UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università, test di ingresso: le ragioni di chi li critica

Tempi duri per i test di ingresso all’università: non passa giorno che non si levi una voce polemicamente contraria al loro impiego come strumento di valutazione e selezione per gli studenti che intendono iscriversi ad un corso di laurea ad accesso programmato. Per la verità molte delle prese di posizione critiche riguardano un settore di studi che ha un particolare ruolo nell’immaginario collettivo: il corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, su cui sembrano concentrarsi tutti i problemi che accompagnano gli studenti al momento del passaggio dagli istituti superiori al mondo dell’università. 

Una recente polemica ha riguardato la decisione del ministero di anticipare le prove di accesso alla data del 24 luglio 2013. A fronte dell’opportunità data agli studenti di avere sicure indicazioni a proposito della loro prestazione, all’interno di una graduatoria realizzata a livello nazionale, e quindi di decidere con tranquilla consapevolezza, in caso di esito positivo, la sede universitaria disponibile ad accogliere la loro iscrizione, molti hanno considerato l’anticipazione della prova come un ulteriore ostacolo all'accesso all'università. 

Sostiene Michele Orezzi, del sindacato studentesco Udu, su Repubblica: "Non solo gli studenti dovranno prepararsi a sostenere un test d'ingresso su materie che possibilmente non hanno mai nemmeno studiato, ma avranno anche pochissimo tempo a disposizione per farlo, in quanto saranno impegnati, almeno fino alla prima metà di luglio, a sostenere gli esami di maturità. È un altro palese attacco al diritto allo studio e all'accesso alla formazione per migliaia di studenti".

Ancora più devastanti le critiche provenienti da Giuseppe Remuzzi, primario in un ospedale di Bergamo, il quale inizia il suo ragionamento indicando le caratteristiche che un buon medico deve possedere per esercitare con scienza e coscienza la propria professione. "Bisogna avere un interesse reale per il malato. Perché i malati sono difficili da trattare, si ha a che fare con persone che soffrono fisicamente e psicologicamente, con cui è difficile avere a che fare anche a livello fisico. E poi, un buon medico, deve saper parlare con chiarezza. Senza nascondersi dietro un linguaggio ermetico, che erge un muro fra dottore e paziente. Bisogna creare fiducia. Insomma ci vuole umanità”. 

A fronte della necessità di scegliere candidati all’iscrizione al corso di laurea in medicina e chirurgia capaci di incarnare un profilo professionale come quello appena descritto, Remuzzi lamenta: “…Nessun test psicoattitudinale, non uno straccio di colloquio per accertare le predisposizioni, le attitudini specifiche, la vocazione, che non appare un termine obsoleto e sorpassato, trattandosi di medici che dovranno rapportarsi alla malattia e al dolore, e confrontarsi non solo con casi clinici, ma con persone.” Insomma, se si seguissero procedure di analisi più personalizzate, laselezione avverrebbe sulla base di reali meriti e non a partire da una prova definita come spesso irregolare e priva di ogni senso logico.

Se questo è lo stato delle cose, meglio adottare – dice - una soluzione “rivoluzionaria”: abolire la prova di ingresso, ammettere tutti al primo anno, e riservare la selezione alla fine del secondo semestre, verificando sul campo, sulla base delle prestazioni accademiche e umane degli studenti, chi è davvero adatto e chi no. 

Osservazioni e rilievi non banali, caratterizzati da un buon senso di fondo, ma in rotta di collisione con alcuni dati di realtà con cui bisogna fare i conti: ad esempio, quale sede universitaria sarebbe in grado di accogliere, offrendo servizi didattici adeguati, tutti gli studenti desiderosi di iscriversi al primo anno di medicina e chirurgia? E se invece di adottare questa soluzione si ripiegasse su procedure di analisi in ingresso più personalizzate, quanto durerebbero le prove di selezione destinate a cogliere le dimensioni attitudinali più specifiche, legate a originali profili di personalità?

Dobbiamo fatalmente fare i conti con uno scenario in cui è necessario gestire i grandi numeri: decine di migliaia di candidati, tanti percorsi formativi, tante diverse competenze e abilità da sondare con strumenti “di carotaggio” piuttosto che con esaustive analisi narrative. Sono questi i dati di realtà che hanno a suo tempo imposto l’uso di strumenti di monitoraggio e selezione basati sulla rilevazione standardizzata di conoscenze, competenze e abilità considerate diagnostiche delle future prestazioni accademiche di coloro che intendono iscriversi ad un corso di laurea universitario. In che misura questi strumenti sono in grado di operare con affidabilità e capacità discriminativa? (1/continua)

Luciano Arcuri

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012