SOCIETÀ

Conti tedeschi che non tornano

Quella odierna, oltre che dell’informazione, è anche la società dei numeri: cosa c’è di meglio di qualche dato statistico – soprattutto  se proveniente da un’istituzione ritenuta credibile – per avvalorare la propria tesi in modo da renderla apparentemente neutra, “scientifica”? Il problema si pone quando i numeri vengono usati come i lampioni dagli ubriachi: per sostenersi, più che per vedere meglio. Con risultati però non sempre desiderati.

È quello che sembra essere successo con un articolo apparso sul Corriere della Sera dello scorso 16 luglio, che prende in considerazione le amministrazioni pubbliche di alcuni paesi europei. Scrive la giornalista: «La Germania infatti fa molto di più di noi, con meno spesa. Ha 82 milioni e mezzo di abitanti e 9,2 milioni di dipendenti pubblici, quindi rispetto alla popolazione molti di più che non l’Italia, ma il rapporto tra dipendenti pubblici e forza lavoro è al 10,4%, e soprattutto la spesa in rapporto al Pil sta sotto il 7%, mentre noi impieghiamo l’11%».  A corredare l’articolo segue un’interessante infografica.

Già a un primo sguardo i numeri appaiono sospetti: se la matematica non è un'opinione, vien fuori infatti che la Germania avrebbe una forza lavoro di 88 milioni e mezzo di persone, cioè 6 milioni più dei residenti (compresi bambini e pensionati).

Qualcosa non torna. Per sciogliere il mistero, non resta  che andare alla fonte: ossia allo studio citato dall’articolo, pubblicato nel dicembre dello scorso anno dall’Osservatorio sul Cambiamento delle Amministrazioni Pubbliche – OACP per Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi. Il documento, che si chiama Sistemi di pubblico impiego a confronto: casi di studio internazionali, è curato da Giovanni Valotti, Giovanni Tria, Marta Barbieri, Nicola Bellé e Paola Cantarelli e descrive le politiche del pubblico impiego in un campione di stati rappresentativo delle tradizioni amministrative occidentali e nella Commissione Europea, tentando di identificare i trend comuni di riforma. In particolare, secondo gli autori, dai dati emergerebbe che negli ultimi tre decenni la maggioranza degli stati appartenenti all’Ocse ha avviato importanti riforme del pubblico impiego, con l’obiettivo di creare“a government that works better, costs less and gets results.”

Esaminando il documento fin dalla seconda riga si nota un dato sospetto. Secondo gli autori infatti “i dipendenti della pubblica amministrazione australiana sono poco meno di 165.000 e rappresentano il 13,7% della forza lavoro” (p. 5. Di seguito, la tabella relativa all'Australia).

Dunque in Australia, stando ai dati riportati, lavorerebbero solo 1.200.000 persone, che avrebbero il loro bel daffare per sostenere una popolazione di circa 19 volte superiore. In realtà i dati dell’Australian Bureau of Statistics ci dicono un’altra cosa, e cioè che nel giugno 2012 avevano un lavoro circa 11.500.000 australiani.

A pagina 41 troviamo infine la tabella relativa alla Germania, che è stata utilizzata come fonte dal Corriere.

Già qui si avvertono delle discrepanze, nel senso che quelle che il Corriere presentava come dati OCSE 2010 sembrano in realtà una miscela tra dati del 2009, rielaborati dagli autori dello studio, e dati del 2005 (la percentuale del pubblico impiego sulla forza lavoro). Un bel guazzabuglio. Il quadro che ne deriva continua comunque a destare forti dubbi. Infatti secondo i dati OCSE (qui rielaborati dall’Astrid) nel 2002  i dipendenti pubblici tedeschi erano meno di cinque milioni, e sembra difficile che ne siano stati assunti in tre anni più di quattro milioni.

Insomma i dati presentati sono chiaramente inattendibili - o quantomeno andrebbero accompagnati da una serie di caveat nella lettura -ma attraverso il quotidiano più diffuso del nostro paese possono aver avvalorato o rinforzato l’idea, nella mente di un numero imprecisato di persone, di un pubblico impiego italiano troppo inefficiente e spendaccione. I numeri, come le altre idee, una volta messi in circolo vivono di vita propria: come piccoli frankenstein sfuggono al controllo dei loro demiurghi e si mettono a fare quello che pare a loro. Spesso danni.

D.M.D.

 

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