SOCIETÀ

Lavori da uomini? Mi spiace, non ne abbiamo

Si continua a discutere negli Stati Uniti di come le donne facciano ancora fatica a infrangere il "tetto di cristallo" – ad avanzare sino all’apice della carriera nella politica e nell’economia nazionale – e di come siano tuttora pagate meno dei colleghi maschi con le stesse competenze e responsabilità. Eppure, alcuni numeri suggeriscono che questi sono tempi duri anche per gli uomini, in particolare quelli meno istruiti. 

In Aprile, il tasso di disoccupazione tra le lavoratrici era del 5,7%, tra i lavoratori del 5,9%. Risultato anche del fatto che, durante la recessione del 2007-2009, per ogni posto di lavoro perso da una donna gli uomini ne hanno visti sparire 2,6. Non solo: le donne stanno recuperando più in fretta il terreno perduto. Già a settembre dell’anno scorso, erano tornate sugli stessi livelli di occupazione di prima della crisi, superando nel marzo 2014, con 68 milioni di donne impiegate, i picchi storici raggiunti nel 2008. Gli uomini, la cui partecipazione alla forza lavoro rimane complessivamente più alta, sono invece ancora indietro, essendo passati da una punta di quasi 71 milioni nel 2007 ai 64,7 milioni del dicembre 2009, ai quasi 70 milioni del marzo di quest’anno. 

Ora, un nuovo rapporto del think tank di Washington Third Way suggerisce che le radici del problema vadano ricercate nei primi anni di scuola. “Il paper fa parte di un progetto di ricerca iniziato oltre dieci anni fa”, racconta Claudia Buchmann, professore di sociologia presso l'Ohio State University e co-autrice dello studio a fianco di Thomas DiPrete, della Columbia University. L’interesse dei due ricercatori per l’argomento era iniziato con una serie di osservazioni fatte nel loro ruolo di genitori, lui padre di femmine, lei madre di maschi. “Thomas mi raccontò di aver notato, durante una cerimonia organizzata dalla scuola delle figlie, che la stragrande maggioranza degli studenti premiati per i buoni risultati raggiunti nello studio erano femmine – continua Buchmann – Nello stesso periodo, io mi resi conto, dando una mano presso l’asilo di mio figlio, che i bambini che avevano bisogno di aiuto extra erano quasi tutti maschi”. 

I due si misero così al lavoro sui numeri, arrivando a scoprire che i voti ricevuti da scolari e scolare divergono a favore di queste ultime sin dai primi anni delle elementari e, una volta giunti alla fine delle scuole medie, si consolidano in paradigmi che durano tutta la vita. Chi ottiene regolarmente delle A e delle B in terza media è destinato a portare avanti gli studi con successo e, in tutta probabilità, a ottenere anche un titolo di studio universitario. Per chi invece riceve solo B e C, anche finire il college diventa un’impresa ardua e spesso impossibile. Ebbene, tra le studentesse americane di terza media il 48% vanta un misto di A e B, se non tutte A, mentre tra gli studenti solo 31% ha pagelle così buone. 

“Questo vantaggio si spiega con una serie di competenze comportamentali esibite dalle femmine molto più che dai maschi – dice Buchmann – Ad esempio l’essere organizzati, il consegnare i compiti nei tempi giusti, la cura della qualità del lavoro svolto, il prestare attenzione in classe”. 

Per il momento agli esperti che si occupano di questo tema non è del tutto chiaro perché le bambine mostrino queste abilità in misura maggiore rispetto ai bambini. Senz’altro esistono differenze nella rapidità di maturazione dei due sessi, con le femmine che si sviluppano prima dei maschi. David Autor, professore al Massachusetts Institute of Technology, è convinto che anche la composizione della famiglia di origine giochi un ruolo importante. In uno studio da lui condotto sempre per Third Way, Autor sostiene che i figli cresciuti da madri single – realtà sempre più comune negli Stati Uniti, se si pensa che solo il 63% di bambini era cresciuto da due genitori nel 2010 - soffrano della mancanza della figura paterna, e quindi di un modello maschile di riferimento, molto più delle figlie. 

E anche la società ha le sue responsabilità. “In alcune sottoculture, andare bene a scuola è visto come un tratto prettamente femminile – dice Buchmann – In tali contesti, i bambini si convincono in fretta che mostrare interesse per lo studio e impegnarsi duramente per ottenere buoni voti gli valga soltanto le prese in giro degli amici”. D’altro canto, è probabile che le bambine siano portate a impegnarsi di più in risposta al fatto che gli studi sono stati a loro preclusi a lungo e che, almeno tradizionalmente, sono viste come meno intellettualmente dotate dei maschi. 

La società, inoltre, continua a premiare le femmine che si mostrano disciplinate, obbedienti e rispettose. Tratti che, almeno a scuola, contribuiscono fortemente al successo di un individuo, anche se diventano poi un ostacolo più tardi nella vita, quando si tratta di dimostrare a colleghi e superiori di avere fiducia in se stessi, di essere creativi e di sapere comandare – caratteristiche fondamentali per dirigere un’azienda o assumersi responsabilità politiche importanti.

Va detto che la disparità nei voti ricevuti da studenti e studentessa non è cosa nuova. “Qualche tempo fa vidi un articolo a proposito di questa improvvisa crisi dei ragazzi - dice Daniel Voyer dell'University of New Brunswick, che ha condotto uno studio in proposito per conto dell’American Psychological Association – I nostri dati suggeriscono invece che questo è un fenomeno che ha almeno cento anni”. 

Il fatto che gli uomini adulti stiano accusando questo handicap più oggi che in passato ha quindi probabilmente a che vedere non tanto con un crollo delle loro recenti performance nello studio ma piuttosto con le trasformazioni economiche attualmente in corso. “I posti di lavoro per i ragazzi che non sono interessati a studiare sono sempre meno, il mondo dei colletti blu e del lavoro fisico sta sparendo – dice Buchmann – Se si vuole avere successo nel mondo di oggi bisogna adattarsi all’economia della conoscenza, che richiede spesso di stare davanti a un computer tutto il giorno”. 

Rimedi? Tra gli esperti di tendenze conservatrici esiste un certo consenso sul fatto che, per aiutare i bambini a migliorare i propri voti, e quindi anche la propria vita accademica e professionale, si debba rendere la scuola più a loro immagine e somiglianza, con più intervalli per correre e saltare, più insegnanti uomini, più letture sul genere di Harry Potter. Altri studiosi, però, sono sostenitori dell’approccio opposto. “Si tende sempre a reagire in maniera eccessiva di fronte a questi problemi, lanciando grandi campagne per aiutare una parte della popolazione, prima le donne, ora gli uomini, e dimenticandosi dell’altra – conclude Voyer – Ma questo non è un problema di genere: dobbiamo aiutare tutti coloro che hanno difficoltà a scuola, i bambini come le bambine, cercando di lavorare con i pregi e i difetti di ciascun individuo”. 

Valentina Pasquali

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