SOCIETÀ

Viaggiare nello spazio costa, ma il nostro futuro è lì

“La ricerca di base viene spesso messa in discussione, soprattutto in tempo di crisi. Senza ricerca però anche le applicazioni soffrono”. La domanda non è oziosa: perché continuare spendere miliardi per esplorare lo spazio, quando non si vedono ancora riscontri positivi dal punto di vista economico? Persino la Nasa negli ultimi anni ha tagliato diversi programmi e adesso è addirittura costretta a fronteggiare la minaccia di chiusura di molti programmi del governo americano. Pensiamo però anche ai prodotti che sono stati creati nella stagione delle grandi esplorazioni parziali: dalle padelle antiaderenti ai giacconi termici, passando per l’imbottitura dei pannolini. E senza la corsa alle stelle avremmo il meteo in tempo reale, i telefonini e il Gps per i navigatori?

La ricerca e lo sviluppo delle conoscenze insomma, anche quando sono apparentemente fini a se stesse, hanno sempre ripercussioni imprevedibili per l’economia e la società: è stato questo uno dei temi della lecture tenuta da Piero Messidoro, tra le personalità più rappresentative dell’industria aerospaziale europea. Messidoro, ingegnere, si occupa di gestire ricerca e sviluppo all’interno di Thales Alenia Space, società leader a capitale franco-italiano che ha sede a Torino. Durante la presentazione sullo schermo scorrono slides fittissime di immagini, dati e acronimi: nonostante la crisi economica lo spazio è ancora uno dei campi più promettenti, dove la ricerca fondamentale si incontra praticamente con tutte le discipline del sapere: dall’economia al diritto, dalla biologia al management.

In effetti sono davvero varie e molteplici le attività di Thales Alenia Space, che spaziano negli ambiti delle telecomunicazioni, dell’osservazione e della vera e propria navigazione ed esplorazione spaziale: “È soprattutto in quest’ultimo campo che avvengono le maggiori innovazioni: normalmente si parte con le prime missioni scientifiche, cui seguono l’invio di robot e infine le missioni umane”. In quest’ambito rientra ad esempio il programma Exomars, che prevede per il 2016 e il 2018 il lancio rispettivamente di un satellite intorno a Marte e di un rover. Si tratta della prima missione europea sul Pianeta rosso e sfrutterà un vettore russo: la Nasa infatti, all’inizio partner dell’iniziativa, ha dovuto ritirarsi l’anno scorso. “Portare l’Uomo nello spazio è il nostro destino, dettato dalla nostra stessa sete di conoscenza – pensa con ottimismo Messidoro – Il sistema solare, salvo catastrofi, è il nostro futuro. Entro quando? Difficile dare scadenze, ma probabilmente avremo le prime missioni umane entro il 2050”.

Oggi il centro di ricerca e di sviluppo di Torino, dotato anche di un centro di controllo a terra – sorta di piccola Space Center Houston in terra italica – rappresenta una delle poche realtà all’avanguardia che rappresentano l’Italia in un settore internazionale e altamente competitivo come quello spaziale. In particolare uno degli ambiti di eccellenza è quello della costruzione dei moduli pressurizzati: “Per la Stazione Spaziale Internazionale abbiamo prodotto 25 elementi, più del 25% del totale, tra cui la famosa Cupola” (il nome originale è proprio in italiano): una struttura che con i suoi tre metri di diametro e sette finestre permette agli astronauti di ‘affacciarsi’ sullo spazio come attraverso un oblò.

Negli ultimi tempi si è anche molto parlato del modulo Cygnus, prodotto dalla società americana Orbital ma costruito in gran parte a Torino, il cui volo di collaudo si è svolto alla fine di settembre: “Si tratta del primo servizio di trasporto spaziale interamente commerciale – spiega l’ingegnere italiano – e gli americani ci hanno voluti nella cordata perché, secondo loro, siamo i più bravi al mondo nel produrre moduli pressurizzati”. Una commessa importante, che comprende nove moduli di trasporto già prenotati. “Per realizzare il progetto abbiamo fatto ricorso alla fantasia e all’innovazione italiana, con un’organizzazione a base di borse soft e di cinghie per ottimizzare lo spazio all’interno del veicolo”. Anche il portellone è più piccolo e permette un maggior carico all’interno, con un conseguente risparmio sui costi di trasporto.

Per il futuro l’obiettivo è di creare moduli riutilizzabili, che possano atterrare senza incendiarsi nell’atmosfera, e un domani anche il veicolo che sostituisca lo Space Shuttle, definitivamente andato in pensione nel 2011. Le attività però si allargano a decine di altri progetti, tutti in ambito spaziale: “Resistiamo al vertice scommettendo sulle professionalità e le competenze italiane e collaborando con le istituzioni e le strutture sul territorio, a partire dalle università e dai centri di ricerca”, conclude Piero Messidoro. Una strategia che coinvolge anche Padova: in primo luogo il Cisas “G. Colombo”, con cui ad esempio si studierà la possibilità di nuove strutture spaziali gonfiabili, sempre con risparmio dello spazio impiegato per il trasporto, e l’Orto botanico, con il quale si potrebbe progettare nel prossimo futuro una vera e propria serra spaziale.

Daniele Mont D’Arpizio

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