CULTURA
Quella domanda di giustizia che ci rende umani
Foto: Magali Delporte /eyevine/contrasto
“Viviamo in una interconnettività come non era mai esistita. Ma in questo mondo, ci sono delle cose insopportabili. Per vederle, bisogna bene guardare, cercare. Dico ai giovani: cercate un poco, andate a trovare. Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire ‘io non posso niente, me ne infischio’. Comportandovi così, perdete una delle componenti essenziali che ci fa essere uomini. Una delle componenti indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne è la diretta conseguenza”.
Si può, a 92 anni, scrivere un pamphlet di 20 pagine che diventa un caso editoriale tradotto in 20 lingue diverse, vende quattro milioni di copie e deve il suo successo soprattutto ai lettori più giovani? Possibile, se ci si chiama Stéphane Hessel, l’autore di Indignatevi! morto martedì a 95 anni a Parigi, e si racconta quello che costituiva il nucleo ideale e universale della resistenza al nazismo: la lotta contro l’ingiustizia, la violenza, la prevaricazione senza limiti.
Tedesco di origine ebraica, figlio di una pittrice e uno scrittore che tradusse con Benjamin Alla ricerca del tempo perduto di Proust in tedesco, Hessel si era naturalizzato francese nel 1937. Allievo di Maurice Merleau-Ponty all’Ecole normale supérieure, con lo scoppio della guerra si arruola nell’esercito francese, viene fatto prigioniero, sopravvive alla deportazione a Buchenwald e sfugge rocambolescamente due volte alla prigionia partecipando da protagonista alla resistenza e, subito dopo, alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Negli anni successivi, svolgerà una lunga carriera diplomatica con incarichi anche molto delicati, in particolare al tempo della decolonizzazione dell’Algeria, e manterrà il suo impegno a sinistra. Fino a Indignatevi! il suo nome era conosciuto negli ambienti progressisti, ma certamente poco noto al grande pubblico, e i suoi libri non avevano mai fatto grandi tirature.
Che cosa ha guadagnato un numero così grande di lettori, e fra loro così tanti giovani e giovanissimi, al suo pamphlet? La risposta è molto semplice. Partendo dall’esposizione sintetica dei principi ispiratori del programma del Consiglio nazionale della resistenza steso da Jean Moulin nel 1944, base della rinascita della democrazia in Francia, Hessel arriva fino a oggi. Si tratta di un ritorno alle origini per molti versi chiarificatore e liberatorio, “di parte” ma universale, in cui l’autore mette i suoi lettori a confronto con ciò che la sua generazione individuò come indispensabile per troncare le radici del totalitarismo. Democrazia come libertà ed eguaglianza, cittadinanza piena, superamento delle concentrazioni eccessive di potere e degli squilibri sociali. “Di questi principi e di questi valori, abbiamo oggi più che mai bisogno”, diceva Hessel.
Nelle sue pagine, gli ideali che diedero forma a quel programma e poi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si accompagnano alle ragioni che spinsero la sua generazione all’impegno (per moltissimi, a costo della vita) impedendo loro di restarsene nascosti in attesa che la tempesta passasse. “Sartre ci ha insegnato a ricordare: ‘Voi siete responsabili in quanto individui’. Era un messaggio libertario. La responsabilità dell’uomo che non può affidarsi né ad un potere né ad un dio”, scriveva infatti l’autore.
Oggi è doveroso misurare la strada percorsa dalla società rispetto a quegli ideali e a quei programmi di democrazia piena ed equità sociale, e indignarci dove essi hanno fatto passi indietro, principalmente per l’eccessivo peso della finanza. Il potere del denaro non può sostituire il diritto dei cittadini a decidere e non si può permettere che i germi dell’esclusione e della diseguaglianza più profonda si sviluppino dentro le società democratiche.
Hessel in questo modo mette in rapporto diretto momenti distanti nel tempo come l’oggi e la seconda guerra mondiale. Chiede di scegliere cosa è giusto e cosa sbagliato. Per agire di conseguenza, onorando il legame con i nostri simili, ricordando che non l’Uomo, ma gli uomini abitano il mondo. Un’operazione che non sarebbe dispiaciuta a Walter Benjamin, amico di suo padre e ricordato nel testo, che nelle sue Tesi sul concetto di storia proponeva un’idea della storia in cui nodi e scelte si ripropongono nel tempo e si attraggono tra loro, diventando l’esperienza dalla quale partire per interpretare le situazioni attuali.
Con l’interesse e la risposta assolutamente inaspettati che ha suscitato, l’“io ricordo” rivolto ai giovani da Hessel mette anche, inevitabilmente, in dubbio l’idea di una opposizione quasi inconciliabile tra generazioni. Le sue parole e la sua esperienza sono risuonate perfettamente comprensibili per tanti giovani, e la scommessa di riportare in evidenza i valori alle radici delle nostre società, oggi appannati e sommersi, ha mostrato che essi sono tutt’altro che “superati”.
Non si tratta, d’altronde, di un caso isolato: non sono pochi gli autori che, al di là del tempo trascorso e delle realtà diverse in cui si erano formati, hanno saputo dialogare con i più giovani. Basta pensare, in Italia, a Vittorio Foa o, su un piano molto diverso, all’ostinato successo, in tarda età, dei libri di Mario Rigoni Stern, un autore schivo e appartato che parlando di boschi, montagne e guerra sapeva trasmettere mondi e scelte ideali. O alla forza con cui, a quasi 70 anni di distanza, ci parla ancora il testo della Costituzione.
Forse non c’è molto da stupirsi considerando che gli uomini e le donne della resistenza europea avevano in gran parte fra i 18 e i 25 anni e la rottura generazionale ebbe allora un ruolo profondo. È sufficiente anche ricordare che le statistiche sulla distribuzione delle risorse e della ricchezza raccontano un mondo oggi sia molto più ineguale di trent’anni fa, polarizzato com’è fra molto ricchi e molto poveri. Di ingiustizie, per chi voglia sentirsi “pienamente responsabile delle diseguaglianze e di ciò che non funziona nella nostra società", e di cose da cambiare, magari provando, sbagliando e poi provando ancora indubbiamente ce ne sono molte, per chi si senta ancora interrogato da quegli ideali. Le generazioni, anche le più distanti, quando hanno esperienze da scambiarsi, si parlano eccome. A ognuno scegliere di quali storie fare esperienza propria.
Michele Ravagnolo