CULTURA

Pietro Bembo, uomo nuovo del Rinascimento

“Leggo, scrivo quant’io voglio, cavalco, cammino, passeggio molto spesso per entro un boschetto che io ho a capo dell’orto” scriveva Pietro Bembo nel 1525, appena trasferito nella villa di famiglia nella campagna padovana dopo la morte di papa Leone X, che aveva servito a Roma per quasi un decennio in qualità di segretario ai brevi, garante di un latino impeccabile nelle lettere pontificie. Si concludeva così per l’intellettuale veneziano una stagione di intensi rapporti artistici e culturali, nel susseguirsi di incontri, scambi, amicizie e passioni al fianco dei maggiori artisti e intellettuali del primo Rinascimento italiano, come Raffaello, Bellini, Poliziano, Michelangelo, Tiziano e Baldassar Castiglione.

Nel 1527 Bembo acquistò una casa in borgo Altinate a Padova e vi trasferì la propria collezione di libri, monete, oggetti d’arte. La sua dimora divenne lo scrigno di memorie familiari, strumenti di studio e lavoro, e si fece galleria delle opere degli artisti che aveva conosciuto, frequentato, ammirato, contribuendo alla definizione della propria immagine di umanista: un primo museo del Rinascimento. Con una coraggiosa operazione culturale, e uno sforzo organizzativo non comune considerando la provenienza  delle opere da musei e collezioni di tutto il mondo, la mostra Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento traccia un racconto per immagini della sua vita: figlio di un importante uomo di stato veneziano, fallì nella carriera politica ma si realizzò pienamente in quella di letterato; frequentò le maggiori corti italiane, stringendo contatti e amicizie con i Medici, i Gonzaga, gli Estensi, i Montefeltro; si lasciò travolgere da una pericolosa passione per la neosposa del duca Alfonso d’Este, Lucrezia Borgia; scrisse opere di rilievo e divenne promotore di una lingua italiana nuova e standardizzata, ispirata al volgare di Petrarca e Boccaccio (Prose della volgar lingua, 1525). Soprattutto, Pietro Bembo comprese la portata artistica e storica delle opere di Raffaello e Michelangelo, campioni della rivoluzione figurativa che avvenne a Roma negli anni del papato di Leone X e che, parallelamente alla sua opera nel campo della scrittura, definì un nuovo linguaggio artistico, ispirato all’antico ma assunto a modello per il futuro: da lì a poco la loro nuova lingua dell’arte, senza inflessioni regionali, si sarebbe imposta in Italia e in tutta Europa, plasmando il mito del Rinascimento italiano.

La profonda amicizia che legava Pietro Bembo a Raffaello è testimoniata dalla presenza di opere straordinarie, come il Ritratto di Navagero e Beazzano, donato dal pittore allo scrittore in ricordo di comuni amicizie e indimenticabili esperienze condivise a Roma, la Petite Sainte Famille, in prestito dal Louvre, il Ritratto di Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino. Di Raffaello anche un colossale arazzo, La conversione di San Paolo, che sorprende dietro l’angolo di una stanza che a malapena lo contiene, suggerendo di contro il dialogo diretto che doveva avere, nella cappella Sistina, con il soffitto michelangiolesco. È il corpo palpitante di un Cristo definito meticolosamente dal carboncino di Michelangelo (Londra, British Museum) a raccontare invece il Bembo inaspettatamente ordinato cardinale nel 1539 da Paolo III Farnese, successore di Leone X. In questa veste viene raffigurato dal Tiziano, che gli fece omaggio del dipinto (Washington National Gallery of Art): di tre quarti, l’inconfondibile naso dritto e appuntito, vestito con la porpora, ma fermato in un gesto da oratore antico.

Giorgione: Doppio ritratto, 1502 circa, (Roma, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia); Ritratto di giovane, 1503 circa (Museum of Fine Arts, Budapest)

L’affetto che legava l’umanista a Giovanni Bellini, per il quale il letterato si fece tramite con Elisabetta del Montefeltro, è testimoniato dal numero delle opere che egli conservava nella propria collezione. A lui, “il mio Bellin”, Bembo dedicò nel 1505 due sonetti degli Asolani, testo in volgare d’argomento amoroso che ebbe un grande successo e che fu ispirato dalla sua passione per Lucrezia Borgia, della quale conservò una ciocca bionda. Cortigiano moderno, esaltò il sentimento come tratto distintivo degli uomini virtuosi: incarnano questa visione i giovani nobili ritratti da Giorgione, dai lunghi capelli castani e dal fine incarnato, assorti in estenuanti pensieri, il gesto drammatico della mano al petto (il dipinto di Budapest), il capo sostenuto come a reggere la gravità delle pene d’amore. Stessa intensità che avvolge l'uomo concentrato nella lettura in solitudine di un piccolo libro: la tela che testimonia il primo vero tascabile che contraddistingue una posizione sociale elitaria.

Una galleria fatta di eleganza e atmosfere (per la regia di Aldo Cibic e Marco Zocchetta), una vera quinta scenica per le opere del Perugino, del Francia, di Sebastiano del Piombo, di Tiziano, del Campagnola, busti romani, iscrizioni antiche, fino ad arrivare al San Sebastiano di Andrea Mantegna, tela che Pietro Bembo aveva probabilmente ereditato dal padre.

In un totem di luce emerge un dittico di Hans Memling, le cui tavole sono ricongiunte per la prima volta in Italia: il San Giovanni Battista proveniente da Monaco e la Santa Veronica della Washington Gallery of Art, che sul retro svelano due immagini segrete, un teschio e un calice in cui sibila una serpe.

Una mostra complessa ma compiuta, che fra le righe narra del ruolo della cultura nel tempo di crisi: Pietro Bembo visse gli anni della calata dei francesi in un’Italia politicamente inesistente e frammentata anche linguisticamente. In quegli anni l’intellettuale cercò un riscatto attraverso la codifica di una lingua nazionale, elemento unificante della cultura, la scrittura, l’arte. Prendendo a prestito le parole di Howard Burns, presidente del comitato scientifico, “La mostra su Pietro Bembo non è semplicemente un elogio di bellezza della grande arte del Rinascimento. Avverte e ricorda che la cultura, occupandosi di valori, mentalità e priorità, può essere più potente ed efficace della politica”.

Chiara Mezzalira

Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento Padova, Palazzo del Monte di Pietà – 2 febbraio – 19 maggio 2013 www.mostrabembo.it

Hans Memling: San Giovanni Battista (Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco); Santa Veronica, recto, 1470-75 circa, (National Gallery of Art, Washington)

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012