CULTURA

Crimini di guerra tedeschi, tra responsabilità e limiti alla giustizia

Condanne giuridiche e condanna storica: i processi della memoria, le amnistie e l’ammissione di responsabilità. La seconda parte dell’intervista a Lutz Klinkhammer, esperto dei crimini di guerra tedeschi compiuti in Italia durante la seconda guerra mondiale.

Esiste una via tedesca alla giustizia per i crimini compiuti durante la guerra?

All’inizio la persecuzione dei crimini venne fatta dai vincitori. Non solo contro i criminali maggiori e chi li aveva sostenuti, ma anche con migliaia di processi gestiti autonomamente da americani, britannici, francesi e sovietici. Una prima ondata che costrinse a fare subito i conti con il passato, ma produsse anche un effetto di difesa collettiva, con dichiarazioni e testimonianze favorevoli agli imputati che tendevano ad accreditare una certa versione del passato bellico. La politica giudiziaria della Repubblica federale è invece più complessa. A partire dalla fine degli anni Cinquanta si perseguirono ampiamente i crimini di carattere antisemita, come nel grande processo di Francoforte contro gli aguzzini di Auschwitz che informò l’opinione pubblica su ciò che era successo. Diverso è invece il caso dei crimini di guerra commessi dalle Forze Armate e, attraverso lo strumento della prescrizione del reato, si arrivò per molti a un’amnistia indiretta.

Cosa intende esattamente?

Ci fu una grande battaglia sull’omicidio plurimo aggravato, che inizialmente si prescriveva dopo vent’anni, in assenza di azione giudiziaria. Più volte, attraverso nuove leggi, fu spostato in avanti il termine di prescrizione, fino alla definitiva affermazione di imprescrittibilità. Ma i giuristi, quelli formati sotto il nazismo e che negli anni Settanta avevano raggiunto le più alte cariche della magistratura, sono riusciti ad abbassare il livello di punizione attraverso un cambiamento della posizione processuale di molti imputati. Usando le leve del diritto si poteva infatti passare dall’omicidio doloso a quello colposo, oppure dalla posizione di autore del reato a quella di esecutore di un ordine, come dire un complice non colpevole. Un gioco al ribasso che, accompagnato ai ridotti termini di prescrizione per alcuni reati, produsse l’effetto di un’amnistia… che giungeva dalla porta di servizio. Si tratta di meccanismi che trovano applicazione anche in Italia, ad esempio nel processo contro i subordinati di Kappler alle Fosse Ardeatine, e che in Germania hanno di fatto bloccato la persecuzione giuridica dei crimini di guerra contro i civili nei paesi occupati. Anche se è un meccanismo giuridicamente più ‘pulito’, è l’equipollente funzionale dell’armadio della vergogna in Italia [si tratta degli armadi della procura militare di Roma dove vennero nascosti centinaia di fascicoli processuali per crimini di guerra compiuti da tedeschi e militi della Rsi, ndr].

Esisteva un consenso sociale per queste soluzioni di comodo?

In realtà anche in Germania molti non condividevano questa impostazione. Emblematico è il caso della coppia di coniugi Klarsfeld che cercò di arrivare in tutti i modi a una condanna delle SS responsabili della deportazione degli ebrei francesi, come Kurt Lischka e Herbert Hagen: pur condannati all’ergastolo in contumacia da un tribunale di guerra francese, questi ultimi vivevano in Germania e ‘beneficiarono’ degli effetti del trattato del 1955 con cui la Germania federale si impegnava a non mettere in discussione l’esito dei processi avvenuti nei tribunali dei vincitori. Da un lato non potevano così essere processati nuovamente, dall’altro non potevano neppure essere estradati [grazie alla specifica protezione che la costituzione assicura a ogni cittadino tedesco, ndr]. Solo dopo la modifica del trattato, arrivò nel 1980 la condanna di una corte tedesca.

