SOCIETÀ

Le (troppe) bandierine sulla mappa del cambiamento climatico

È stata presentata nei giorni scorsi a Varsavia per l'apertura di Cop 19, la Conferenza delle nazioni unite sui cambiamenti climatici, la nona edizione del Global Climate Risk Index. L'indice globale sul rischio climatico è una classifica dei paesi maggiormente a rischio di eventi estremi – uragani, alluvioni, ondate di caldo e siccità prolungate – che l'organizzazione no-profit tedesca Germanwatch stila annualmente monitorando un periodo di vent’anni e confrontandolo con il bilancio dei maggiori eventi nell'anno appena trascorso. E se nel rischio complessivo quest'anno ai primi posti risultano Honduras, Birmania e Haiti, a guidare la classifica dei paesi maggiormente colpiti già nel 2012 troviamo al secondo posto, fra Haiti e il Pakistan, le Filippine: il paese – settimo nella classifica ventennale  - devastato in questi giorni dal tifone Haiyan

Gli autori dell'edizione 2014 del rapporto, Sönke Kreft, ricercatore per la United Nation University, il braccio accademico dell’Onu, e David Ecksteinm, analista per Germanwatch, hanno sottolineato come siano i paesi più sviluppati ad aver la maggior responsabilità per gli sconvolgimenti climatici in corso, ma siano quelli più poveri a sopportarne in grandissima misura le conseguenze. Ai primi dieci posti della classifica si trovano infatti soltanto paesi in via di sviluppo, dei quali ben otto si collocano al fondo della fascia più bassa dei redditi pro capite e dell'indice di sviluppo globale.

Il riscaldamento globale dell'atmosfera e dei mari restano gli imputati principali, individuati come concausa per i fenomeni più estremi, per i quali l'indice nell'analisi dell'anno passato stima la maggiore o minore correlazione. Il cambiamento climatico sta soprattutto mutando l'ordine di intensità e la frequenza dei fenomeni in questione, con una crescente influenza dei fattori indotti dall’uomo come l’aumento della concentrazione dei gas serra. 

E i segnali d'allarme presentati alla Conferenza sono molteplici: per ricordarne soltanto uno, nel suo rapporto l'Organizzazione meteorologica mondiale indica come dal 1993 (l’anno in cui ebbe inizio il monitoraggio con tecnologie satellitari) il livello degli oceani sia cresciuto di 3,2 mm all'anno, a una velocità doppia rispetto alla media del secolo scorso. Il rapporto volutamente non si concentra nell’analisi di questi fenomeni, l’obiettivo infatti è quello di rappresentare un indicatore di allarme, una mappa sempre aggiornata sul livello di rischio e di vulnerabilità per singoli paesi e intere aree geografiche. Insomma, una base di dati che consenta di valutare l’adozione di adeguate “contromisure” per mitigare gli effetti dei fenomeni più estremi. 

Prese tutte insieme, le bandierine infisse sulla carta geografica – nella loro doppia prospettiva sincronica (anno trascorso) e diacronica (20 anni precedenti) – permettono di afferrare le conseguenze dei fenomeni climatici estremi nella loro reale portata, e riservano alcune sorprese. Prima di tutto l’entità delle loro conseguenze: in 20 anni, quasi 550.000 morti in oltre 15.000 singoli eventi, per oltre 2500 miliardi di dollari di danni (più di 500 milioni nel solo 2012). Anche se la cifra rischia di essere sottodimensionata, dal momento che tiene conto solo dei danni diretti e immediati, il rapporto restituisce un’idea globale dell’importanza di questi avvenimenti. E aiuta a colmare alcuni gap dell'opinione pubblica, spesso attenta ai singoli eventi ma poco avvertita della loro portata complessiva, così come di fenomeni che non hanno richiamato l’attenzione dei media più importanti.Tutti infatti ricordano l'uragano Sandy, di cui le cronache parlarono a lungo quando colpì New York, nell'ottobre 2012; più difficilmente si ricorda che la grandissima parte dei danni e delle vittime li aveva fatti ad Haiti e nei Caraibi.  O quanti siano stati i tifoni, le trombe d'aria, le ondate di calore e di siccità che hanno colpito gli Stati Uniti negli ultimi anni, con un chiaro trend di crescita. 

Anche l'Europa è tutt'altro che al sicuro: lo sottolinea il rapporto a partire proprio dai Paesi che ospitano la Conferenza, quelli dell'Europa centro-orientale, pesantemente colpiti nell'anno appena trascorso. Tuttavia, anche se piogge torrenziali e inondazioni hanno procurato enormi danni e causato vittime in quest'area fra il 2012 e il 2013 (e sono state seguite da siccità e ondate di calore che hanno  messo in ginocchio l'agricoltura), raramente il rischio climatico è entrato nell’agenda politica dei governanti. Il campanello d’allarme era suonato, inutilmente, già dieci anni fa  quando l'"estate del secolo", con le sue temperature estreme ed eccezionalmente prolungate provocò oltre 70.000 vittime e mostrò la vulnerabilità europea ai fenomeni estremi.

Il bilancio del rischio climatico è rilevante anche nel nostro paese, come ricordano le terribili immagini della Sardegna colpita dalle inondazioni di queste ore. In Italia – al 21° posto nell'indice ventennale – la somma dei danni legati a siccità e maltempo nel 2012 ha raggiunto, secondo le stime delle associazioni di categoria, la cifra di 3 miliardi di euro, il 10% della produzione agricola nazionale. Le ovvie conseguenze sulla bilancia dei pagamenti parlano di produzione in drastico calo, centinaia di aziende fallite e perdita di colture anche permanenti (frutteti, vigneti): ferite che si tende a dimenticare, ma che richiedono anni per essere riassorbite. Ma anche i più clamorosi casi degli anni passati, come i fatti delle Cinque terre, di Genova, di Messina o della Maremma sembrano essere passati semplicemente in cronaca, benché il richiamo al dissesto idrogeologico del territorio e alla necessità di interventi urgenti e risorse destinate alla messa in sicurezza del territorio riappaia ad ogni nuovo dramma.  

I fenomeni estremi, dalle "bombe d'acqua" alle ondate di calore, hanno però radici comuni: la graduale tropicalizzazione del clima nell'area mediterranea e, più in generale, il Global warming che coinvolge atmosfera ed oceani: fenomeni che potrebbero essere almeno mitigati da efficaci misure di tutela ambientale. Di questo si discute alla Conferenza dei paesi aderenti alla convenzione Onu sui cambiamenti climatici (UNFCCC) attualmente in corso a Varsavia, in particolare con la proposta di politiche innovative in materia di riduzione delle emissioni di gas serra. 

Michele Ravagnolo

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