UNIVERSITÀ E SCUOLA

Stati Uniti: la scuola pubblica trova nuovi difensori

Negli Stati Uniti, la scuola pubblica è ormai da tempo tra i bersagli preferiti sia della destra sia della sinistra riformista. Il ritornello è sempre lo stesso: insegnanti che non hanno voglia di lavorare perché hanno il posto di lavoro garantito da contratti sindacali blindati; rigidità burocratiche che ostacolano l’iniziativa personale di amministratori e docenti; performance degli studenti in continuo declino. E così i giovani americani sono battuti esame dopo esame dai più disciplinati e meglio preparati colleghi cinesi e coreani, sicuro presagio, secondo i critici, della fine dell’egemonia globale degli Stati Uniti. Argomentazioni puntualmente riassunte da Paul Peterson, professore della Harvard University e co-autore di un libretto, pubblicato a giugno da Brookings Institution, sul pessimo stato delle scuole pubbliche americane 

Sullo sfondo di questa visione ormai pressoché bipartisan, arriva come una ventata d’aria fresca il più recente libro di Diane Ravitch, Reign of Error: The Hoax of the Privatization Movement and the Danger to America’s Public Schools, una vigorosa e documentata difesa dell'istruzione pubblica. “Le scuole pubbliche del nostro Paese sono state un potente motore di opportunità e uguaglianza - scrive Ravitch – e continuano a esserlo tutt’oggi”. 

La scuola pubblica Usa trova in Ravitch un alfiere quanto mai inaspettato. Considerata tra i massimi esperti del settore, questa professoressa della New York University si è fatta le ossa nei primi anni Novanta lavorando nel dipartimento dell’Istruzione per l’amministrazione dell’allora presidente repubblicano George H. W. Bush. E in quel ruolo fu convinta promotrice dell’agenda di liberalizzazione e privatizzazione della scuola pubblica, che all'epoca le appariva avviata sulla strada di un declino irreversibile.

Ma proprio mentre, nei due decenni successivi, tanti suoi colleghi così come un gran numero di politici sia repubblicani sia democratici (tra cui anche il presidente Barack Obama e il suo segretario all’Istruzione Arne Duncan) facevano propria su questo tema la filosofia del liberismo, Ravitch rivedeva completamente le proprie posizioni. Nuovi dati l’hanno infatti convinta che le scuole pubbliche funzionano bene nella maggioranza dei casi, garantendo una percentuale sempre più alta di ragazzi che ottengono un diploma di scuola superiore e preparando con successo gli studenti su un curriculum sempre più vasto e complesso. Anche la presunta disfatta dei giovani americani nelle competizioni internazionali è più mito che realtà, sostiene Ravitch, e dipende tutta da che tipo di test e di risultati si sceglie di prendere in considerazione.  

Il dietro-front ufficiale di Ravitch è avvenuto nel 2010 con la pubblicazione del controverso “The Death and Life of the Great American School System: How Testing and Choice Are Undermining Education”, in cui la studiosa si scaglia contro l’ossessione per i test a scelta multipla e la standardizzazione dei voti, introdotti per  permettere paragoni più semplici fra una scuola e l’altra, un insegnante e l’altro, uno studente e l’altro. Una vera e propria mania, dice Ravitch, che ha costretto i docenti, pena il licenziamento, a insegnare con il solo obiettivo di preparare gli studenti a esami molto banalizzati. Ricetta sicura per un’educazione superficiale, che trascura ogni approfondimento e ignora una serie di discipline fondamentali allo sviluppo dei giovani ma difficili da quantificare, dalla letteratura all’arte alla musica. 

In Reign of Error, Ravitch affina ulteriormente la propria critica, mirando direttamente al cuore del problema. “Ovvio ci sono alcune scuole e distretti che hanno performance deplorevoli – scrive Ravitch - La maggior parte di questi hanno due caratteristiche in comune: povertà e alte concentrazioni di minoranze etniche”. I bambini che nascono in famiglie con mezzi limitati (che negli Stati Uniti sono ancora, in misura assolutamente sproporzionata, afro-americane), ricevono attenzioni mediche minori, si nutrono peggio, sono poco seguiti a casa e soffrono di maggiore stress. Quelli poi che nascono da genitori recentemente immigrati, che non parlano bene inglese e non conoscono il sistema americano da vicino, partono ulteriormente svantaggiati rispetto ai colleghi bianchi.  

In questi casi, la scuola pubblica ha bisogno di ricevere più, e non meno risorse: per garantire un rapporto docenti-studenti migliore, offrire corsi di recupero durante il pomeriggio e l’estate e anche personale medico di base, ad esempio un’infermiera fissa, che possa dare ai ragazzi più svantaggiati quelle cure che spesso non ricevono in famiglia. Solo così si può tentare di restringere il gap tra studenti ricchi e poveri, che non si forma a scuola ma a casa, ben prima del primo giorno di scuola in prima elementare. 

Ravitch, che invoca anche migliori servizi sanitari per le donne povere e in gravidanza e asili nido pubblici e gratuiti, propone un cambio di prospettiva: guardare al problema della scuola nel contesto più vasto della società americana. In quest’ottica, l’approccio liberalizzatore e privatistico dei riformisti non è che una distrazione dall'obiettivo, volta solo a arricchire qualche corporation e a indebolire i sindacati degli insegnanti, ma destinata a fallire giacché non affronta le cause profonde del problema. La studiosa procede a decostruire tutti i miti coltivati dai suoi rivali: i voucher statali che consentono alle famiglie di mandare i figli alle scuole private rappresentano una dispersione di fondi pubblici e mettono in pericolo la trasparenza e la qualità dell’istruzione. Gli stipendi basati sul merito individuale mettono gli insegnanti in competizione l’uno contro l’altro, minando alla base la collaborazione fondamentale al buon funzionamento di una scuola. Le scuole private ottengono risultati migliori solo perché hanno il diritto di selezionare i propri studenti rifiutando di accettare i più bisognosi. E via dicendo. 

L’unica concessione che Ravitch offre agli avversari è di forma. “La strategia dei riformisti è attraente a livello superficiale perché appare più facile aggiustare le scuole che non risolvere il problema della povertà – scrive la studiosa in “Reign of Error”. Ma la sostanza del problema rimane: “Se nessuna delle soluzioni offerte aiuta realmente a migliorare il livello dell’istruzione, allora la società finisce per non riparare ai guasti né delle scuole né della povertà”.  

Valentina Pasquali

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