SOCIETÀ

Venezia 2019. Si scrive cultura, si legge economia

Dai municipi alla capitale: questo lo slogan di chi lavora alla candidatura di Venezia capitale europea della cultura per il 2019, presentata sabato in una tavola rotonda al Salone europeo della cultura. Laddove Venezia, nelle intenzioni dei promotori, va in realtà declinato al plurale, Venezie, per tentare di accorpare uno spazio che va da Bolzano a Trieste passando per Rovigo, e che nell'opinione di tutti deve trovare forme di rilancio e modernizzazione. Venezia come portabandiera del triveneto, insomma, con buona pace delle tante specificità locali che si troveranno raccolte sotto la bandiera omologante della città lagunare, e con buona pace anche dei veneziani che potrebbero sentire usurpato il loro nome. “Venezia”, un brand universalmente conosciuto per intendere qualcosa di più vasto, composito e dai confini tutti da (ri)definire: il mitico nordest, in realtà mai esistito come unità territoriale omogenea.

Ecco quindi che mentre Innocenzo Cipolletta, presidente del comitato di candidatura, annunciava per il 4 dicembre prossimo la presentazione ufficiale del bando di concorso, a cui parteciperanno oltre alla “città diffusa” del triveneto molte altre città italiane, la stampa locale riportava la dura presa di posizione del sindaco di Venezia Orsoni verso l'iniziativa “privata” degli organizzatori del Salone, in una fase in cui la candidatura ha assunto ormai una fisionomia istituzionale. Difficile schivare le polemiche, in fondo, per un progetto che comporterà interventi per parecchi milioni di euro e prevede quattro milioni di visitatori in più in una regione già invasa annualmente da flussi turistici straordinari, nonché afflitta da pesanti problemi infrastrutturali. E sicuramente le polemiche non mancheranno quando si tratterà di decidere il bilancio complessivo di Venezia 2019 e ripartire i costi tra pubblico e privato.

Il progetto così come è stato annunciato vorrebbe porsi come la quadratura del cerchio, un tentativo di trovare una nuova unità territoriale al di sopra dei vincoli amministrativi approfittando del volano “Città europea della Cultura”. La insistita affermazione di Cipolletta che le specificità locali troveranno ognuna adeguata collocazione in un percorso comune (“Ogni provincia avrà un suo specifico progetto, a creare le tante facce del diamante scelto come simbolo”) oltre a cercare un terreno comune con le prerogative delle regioni autonome partner del progetto sembra voler ad ogni costo sciogliere i timori e prevenire le polemiche di chi in Veneto vede perennemente nella città di Venezia una indebita calamita di attenzioni e risorse, come si è visto anche nelle ultime settimane di discussione sulla fusione delle province di Venezia, Padova e Treviso.

Poco conta infatti che documenti ufficiali e video promozionali dell'iniziativa europea sostengano che “quasi tutte le città che sono state capitali europee della cultura hanno avuto un ritorno economico”, se gli indubbi benefici non sono poi condivisi secondo le aspettative. E quando i report europei testimoniano che diventare capitale europea della cultura comporta spese e investimenti notevoli - soprattutto in infrastrutture - anche se non strettamente legati al progetto, non si può non pensare alle necessità vere del triangolo nordestino, e domandarsi se e come queste possano essere soddisfatte attraverso iniziative specificamente culturali, visto che il cuore del progetto dovrà essere un insieme armonico di eventi d’arte, spettacolo e cultura.

Il tema portante di Venezia 2019 sarà ovviamente - secondo Cipolletta -  il rapporto tra economia e cultura: “È stata la cultura e non solo l'impresa a portare allo sviluppo di questa parte d'Italia, e in periodo di crisi e smarrimento come quello odierno, è dalla cultura che ha senso ricominciare, affinché da fabbriche che diventano musei si passi ai musei che diventano fabbriche". Che la presentazione di sabato facesse capo alla componente privata, e non istituzionale, del progetto è d'altronde confermato anche dalla scelta dei testimonial chiamati a sostenerla, “dieci storie di eccellenza del Nordest”, dal responsabile di Arte Sella a Rosaria Scapin di OperaEstate, dal giovane fashion designer premiato a ITS alla virologa Ilaria Capua. Intervengono poi Ruggero Frezza, ex docente universitario convertito all'imprenditoria, che spiega come le molte eccellenze della ricerca nel triveneto fatichino a farsi impresa e deplora come università, ricerca e innovazione siano il “patrimonio silente” che non fa notizia, e Sandro Boscaini, viticultore veronese di successo, che da imprenditore ha capito in fretta che per fare affari nel mondo si trattava anzitutto di spendere il nome di Venezia, biglietto da visita che apre tutte le porte. Per Boscaini nessuna tormentata dicotomia o distacco tra Venezia e il resto del Nordest, ma solo utile e utilitaria contiguità, con l’occhio alle opportunità, all'investimento e al risultato. E un marchio mondialmente conosciuto, bell’e pronto fin dai tempi di Marco Polo.

L’intervento più ricco di prospettive concrete è stato probabilmente quello di Silvia Fattore, giovane sindaco del padovano. Partendo dalla sua esperienza di federazione di 11 comuni del camposampierese - esperimento fattivo di governance della città diffusa - prende atto della costituzione nei fatti di una città metropolitana al posto della vecchia provincia di Venezia, una città che da sola ha la storia e la statura, ma non i numeri e il peso economico per essere capitale: “Dovrebbe poter stare tra Roma e Milano, e sicuramente sopra Napoli (provincia di tre milioni di abitanti)”. È nelle sue parole che si intravede infine il legame possibile - prima suggerito ma mai declinato fino in fondo - tra le iniziative culturali europee e la politica dei fatti e dei servizi:  per avere un peso a Roma e a Bruxelles, e nel confronto con le altre regioni europee, i confini amministrativi dei comuni non possono più essere un vincolo. “Bando quindi alle tifoserie, è ora di condividere riflessioni e consapevolezze”, perché la città metropolitana “è un treno di cui parliamo da trent'anni, e non ci stiamo nemmeno presentando in stazione quando passerà”. Alle spalle della cultura, l’economia (e le sue difficoltà) si affacciano con chiarezza. Se sarà possibile dall’una andare all’altra (e ritorno) è una domanda che rimane completamente aperta.

Cristina Gottardi

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