certe dimostrazioni”, le teorie, e di “sensate esperienze”: ovvero di dimostrazione empiriche in un ambiente controllato. Insomma, per fare scienza occorrono gli esperimenti. E il bambino, soprattutto con il gioco, non fa altro che sperimentare. Certo, gli scienziati realizzano esperimenti in maniera ordinata e sistematica. Ma, rileva Alison Gopnik, ci sono prove empiriche sufficienti a dimostrare che spesso il gioco dei bambini è sufficientemente sistematico da poterlo considerare un vero e proprio esperimento controllato. Un esempio: il bambino ha una macchinina che non si muove più da sola. Vede la mamma che cambia le ruote, da rosse a gialle, e le batterie, dopodiché la macchina ricomincia a correre da sola. Lui vuole capire cosa ha restituito il dono di correre al suo giocattolo: le ruote gialle o la batteria. Così smonta la macchina e poi prova prima solo con le ruote gialle e poi solo con le batterie nuove. Si accorge così che è la batteria e non il colore delle ruote ad aver restituito autonoma mobilità al suo giocattolo. Questo è un vero e proprio esperimento controllato. Ma le ricerche empiriche dimostrano che di esperimenti simili il bambino, giocando, ne fa in continuazione. Affinando la sua conoscenza sul mondo.

3. Gli scienziati hanno creato un complesso sistema di comunicazione che consente a ciascuno di loro di apprendere da tutti gli altri. Di questo complesso sistema fanno parte le comunicazioni formali (gli articoli pubblicati su riviste specializzate, i libri, i congressi, i seminari) e quelle informali (la contiguità in laboratorio, le lettere e ora le e-mail, le chiacchiere al bar). Anche i bambini hanno un complesso sistema per apprendere dagli altri. Ci sono elementi imitativi (vedo fare una cosa e la ripeto) che hanno il loro fondamento nell’esistenza del nostro cervello dei neuroni specchio (si attivano sia quando una persona compie un’azione, sia quando la vede compiere). E ci sono elementi dichiarativi: la mamma, il papà, gli amichetti gli dicono come si fa.

In conclusione: aveva torto Jean Piaget, il pioniere degli studi sullo sviluppo cognitivo, quando sosteneva che in età prescolare i bambini hanno un pensiero opposto a quello scientifico: irrazionale, illogico, pre-causale, centrato solo sul “qui e ora”. Al contrario il pensiero dei cuccioli d’uomo è analogo se non addirittura omologo a quello dei più rigorosi ricercatori.

Si tratti di verificare come si comportano gli amici o come funziona una macchinina, con il ragionamento probabilistico, l’esperimento e l’apprendimento dagli altri i bambini pensano (e agiscono) come uno scienziato.

Questa nuova visione sul modo di apprendere dei bambini più piccoli, sostiene ancora Alison Gopnik, ha almeno due implicazioni. Una riguarda la teoria della mente. L’altra riguarda la prassi dell’insegnamento.

Sul piano teorico le nuove conoscenze sul modo di apprendere dei bambini rafforzano l’ipotesi “innatista”: secondo i cuccioli d’uomo nascono con la capacità di pensare in termini probabilistici, di fare esperimenti, di apprendere dagli altri. Esisterebbe, dunque, una grammatica universale dell’apprendimento umano. E questa grammatica è la medesima utilizzata dagli scienziati. Inutile ribadire che queste affermazioni non sono affatto scontate, meritano riconferme e, certo, animeranno il dibattito.

Tuttavia è sul piano delle prassi educative che occorrerà misurarsi con le nuove conoscenze sul modo di pensare dei bambini. Dobbiamo evitare assolutamente, sostiene la studiosa di Berkeley, di imporre ai bambini in età prescolare sistemi rigidi e uniformi di educazione, continuando a credere che, altrimenti, matureranno un pensiero irrazionale. Al contrario, lasciamo che il “piccolo scienziato” che è in ciascuno di loro abbia modo di esprimersi. Avremo così ragazzi più creativi. E più dotati di un maggiore senso critico. (2-fine)

Pietro Greco

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