CULTURA

Il gioco della creatività

Stefano Bartezzaghi si occupa di enigmistica (l'ultimo lavoro a riguardo, L’orizzonte verticale - invenzione e storia del cruciverba è stato da poco riedito da Einaudi), di linguaggio, e dunque di  letteratura, oltre che di un sacco di altri temi interessanti correlati a questi (dai video rebus, creati per gli spettacoli del ciclo sul Nabokov di Ada, o ardore dei Fanny & Alexander,  alla saga di Harry Potter – per cui ha coordinato un progetto di  traduzione con Salani).

Negli ultimi anni ha indagato il mondo degli Scrittori giocatori (Einaudi 2010), categoria cui appartiene  anche lui, poiché non solo avvince con la sua scrittura, sia che introduca la versione a fumetti di Zazie nel metrò sia che individui mode lessicali, ma perché nelle sue rubriche on line e su social network – "Lessico e nuvole", "Come dire", "Fuori di testo" – si offre ogni giorno come compagno di gioco generoso, di quelli che portano il pallone in cortile, o, come diceva Paul Auster in Moon Palace, lanciano la palla da baseball dritta nel guantone dei compagni di squadra e si sforzano di raccogliere anche  i più sghembi dei tiri altrui).

Il Falò delle novità, testo sulla creatività ai tempi dei cellulari intelligenti appena pubblicato presso Utet, nasce anch’esso da un gioco, ideato dagli organizzatori del Festival della mente di Sarzana che l’estate scorsa hanno lanciato su Twitter l’hashtag #FdMcrea invitando ogni follower a usarlo per mandare la propria definizione di creatività. Il lavoro di Bartezzaghi prende le mosse dall’analisi sistematica di queste definizioni, e più che un saggio sulla creatività è una saggia riflessione su quello che le gira attorno, a partire dalla fioritura delle mitologie che la riguardano.

Il corpus di definizioni viene catalogato nel Falò (fuoco che illumina e cammina col lettore, e non che annienta: non Fahrenheit 451, magari David Lynch) in numerose sezioni: quelle umanistiche, ad esempio, o quelle infantiliste (il fanciullino è sempre in agguato in tutto il discorso sulla creatività), a tendenza ossimorica, quelle che puntano sull’ineffabilità del concetto, le polemiche, le pragmatiche. La disamina sul fondamentale pensiero degli-perlopiù-illustri sconosciuti, è affiancata da quelle che l’autore chiama propagazioni sull’opera e le idee di autori laureati: oltre alla sacra triade Calvino-Munari-Rodari, Bartezzaghi scandaglia il “giovane” talento (anche musicale) della scrittrice britannica Zadie Smith e il multiforme ingegno di Luigi De Angelis che per la compagnia teatrale Fanny & Alexander dirige, fotografa, cura luci e suoni, alla bisogna si sporca le mani.

Molti altri inevitabilmente gli uomini e le donne d’azione creativa lambiti dal fuoco amico di Bartezzaghi – da Ovidio a Foster Wallace. Tutti insieme, formano una tag  (o name) cloud carica di promesse e stimoli – e infatti la biografia del libro ne è davvero parte integrante, un ghiotto invito al viaggio di piacere, ma anche di istruzione, sulla creatività, in un momento storico in cui il concetto è particolarmente in voga, sdoganato persino dove fino a poco tempo fa era guardato con sufficienza: i discorsi economici. Per fare solo qualche esempio, si è appena concluso il seminario estivo di Symbola, Fondazione italiana per la qualità, dedicato a temi di economia della cultura e impresa creativa; e l'indagine statistica sui fabbisogni occupazionali del sistema informativo Excelsior, a cura di Unioncamere e ministero del Lavoro, evidenzia da un paio d'anni che gli imprenditori italiani considerano le abilità creative e di creazione tra le competenze fondamentali quando si valuta l'assunzione di under 30.

Sarà. Intanto, dato per assodato che ognuno conserverà la sua personalissima idea sulla creatività, a fine lettura almeno si sarà fatto un po’ d’ordine sulla composita galassia che questa sfuggente facoltà rappresenta.

Silvia Veroli

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