SCIENZA E RICERCA

Riscaldamento globale: l’uomo colpevole solo a metà

Secondo l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) le emissioni globali di gas serra sono in aumento a un ritmo doppio rispetto a dieci anni fa e la temperatura media continua a crescere rispetto ai livelli pre-industriali. In tutto questo l’uomo avrebbe causato più del 90% del riscaldamento globale sin dal 1900 e praticamente il 100% dal 1970. Da qui tutta una serie di politiche di intervento che vanno dalla riduzione delle emissioni di gas serra ad azioni di riforestazione, dal ricorso alle energie rinnovabili a una gestione più sostenibile delle città. Eppure, a fronte di questa situazione, c’è chi sostiene che gli scenari di previsione dell’Ipcc non siano del tutto corretti perché basati su modelli climatici che considerano solo in minima parte le variabili naturali accanto al contributo antropico. Di conseguenza anche le responsabilità attribuite all’uomo sarebbero state sovrastimate. A esserne convinto è Nicola Scafetta, docente alla Duke University in North Carolina, che ha esposto i suoi studi nei giorni scorsi a Padova.

“Il clima è influenzato certamente dal fattore antropico, ma anche da fattori naturali che possono essere interni alla terra, come nel caso dei vulcani, e astronomici. La critica che io muovo all’Ipcc è di non sapere modellare bene la componente astronomica del clima. I modelli dell’Ipcc parlano solo di irradianza solare che, tra l’altro, si ritiene dia un contributo esiguo ai cambiamenti climatici e ignorano altri aspetti”. Il sole, ad esempio, non emette solo luce, ma anche un forte campo magnetico. Questo influenza i raggi cosmici che a loro volta incidono sulla nuvolosità e quindi sulla quantità di luce che raggiunge la superficie terrestre con conseguenti ripercussioni anche sul clima. E non vengono presi in considerazione nemmeno gli effetti lunari: accanto alle maree giornaliere esistono infatti cicli molto più lunghi che influiscono sugli oceani e sul trasferimento di calore dall’equatore ai poli. Producendo anche in questo caso cambiamenti climatici. 

Scafetta aggiunge che i modelli dell’Ipcc si basano dal 2001 su una ricostruzione della temperatura globale degli ultimi 1000 anni, conosciuta come hockey stick, elaborata da Michael E. Mann nel 1998 su cui tuttavia sono stati avanzati dei dubbi. Secondo lo studio, il pianeta sarebbe stato caratterizzato da una temperatura costante prima del 1900 e successivamente da un riscaldamento anomalo. Il risultato tuttavia è in contrasto con quanto sostenuto da storici e geologi, secondo i quali i primi secoli del millennio dovevano essere piuttosto caldi, al contrario dei secoli dal 1400 al 1800, ritenuti invece molto freddi e conosciuti come la “piccola era glaciale”. In effetti già dal 2004-2005 l’hockey stick comincia a essere criticato. Tra gli altri Anders Moberg e Fredrik Charpentier Ljungqvist propongono ricostruzioni alternative del clima. E anche Scafetta dà il proprio contributo.

“Negli ultimi 400.000 anni – spiega – si sono alternati sul nostro pianeta periodi caldi e periodi freddi di cui i modelli dell’Ipcc non riescono a dare conto”. E continua: “Se la temperatura presenta cicli periodici naturali, l’unica spiegazione ragionevole è che il sistema climatico sia modulato da cicli astronomici”. Le oscillazioni naturali del clima sarebbero dunque sincronizzate con oscillazioni astronomiche, cioè con oscillazioni del sistema solare indotte dal movimento dei pianeti. Sole, luna e pianeti sono caratterizzati da numerosi cicli a diverse scale temporali: di 11 e 12 anni quelli del sole e di 18,6 e 8,85 anni i cicli maggiori della luna. Giove ha un periodo orbitale di circa 12 anni e Saturno di 30 anni cui se ne aggiungono altri tre: i dieci anni dell’opposizione dei due pianeti, i 20 della congiunzione e i 60 anni necessari per essere allineati con la Terra attorno al sole. Scafetta avrebbe individuato, ad esempio, una corrispondenza ciclica di 60 anni nei periodi 1880-1940 e 1940-2000, durante i quali le temperature hanno dimostrato un andamento simile. Consentendo anche di fare previsioni per il futuro.

Gli studi del docente della Duke University aprono dunque scenari differenti rispetto a quelli proposti dall’Ipcc. “Secondo i miei calcoli l’uomo contribuisce al riscaldamento globale per circa il 50% e non per il 100% come vorrebbe l’Ipcc. L’altra metà può essere attribuita a oscillazioni astronomiche”. E continua: “Se non si è in grado di modellare la componente del clima condizionata dai fenomeni astronomici, non si può nemmeno quantificare con esattezza la componente antropica”. Anche le previsioni relative alla temperatura per il prossimo secolo si discostano da quanto sostenuto finora. Sembra infatti che fino agli anni 2030-2040 si assisterà a una stasi o addirittura a un raffreddamento.    

“I modelli dell’Ipcc stanno fallendo – argomenta Scafetta – Anche se la quantità di anidride carbonica è aumentata molto, dal 2000 la temperatura è rimasta costante. E sebbene l’Ipcc lo riconosca e ammetta che i modelli climatici utilizzati stanno presentando dei problemi, utilizza poi quegli stessi modelli per le previsioni climatiche del ventunesimo secolo”. 

Monica Panetto

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