SOCIETÀ

Prima di inquinare chiedete il permesso

Sul mercato si può comprare di tutto, si sa. Anche il “permesso di inquinare”. È questa la semplice logica del mercato dei crediti di carbonio, che procede sul doppio binario della regolamentazione istituzionale prevista dal protocollo di Kyoto e delle iniziative volontarie. Pure l’Italia si inserisce in questa compra-vendita come testimonia il rapporto sullo Stato del mercato forestale del carbonio in Italia 2013, presentato in questi giorni a Padova, che ne restituisce dimensioni e andamento.

A partire da una premessa. Dal 2005 il protocollo prevede l’impegno da parte dei Paesi firmatari a ridurre le emissioni di gas serra, del 20% rispetto al 1990 per il periodo 2013-2020. Questo attraverso politiche nazionali volte alla riduzione delle emissioni e il ruolo attivo delle foreste come serbatoi di assorbimento e stoccaggio di carbonio. Non solo. Sono stati messi in atto infatti “meccanismi flessibili” che, partendo dai limiti di emissione imposti agli Stati e alle grandi aziende del settore energetico e industriale, prevedono sistemi di compensazione dell’anidride carbonica prodotta in eccesso o di vendita dei permessi di emissione “risparmiati”. Ciò significa che se un’impresa (o uno Stato) inquina più del dovuto può scegliere se pagare la sanzione prevista o comprare crediti di carbonio (permessi di emissione) da altre aziende che invece hanno ridotto le emissioni e dunque hanno un credito spendibile (International Emission Trading). In alternativa è possibile investire in progetti di assorbimento di CO2 nei Paesi in via di sviluppo (Clean development mechanism) o tra quelli con vincoli di emissione (Joint Implementation), così da adempiere all’obbligo di ridurre le emissioni nel modo che risulta più conveniente a seconda dell’andamento del mercato. Un mercato che tra il 2008 e il 2012 ha visto scendere il prezzo medio dei crediti da 30 euro per tonnellata di anidride carbonica a meno di cinque euro. Le cause, secondo l’International center for climate governarnance, sono da imputare essenzialmente al calo della produzione durante la crisi economica che ha determinato un’eccessiva offerta di crediti e alla contemporanea diminuzione della domanda, dovuta alle politiche ambientali (calo del consumo energetico e utilizzo delle rinnovabili ad esempio).

Accanto al mercato istituzionale del carbonio esiste, però, anche un mercato volontario in cui organizzazioni non profit, enti pubblici e privati, ma anche singoli individui, senza alcun vincolo di obbligatorietà, compensano le proprie emissioni di CO2 contribuendo a finanziare progetti di riforestazione, miglioramento della gestione forestale o riduzione delle emissioni da deforestazione. A spingere questa scelta possono essere ragioni di tipo etico o, nel caso di aziende, atti di responsabilità sociale d’impresa o la volontà di migliorare la propria immagine e la spendibilità sul mercato.

L’Italia ha centrato l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti a 200 milioni di tonnellate di CO2 fissato per il periodo 2008-2012. Ma come si muove il nostro Paese nei due mercati? Per quel che riguarda il mercato istituzionale, illustra il rapporto Stato del mercato forestale del carbonio in Italia, l’Italia partecipa a 15 progetti con Paesi in via di sviluppo, secondo il sistema del Clean development mechanism. La superficie totale di alberi piantati raggiunge quasi i 64.000 ettari: più del 70% è inclusa in tre progetti in Brasile e Moldavia, altre cinque iniziative di minor estensione sono collocate in Uganda, due in Kenya, una rispettivamente in Cina, in Nicaragua, in Etiopia e in Albania. In totale le riduzioni delle emissioni all’anno sono state di quasi 550.000 tonnellate di anidride carbonica equivalente.

Sul mercato volontario il rapporto descrive 14 progetti in ambito forestale realizzati da 12 organizzazioni italiane per il 95% all’estero. Otto i Paesi interessati, oltre all’Italia: Argentina, Benin, Bolivia, Brasile, Congo, Haiti, Mozambico e Senegal. “Non esistono scale di valutazione per la scelta della sede del progetto – sottolinea Lucio Brotto del dipartimento di territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova e curatore del rapporto con Davide Pettenella – Va detto però che all’estero un intervento di riforestazione può avere un impatto sociale e ambientale maggiore, sia in termini di conservazione della biodiversità che di creazione di posti di lavoro”. I progetti più diffusi sono per la gran parte riforestazioni promosse da associazioni no profit, che hanno venduto credito per un volume di 142.300 tonnellate di CO2, contro le 1.449 delle organizzazioni for profit e le 766 della pubblica amministrazione. L’indagine rivela tuttavia, rispetto all’anno precedente, una diminuzione nel numero di progetti segnalati da 20 nel 2011 a 14 nel 2012, con una conseguente contrazione dei volumi di anidride carbonica assorbiti da 244.218 tonnellate di CO2 a 144.515. I prezzi rilevati per i progetti variano da un minimo di 2,55 a un massimo di 67 euro per una tonnellata di anidride carbonica (prezzo medio ponderato 7 euro): un valore complessivo di 1 milione di euro per i volumi venduti nel 2012.  

Se questa è la situazione dei due mercati, il primo regolamentato da una normativa internazionale e l’altro invece privo di una normativa di riferimento a livello nazionale, il rischio è quello del doppio conteggio dei crediti di carbonio. “Per raggiungere i propri obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra – spiega Brotto – lo Stato procede con un inventario delle emissioni, stabilisce gli interventi da mettere in atto (implementazione di rinnovabili e rimboschimenti), sulla base di un campionamento dell’uso del suolo, cioè un inventario generale senza però indicazioni di proprietà”. Potrebbe dunque accadere in questa situazione di incertezza che i crediti di carbonio vengano messi sul mercato due volte”. Per far fronte al problema il Nucleo di monitoraggio carbonio propone il Codice forestale del carbonio, uno strumento di autoregolamentazione volontaria che fornisce alle organizzazioni coinvolte in progetti forestali delle linee guida per comunicare al ministero il loro impegno, evitando in questo modo il conteggio dei crediti anche da parte dello Stato.

“In Italia – conclude Brotto – si è investito molto in termini di compra-vendita di crediti in progetti di riforestazione, ciò su cui ora bisognerebbe puntare è sulla corretta gestione delle foreste esistenti, se si pensa che nel nostro Paese molti dei dieci milioni di ettari di foreste sono abbandonati”.

Monica Panetto

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012