CULTURA

"Corrispondenze immaginarie": la cura attraverso le lettere

Tra le mura oggi silenziose di un ex ospedale psichiatrico si agitano ancora lettere mai spedite, richieste d’aiuto rimaste senza risposta, gesti d’affetto bloccati a mezz’aria. Corrispondenze immaginarie è il progetto di arte pubblica partecipata ideato da Mariangela Capossela per dare finalmente voce e, soprattutto, risposte alle tante lettere conservate negli archivi degli ex manicomi italiani. Infatti tra la fine dell’Ottocento e la rivoluzione basagliana del 1978, che ha smantellato queste istituzioni oppressive, era normale archiviare le lettere scritte dalle persone internate senza spedirle.

Il progetto artistico nasce per la prima volta a Volterra nel 2022, ma è stato poi declinato anche in altre città e le sue ultime tappe sono state Venezia, Gorizia e Trieste. Il racconto di quest’ultimo viaggio collettivo è diventato anche un documentarioCorrispondenze immaginarie (raccontato da Piero Pieri e Alessandro Spanghero, prodotto dalla sede regionale Rai Friuli Venezia Giulia) che segue Mariangela Capossela tra archivi, padiglioni abbandonati e nuove comunità. 

Il documentario è stato proiettato, in una serata speciale, il 26 luglio 2025 al Castello di San Giusto a Trieste come introduzione al concerto di Vinicio Capossela, fratello dell’artista e a sua volta costruttore di mondi narrativi liminali e popolati di personaggi fuori dagli schemi. Nella suggestiva proiezione triestina – che assieme a Gorizia sono state le città in cui il veneziano Franco Basaglia ha messo in pratica la sua idea innovativa di psichiatria – parole, musica e memoria si sono fuse per una sera in cui le voci dimenticate del passato sono finalmente tornate a risuonare, trovando risposte nella voce collettiva di una comunità che sceglie di riannodare con cura i fili spezzati della storia.

Trieste, Gorizia e Venezia nel centenario basagliano

Le tappe del 2024 di Corrispondenze immaginarie nelle città di Trieste, Gorizia e Venezia si sono svolte in occasione del centenario della nascita di Basaglia, con la collaborazione di Hangar Teatri/Teatro degli Sterpi (una realtà triestina molto vivace). Dopo un attento lavoro di ricerca negli archivi degli ex ospedali psichiatrici di queste tre province, centinaia di lettere mai spedite sono state affidate a nuovi destinatari tramite “scrittoi pubblici”. Si tratta di performance collettive dove cittadini e cittadine, operatrici culturali, studenti e insegnanti – che avevano risposto a una open call nazionale – hanno ricopiato le missive a mano, numerandole e timbrandole con un logo creato da Mariangela Capossela. 

Il gesto stesso di scrivere a mano, già di per sé intrinsecamente lento, è stato reso ancora più accurato perché la scelta dell’artista è stata di usare solo strumenti desueti come pennino, inchiostro e carta velina. Questo perché l’intenzione era che questi moderni amanuensi si prendessero tutto il tempo necessario a copiare con estrema cura le lettere a loro affidate, che per troppo tempo erano rimaste chiuse in qualche polveroso faldone. Le sessioni di copiatura si sono svolte in due luoghi simbolo: il parco dell’ex ospedale psichiatrico goriziano e uno dei padiglioni di quello triestino. E naturalmente per tutelare la privacy delle persone citate nelle missive (mittenti, destinatari, medici o chiunque altro) tutti i nomi sono stati rimossi, anche perché quasi tutte le persone coinvolte non erano più in vita.

Alla copiatura accurata delle lettere, alla loro confezione e spedizione, si aggiunge poi un gesto di restituzione: le persone che si erano candidate a ricevere una lettera si impegnavano anche a scriverne un’altra – seppur solo simbolicamente – indirizzata a quell’autore o autrice che non aveva mai ricevuto risposta. Infine, a tutte queste nuove corrispondenze è stata data voce, attraverso una toccante giornata di lettura pubblica avvenuta nel palazzo delle poste centrali di Trieste nella primavera 2025. 


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Cos’è un progetto di arte pubblica partecipata?

Corrispondenze immaginarie è un progetto di arte pubblica partecipata, che si svolge nell’arco di alcuni mesi, ma che cosa vuol dire esattamente? Se pensiamo a un’opera d’arte pubblica probabilmente ci vengono in mente monumenti o comunque manufatti concreti, ma un progetto artistico può prendere anche altre forme. Per esempio rendendolo una performance che è sì immateriale ma non per questo meno potente, e poi se coinvolge molte persone diverse ecco che l’arte diventa anche “partecipata”. 

Per Mariangela Capossela l’arte pubblica partecipata è un processo in cui il valore dell’opera artistica nasce e si trasforma grazie all’incontro con la comunità. In Corrispondenze immaginarie ciò accade intrecciando la memoria privata delle persone rinchiuse negli ex ospedali psichiatrici con la partecipazione viva della cittadinanza: tanti soggetti diversi invitati a prendersi cura di quelle parole rimaste in sospeso, trascrivendo, ricevendo e rispondendo alle lettere mai spedite.

Nata a Milano nel 1970 e formatasi tra Bologna, Pisa e Lione, Mariangela Capossela è una delle figure più sensibili a un’arte contemporanea concepita come pratica relazionale e diffusa nei territori e nelle comunità. La sua ricerca (che abbraccia la letteratura, il sociale, la cura pubblica) predilige non tanto i musei quanto gli spazi pubblici e le periferie dell’esistenza. La partecipazione, per Capossela, è reale e tangibile: chi prende parte ai suoi progetti artistici diventa protagonista, custode attivo di memorie da ricucire o reinventare.

L’arte può tessere una garza sul dolore

Nel documentario Corrispondenze immaginarie è la stessa Mariangela Capossela a dire che “potrà sembrare un paradosso cercare di dare una risposta a lettere che vengono dal passato, a persone che non sono più vive, ma compiere questa operazione è anche agire sul presente e dire qualcosa di forte in un presente in cui la comunicazione e lo scambio fra le persone vive una grossa crisi: nonostante il moltiplicarsi dei modi di comunicare c’è tanta solitudine e quindi liberare queste lettere è anche immaginarsi un altro modo di comunicare e stabilire relazioni fra le persone”.

E l’artista prosegue affermando che “cercare risposta a queste lettere ha a che fare con la riparazione, con un approccio artistico in cui si cerca di suturare una ferita che viene dal passato ma che non è chiusa, come non è chiuso il modo in cui viene trattato a livello sociale il problema della malattia e della solitudine”. A Capossela piace pensare a un’arte che possa “tessere una garza sul dolore, con la consapevolezza che non è una prerogativa dell’arte quella di curare, ma l’arte può creare le condizioni per attivare modi diversi di stare tra le persone”.

Il processo di corrispondenza dunque inizia dall’attivazione di memorie e di archivi locali, riportando alla luce le lettere che i pazienti degli ex manicomi non ebbero la possibilità di spedire, e che come loro rimasero recluse, per reindirizzarle a chi accoglie l’invito di diventare un nuovo interlocutore. Un progetto artistico che sa intrecciare pratiche collettive di memoria gettando nuova luce sul tema della salute mentale, e sottolineando come la cura condivisa possa essere un antidoto alle marginalità.

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