Si trattava in ogni caso di SS e di crimini di stampo antisemita…

Infatti non si può dire la stessa cosa per i crimini attribuibili alla Wehrmacht o compiuti contro i civili. Certo non tutti sono d’accordo con le motivazioni di alcune decisioni giuridiche, come quella del procuratore di Stoccarda che porta all’archiviazione dell’inchiesta in Germania per i fatti di Sant’Anna di Stazzema [mentre in Germania si afferma l’assenza di prove documentali circa i responsabili e le dimensioni dell’eccidio, in Italia Gerhard Sommer e altri 9 ex soldati sono stati condannati all’ergastolo per gli stessi fatti, ndr]. C’è un fatto però: esiste un solo caso di soldato condannato in un tribunale tedesco per crimini contro i civili italiani. È quello di Josef Scheungraber, un falegname della periferia di Monaco, che nel 1944 aveva ordinato la strage di Falzano di Cortona (Arezzo) e che fu condannato all’ergastolo dal tribunale di Monaco nel 2009. A incastrarlo fu l’aver raccontato il suo crimine al bar: una rivendicazione che, fatta davanti a testimoni, si trasformò in ammissione di colpa.

A quasi settant’anni di distanza dagli eventi non le sembrerebbe praticabile una via diversa da quella giudiziaria che preveda l’ammissione piena dei fatti e delle responsabilità in cambio dell’esenzione dalla pena?

Sì, forse sarebbe più efficace. Ha recentemente parlato di "perdono responsabile" anche la figlia del tenente colonnello Fioretti, una delle vittime di Cefalonia. Del resto anche se i procuratori hanno l’obbligo di portare avanti l’azione penale, i limiti dell’approccio giudiziario sono evidenti. Sia per la scarsa incidenza di un’eventuale pena sulla vita del condannato, sia per la parzialità dell’accertamento giudiziario. Da una parte c’è una sorta di selezione casuale, che permette di colpire solo chi è ancora in vita, dall’altra, a distanza di tanto tempo, ci sono anche le difficoltà di accertamento delle responsabilità individuali (basti pensare al caso Demjanjuk e ai dubbi sull’identità stessa del boia di Treblinka). Per questo una soluzione simile a quella della Commissione per la Verità e la Riconciliazione sudafricana potrebbe dare maggiori risultati in termini di individuazione delle responsabilità. In fondo è solo guardando alla questione da un altro punto di vista, anche storico, che è possibile fare un processo alla politica dell’amnistia durata decenni.

A che punto è arrivato il processo di riconoscimento delle responsabilità in Germania?

Si tratta di un processo abbastanza lungo. Nel caso dei crimini di guerra contro i prigionieri russi, di quelli contro i rom, dei malati di mente oggetto di “eutanasia”, c’è voluto del tempo per arrivare a una vera consapevolezza. Va anche considerato che un Paese ha comunque l’esigenza di andare avanti e che non è immaginabile condannare tutti i reati commessi in una guerra mondiale. Diventa necessario procedere man mano, perseguendo i criminali ma cercando anche altre forme di riparazione, come la politica degli indennizzi delle vittime. Si tratta di un processo non ancora compiuto. Infatti nel 1999-2000 c’è stato il riconoscimento dei lavoratori coatti dell’Est europeo, ma per quanto riguarda gli internati militari italiani e altri gruppi la situazione non è ancora risolta e i processi italiani nei confronti della Germania per i risarcimenti l’hanno dimostrato.

E in Italia?

Una volta chiusa la partita giuridica [con l’amnistia Togliatti del 1946, ndr], avrebbe dovuto essere più facile arrivare in Italia a una condanna storica di certi comportamenti. Ad esempio i cosiddetti "ragazzi di Salò" avrebbero dovuto riconoscere gli errori commessi. Invece dopo la guerra civile che aveva lacerato il paese, il vaso di Pandora è stato chiuso per parecchi decenni: un’abile politica democristiana per arrivare a un congelamento della situazione attraverso il meccanismo dell’arco politico costituzionale, che lasciava fuori gli ex fascisti e teneva dentro, per metà, i comunisti. Quando a inizio anni Novanta quell’equilibrio salta, l’Italia torna improvvisamente alla situazione della guerra civile con la rivendicazione dei "ragazzi di Salò" di aver combattuto una guerra altrettanto giusta di quella dei partigiani. Il vaso di Pandora si è aperto, cancellando ogni effetto di quell’idea di “conciliazione” e impedendo ogni prospettiva storica alla lettura del passato. Che con l’arrivo al governo di forze che non avevano contribuito alla stesura della carta costituzionale repubblicana, torna ad essere un problema politico. (2/continua)

Carlo Calore

 

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